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giovedì, luglio 16, 2009

UN PARTITO FIGLIO DI NESSUNO

Stefano Menichini dal quotidiano "Europa" del 14.07.2009

Hanno scambiato il Partito democratico per qualcos’altro.
Per un punching-ball. Un tram. La Casa del Grande fratello. Hyde Park Corner. Un albergo a ore.
Una pedana del wrestling. Un posto dove ognuno possa fare e dire quello che crede, andare e venire a piacimento, farsi forte e bello finché sono accesi i riflettori. Un posto dove conta solo il posto che danno a me, il ruolo che danno a me, la visibilità che danno a me.
Se non è abbastanza, sparo a zero su tutto e su tutti.
Vediamo all’opera gli attori di questa recita poco divertente. Alcuni lo sono in senso tecnico, altri perché interpretano in senso teatrale il proprio mestiere, magistrato o politico, altri ancora perché la politica li ha trasformati da persone autorevoli in dichiaratori senza rete. Ma non sono loro i soli colpevoli.
C’è chi li ha messi in condizione di nuocere. Un gruppo dirigente che sembra non voler bene al proprio partito, tanto che a ogni occasione ne disconosce paternità e maternità. C’è chi non riconosce il Pd perché non gliel’hanno fatto fare come volevano loro (Veltroni e Franceschini), chi perché non hanno ascoltato i suoi consigli (Bersani), chi perché è finito in minoranza (Rutelli), chi perché non gli hanno telefonato (D’Alema), chi perché gli ha portato più male che bene (Prodi).
Chi perché gli anziani fanno ostacolo e chi perché i giovani sono supponenti. Chi perché i comunisti contano ancora troppo e chi perché contano troppo i democristiani.

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lunedì, gennaio 05, 2009

Napoli, il segretario Pd Nicolais lascia

Iervolino ha varato la nuova giunta,
sconfessata la linea dell'ex ministro
«E' mancata una svolta coraggiosa»
Il sindaco: non c'erano documenti
NAPOLI
È mancata una «svolta coraggiosa che consentisse di recuperare la fiducia dei cittadini». Dopo il braccio di ferro durato giorni e conclusosi nella serata di ieri, con il rimpasto voluto con forza dalla Iervolino e avallato da Veltroni, il segretario del Pd campano si dimette. «Ho comunicato al segretario nazionale del PD Walter Veltroni e al segretario regionale del PD Tino Iannuzzi le mie irrevocabili dimissioni da segretario del Partito Democratico di Napoli» ha detto Nicolais, ex ministro del governo Prodi, eletto il 30 giugno. «La città di Napoli - ha affermato - in questi giorni ha attraversato una tra le più gravi crisi istituzionale degli ultimi anni. Il Partito Democratico napoletano, interpretando la crisi di fiducia manifestata dai cittadini verso il governo locale, ha adottato una linea politica tesa a sostenere un profondo rinnovamento dell’azione amministrativa della città e degli uomini che sono chiamati a rappresentarla. Purtroppo, non essendo riuscito a concretizzare il mandato ricevuto dal Partito napoletano e a trasferire ai vertici del Pd nazionale la drammaticità del momento e la necessità di una svolta coraggiosa che consentisse di recuperare la fiducia dei cittadini, ritengo che non ci siano più le condizioni per il prosieguo del mio mandato».

E' l'epilogo della «tarantella» fatta di scontri e incomprensioni, terminata con l'ingresso in giunta di sei nuovi assessori provenienti dalla società civile e, in particolare, dall'ambiente accademico. Un rinnovamento leggero, diverso da quelllo preventivato da Nicolais, che avrebbe preferito, appunto, un «profondo rinnovamento». Le dimissioni di Nicolais? Un fatto che il sindaco Iervolino commenta così: «Non è stata affatto sconfessata la linea del Pd». Ieri, ha spiegato il primo cittadino «non c’è stato nessun documento del Pd ma una dichiarazione rispettabilissima del segretario provinciale».

Puntualizza Iervolino: «Questa è una giunta su cui si è fatto molto rumore, ma nasce senza contrapposizione con nessuno. Il sindaco ha tenuto correttamente i rapporti con il suo partito e con gli altri partiti politici con uno stile costruttivo e collaborativo». Presentando i nuovi assessori il sindaco ha detto: «Abbiamo messo avanti l’interesse della città. Per due volte sono arrivata a una linea di composizione e quando sono sorti dubbi, è stato necessario dare un governo alla citta, assumendosene pienamente le rsponsabilità».

domenica, marzo 02, 2008

CAMPANIA:Bassolino va avanti ma il cammino non sarà facile.

La decisione di Antonio Bassolino di andare avanti dopo il rinvio a giudizio lascia apparentemente immutato lo scenario politico in Campania. Sebbene il governatore debba fare i conti con una maggioranza che dopo l’uscita dell’Udeur e la sfiducia dei Socialisti è di colpo divenuta risicata, difficilmente il Consiglio regionale potrà sciogliersi se non sarà lo stesso Bassolino a fare un passo indietro. Cosa che per il momento il governatore ha escluso di voler fare. Tuttavia la strada per lui non sarà in discesa. Il governatore, infatti, dovrà fare i conti con la difficoltà di tenere coesa una maggioranza che tra defezioni e vicende giudiziarie ora come ora può contare su soli 31 consiglieri (erano 41 fino ad un mese fa) e dove anche tra gli alleati non mancano le voci critiche, specie a sinistra. Davanti ad un’opposizione che ne chiede le dimissioni, e sembra meno disposta che in passato a fare sconti, è il solo Pd a fare quadrato intorno al governatore, e le richieste di discontinuità che piovono da sinistra (Prc e Sinistra Arcobaleno chiedono una svolta e voto in tempi rapidi), non è un caso che sia stato lo stesso Bassolino, nel dibattito svoltosi in settimana, a parlare realisticamente di un ’sentiero stretto’. Un sentiero sul quale incamminarsi per andare avanti con la legislatura almeno per un altro anno, profilando anche l’ipotesi di andare al voto prima della scadenza naturale del 2010. “Abbiamo di fronte obiettivi impegnativi su cui dobbiamo lavorare con slancio e determinazione - ha detto Bassolino in Consiglio - come la soluzione dell’emergenza rifiuti, alcuni grandi progetti per lo sviluppo, lo statuto, la nuova legge elettorale, le deleghe agli enti locali. Darsi questi obiettivi significa avere davanti almeno un anno di lavoro. Dopodiché si farà una riflessione per vedere se - come io mi auguro - ci saranno le condizioni per andare avanti oppure se invece può essere giusto dare la parola ai cittadini”. Bassolino, rispondendo poi ad alcuni interventi che gli avevano attribuito la volontà di andare avanti in ogni caso fino al 2010, aveva sottolineato: “Io non ho detto che penso di andare avanti fino alla fine del 2010 certamente e ad ogni costo. Ma, che siamo consapevoli di avere davanti ‘un sentiero stretto’”. In un Consiglio dove i numeri sono incerti sarà da verificare inoltre l’atteggiamento che assumerà l’Italia dei Valori il cui leader Antonio Di Pietro chiede le dimissioni del governatore ma i cui esponenti campani sembrano più tiepidi nel volere la fine della consiliatura. Dunque, Bassolino - come lui stesso ammette - ha davanti a sé un sentiero stretto. Se si allargherà o restringerà ulteriormente molto potrebbe dipendere anche dall’esito dalle prossime elezioni politiche in Campania, su cui la vicenda rifiuti potrebbe giocare un ruolo importante.

mercoledì, febbraio 27, 2008

"Laici e cattolici? Una separazione che non esiste"

Il segretario propone una "sintesi alta": serve "una laicità eticamente sensibile"
Binetti: "Speriamo che si riesca a contenere la spinta laicista dei radicali"

Veltroni: "Laici e cattolici?
Una separazione che non esiste"


ROMA - Dire che il nodo è stato sciolto sarebbe sbagliato. Anche perchè la questione della convivenza laici e cattolici all'interno del Pd si svilupperà, in un modo o nell'altro, solo cammin facendo. Di sicuro oggi il segretario Walter Veltroni ha proposto quella che viene definita una sintesi alta e non una mediazione al ribasso. Per cui le divisioni tra laici e cattolici sono "caricaturali": la laicità deve essere "eticamente esigente" e tra laici e cattolici è consigliabile "un incontro virtuoso". Poi, come in tutte le cose, specie in politica, c'è l'aspetto un po' più... prosaico. E tutto sommato oggi si può dire che la questione è chiusa/congelata anche grazie all'ingresso nelle liste di due candidati teodem: il giornalista Andrea Sarubbi, 37 anni, faccia pulita, scuole dai salesiani, microfono dei papa boys all'epoca di Tor Vergata e oggi conduttore delle rubrica "A mia immagine" il sabato e domenica; e il professore Mauro Cerruti, uno degli estensori della Carta dei valori del Pd.

"Non sono per bilanciare".
Veltroni ha annunciato le candidature durante il seminario organizzato dai cattolici del Pd oggi nella Sala conferenze davanti a Montecitorio. Un incontro organizzato da Franceschini e Fioroni mesi fa e che in questi gionri, da quando è stato ufficilizzato l'ingresso di nove radicali nelle liste del Pd, ha assunto un significato ben oltre le intenzioni originali. "Sono due candidature di cui vado orgoglioso" ha detto Veltroni precisando che non si tratta di un bilanciamento dopo l'alleanza con i radicali. "I cattolici - ha spiegato - mi hanno chiesto una selezione attenta delle candidature. La stiamo facendo e abbiamo deciso di arricchire le nostre liste con persone che hanno una visione eticamente esigente della politica". Nel Pd, sia chiaro, "non serve usare il bilancino, dire quanti laici ci sono e quanti cattolici, perchè nel nostro partito coesistono, per fortuna, forze diverse".

Le tribù cattoliche. Bilancino o no, è innegabile che il Pd abbia ereditato al suo interno, direttamente dalla Margherita, 130 parlamentari cattolici e almeno quattro truibù: i popolari, i più numerosi e i più forti, da Marini a Castagnetti passando per il ministro Fioroni, il numero 2 del partito Dario Franceschini e il capogruppo Antonello Soro. I teodem, un'invenzione di Francesco Rutelli che data 2006, sono i più conservatori (i popolari li accusano di essere "clericali"), i più accaniti nelle battaglie etiche che hanno segnato la legislatura del governo Prodi e i più sospettosi per l'ingresso dei radicali. Contano personaggi come Luigi Bobba, Paola Binetti, Emanuela Baio Dossi, Enzo Carra e Marco Calgaro. Poi i cristiano-sociali (Mimmo Lucà e Marcella Lucidi), i cosiddetti "cattolici adulti", espressione coniata da Prodi nel 2005, tra cui Rosy Bindi, Arturo Parisi, Franco Monaco e Giulio Santagata. Chiude la lista delle tribù il gruppo dei cattolici-liberali (Marco Follini, Dorina Bianchi, Luigi Zanda e lo stesso Rutelli.

"Laicità eticamente esigente". E' contenuta in queste tre parole la sintesi alta con cui oggi Veltroni ha cercato di chiudere la questione. Con una parola d'ordine: superare le divisioni che sono una questione d'antan, vecchia e antica, "rischiamo di tornare ai tempi di Porta Pia". Il Pd, ha detto il segretario, vuole "superare la contrapposizione secca tra laici e cattolici che si bollano reciprocamente come laicisti e oscurantisti" e punta invece ad una "laicità eticamente esigente, che sostituisca la cultura dell'aut-aut con quella dell'et-et'". Laici e cattolici devono saper far
"prevalere la ricerca del bene comune". E questo è il compito della politica: "Con pazienza e umiltà costruire un punto comune che non opprima le posizioni di ciascuno". Basterà per tenere a bada i sospetti?

Sarubbi: tra Vaticano e cartoni animati. Il giornalista, emozionato e orgogliso per la candidatura, ha precisato di "non essere la longa manus del Vaticano". "Semplicemente, conosco bene la base del mondo religioso e rappresento questo mondo, la 'Chiesa del grembiule'". Mai iscritto a un partito ma da sempre appassionato di politica, Sarubbi cita il personaggio dei cartoni Buzz Lightyear per sintetizzare il rapporto laici-cattolici: "Questo personaggio è convinto che ci sia un'emergenza intergalattica che invece non c'è... Ecco, queste discussioni sui Radicali e sul rapporto tra laici e cattolici, penso che distolgano l'attenzione dai problemi veri: l'emergenza intergalattica non è il dialogo laici-cattolici ma sta nel fatto che ci sono persone bisognose che chiedono che ci occupiamo di loro".

Dai cattolici gli auguri al Pd. Prima di Veltroni hanno parlato Andrea Riccardi, leader della comunità di Sant'Egidio e in predicato, fino a poco tempo fa, di diventare direttore dell'Osservatore Romano; il pedagogista salesiano don Carlo Nanni, amico del cardinal Bertone; e poi lo storico Guido Formigoni e il sociologo Franco Garelli. Relatori di altissimo livello. Come la platea con esponenti di tutte le associazioni e le organizzazioni "bianche", a partire dal segretario della Cisl Raffaele Bonanni. Riccardi, a cui Veltroni nei giorni scorsi aveva chiesto di scendere in campo, ha annunciato che non si candiderà ma ha augurato "un bel futuro" al Pd, perchè "la sua avventura sarà decisiva per ridare identità all'Italia".

I dubbi della Binetti. Al termine del seminario la senatrice teodem Paola Binetti si mostra cautamente ottimista. "Veltroni mi ha convinto" dice precisando che "nessuno di noi ha mai voluto o cercato di arroccarsi sulle proprie identità". Tutto risolto? "La speranza - sorride - è che Veltroni riesca a contenere lo spirito laicista dei radicali". Insomma, polemiche e divisioni sembrano rinviate. Binetti-Bonino: potrebbe essere un tema ricorrente nelle cronache dal Pd.

lunedì, febbraio 18, 2008

Si può fare (yes we can), ma cosa? Il vento del cambiamento


Si può fare (yes we can), ma cosa? Il vento del cambiamento
Leonardo Becchetti - 15/02/2008 dal sito www.benecomune.net


Il vento del cambiamento sembra spirare ormai ovunque.
Barack Obama ha costruito la sua formidabile rimonta su Hillary Clinton su questa parola magica promettendo agli elettori più speranza (vedasi il famoso video su You tube). In Italia il cambiamento, grazie ad alcune decisioni coraggiose, ci promette di risolvere il problema di alcuni “Ghini di Tacco”, aghi della bilancia che non rappresentano altro che se stessi ma che bloccano con il loro potere di veto la governabilità del paese.


In Francia il cambiamento strombazzato e promesso per ora ci regala una situazione in cui non si capisce più se il presidente francese è un leader politico o l’ultimo vincitore del Grande Fratello.

Il desiderio di cambiamento esiste ma va riempito di contenuti validi.
Può essere utile da questo punto di vista guardare cosa sta succedendo nelle scienze sociali ed in economia perché il dibattito scientifico anticipa e si trasforma in cultura condivisa dopo alcuni anni. Anche tra gli economisti spira il vento del cambiamento. Ai convegni più importanti è sempre più frequente sentire parlare di economia della reciprocità, del dono, si moltiplicano i contributi pubblicati sull’economia della felicità e gli esperimenti che contraddicono il modello dell’uomo lobotomizzato (quell’uomo economico che non conosce simpatia per l’altro e dovere morale) e quello sguardo avvilente che ha prodotto innumerevoli guasti culturali (conoscete quei risultati che dimostrano che tra tutte le “tribù” quella che è meno propensa al dono, alla fiducia e alla generosità è quella degli studenti di economia aziendale ?) .

La tridimensionalità dei problemi sul tappeto (l’asse “materiale” della povertà e della precarietà, quello “ambientale” dell’inquinamento, del riscaldamento globale e dell’invasione dei rifiuti, quello della “qualità della vita” che ci continua a segnalare il deterioramento della vita relazionale e della soddisfazione di vita nelle nostre società) richiede nuove strategie che diano sostanza al cambiamento annunciato. Le vecchie soluzioni figlie di una cultura monodimensionale non funzionano perché risolvono il problema su un asse e lo peggiorano sugli altri. La crescita e produttività come valore unico peggiora la situazione dal lato della sostenibilità ambientale e da quello della soddisfazione di vita e della crisi di relazioni (solo qualche dato tra tanti, negli scorsi sei mesi sono aumentati del 17 percento i consumi di antidepressivi in Italia, aumenta costantemente il numero di morti non seppelliti e abbandonati in obitorio). All’estremo opposto la proposta provocatoria della decrescita ignora i vincoli economici e finanziari in cui ci muoviamo e in primo luogo il problema del debito. E’ come se un genitore monoreddito in una famiglia pesantemente indebitata annunciasse ai familiari che ha deciso di lavorare di meno e di ridursi lo stipendio…

Avanziamo sommessamente una proposta ai politici ansiosi di riempire l’affascinante contenitore del cambiamento. Mettere al centro l’obiettivo della “felicità economicamente ed ambientalmente sostenibile” realizzabile attraverso una strategia che crei valore economico facendo attenzione agli altri due assi (ambientale e sociale). Offrire chiaramente una visione che dia un senso al nostro produrre (il know why e non solo il know how). Investire strategicamente nella cura delle relazioni e creare legami tra le finalità private e quelle sociali nel mondo della produzione (l’invito di qualche tempo fa dell’ex presidente Ciampi secondo cui l’Italia ha bisogno di una visione e di una missione non era infondato). Comprendendo quello che molti studi dimostrano: la vera molla della produttività non è negli incentivi monetari ma nelle motivazioni intrinseche (provate a calcolare la produttività o le ore settimanali lavorate di un missionario o di chiunque ha fatto del proprio lavoro una missione e a confrontarla con chi timbra stancamente un cartellino!) e la qualità delle relazioni tra lavoratori è la sorgente fondamentale della produttività in un mondo in cui l’innovazione è sempre più complessa e richiede il lavoro di squadra di saperi distinti e non intercambiabili (un esempio clamoroso di questo sono le comunità open source e la wikinomics).
Le linee di principio sopra annunciate si possono tradurre in una miriade di proposte molto concrete. Incentivare e promuovere nel settore della produzione quelle imprese o quei settori all’avanguardia nella capacità di creazione di valore economico innovando in termini di efficienza energetica e riducendo la quantità di emissioni per valore creato. Favorire il meccanismo più naturale e spontaneo di redistribuzione del reddito tra Nord e Sud del mondo rappresentato dal fenomeno migratorio sfruttando appieno il suo contributo potenziale a produttività, occupazione e crescita (quanti posti di lavoro abbiamo già creato e non vogliamo riconoscere limitando il numero di lavoratori clandestini che possono regolarizzarsi!). Stimolare ulteriormente la responsabilità sociale d’impresa con regole sugli appalti pubblici che premino la medesima e l’attenzione all’ambiente oltre alla convenienza di prezzo. Attenuare la difficoltà a costruire relazioni stabili e ad investire nel futuro da parte dei giovani contrastando l’ostruzionismo degli insiders con più mobilità verticale e migliori percorsi di accesso e stabilizzazione nel mercato del lavoro. Aumentare i meccanismi di flessibilità che consentono di conciliare tempi di lavoro e famiglia. Infine, chiedere alle imprese di dotarsi di una valutazione di rating sociale che possa stimolare i consumatori ad esercitare con sempre maggiore efficacia il loro “voto con il portafoglio”. Un’iniziativa del genere creerebbe i giusti incentivi affinché la responsabilità sociale ed ambientale non sia soltanto un fardello per l’impresa ma sempre più una variabile competitiva che può aiutarla a conquistare il favore dei consumatori. E la responsabilità sociale d’impresa (quella vera e non soltanto dichiarata) è la chiave di volta per risolvere le tre dimensioni del problema.
Insomma basta avere l’occhio (e leggere un po’ di letteratura scientifica recente) per capire che la parte emersa dell’iceberg (lavoro, capitale, produttività, performance) dipende crucialmente da quella sommersa ed immateriale (autostima, capacità di dare e ricevere fiducia, capitale sociale, beni relazionali, dignità) che solo un’economia della cura e delle relazioni può opportunamente sviluppare. Tutto ciò implica avere visione e la capacità di guardare oltre il proprio ombellico forse con un pizzico di utopia. Difficile ma si può fare.

venerdì, febbraio 08, 2008

«Un discorso per l'Italia» Veltroni comincia da Spello

È un'apertura di campagna elettorale in due tempi, quella di Walter Veltroni. La convinzione da cui parte il segretario del Partito democratico è che il 13 e 14 aprile gli elettori daranno il loro voto a chi saprà offrire «la migliore visione» e «la migliore proposta programmatica». La prima sarà al centro del «discorso per l'Italia» che domenica il leader dei democratici farà dalla terrazza davanti al convento di San Girolamo di Spello, mentre i punti cardine della seconda saranno illustrati all'assemblea costituente del Pd di sabato prossimo, a Roma. In entrambi i casi, l'intero ragionamento ruota attorno alla necessità di dar vita a un Paese «nuovo». Veltroni si candida infatti a guidare il prossimo governo prospettando un «cambiamento profondo» dell'Italia. La decisione di far correre da solo il Pd riguarda la sfera politico-istituzionale (chiuso definitivamente con la "Cosa rossa" venerdì, domani farà altrettanto con i Socialisti, e anche l'intesa con Di Pietro, che incontrerà oggi pomeriggio, sta incontrando delle resistenze). Ma l'«innovazione» a cui pensa Veltroni va ben al di là di questo e investe innanzitutto il terreno economico e sociale. Lo farà capire oggi, lo dirà entrando più nel dettaglio sabato prossimo.
Al "loft" si sta mettendo a punto il programma elettorale del Pd. Non sarà né di molte pagine né onnicomprensivo. Veltroni l'ha voluto strutturato in modo tale da mettere in luce i quattro fattori negativi che «bloccano» il Paese e le dieci chiavi necessarie per riuscire a «sbloccarlo». Per far sì, cioè, che l'Italia possa «crescere e investire sulla sua competitività». Perché poi, alla base di tutto, c'è la convinzione di Veltroni che «senza crescita non si raggiungono gli obiettivi dell'equità sociale e delle pari opportunità».

Se già a partire dai prossimi giorni inizieranno a comparire nelle strade italiane i primi manifesti del Pd - «Ora stipendi più alti. Più crescita per l'Italia» - e Veltroni giocherà questa prima fase della campagna elettorale sulla necessità di utilizzare immediatamente l'extragettito fiscale per aumentare i salari, nel programma elettorale verranno posti in primo piano la lotta alla precarietà, il lavoro sul debito pubblico, un migliore sistema dell'istruzione e un diverso sistema fiscale. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, «un nuovo patto generazionale» verrà posto come ineludibile, e per essere funzionale dovrà prevedere lo spostamento di risorse economiche oggi destinate al sistema pensionistico verso operazioni e strumenti in grado di garantire la piena occupazione giovanile. Per la scrittura di questo «patto», secondo i ragionamenti fatti al "loft", non dovranno mancare i contributi tanto delle aziende quanto dei sindacati. Per quanto riguarda il capitolo tasse, il «pagare meno, pagare tutti» dovrà essere interpretato non più, come fatto finora con scarsi risultati, nel senso che prima si deve raggiungere l'obiettivo di far pagare tutti per poi procedere con la diminuzione delle aliquote. La convinzione di Veltroni è che il lavoro sulla riduzione fiscale deve partire immediatamente, che si deve abbandonare la «logica del tassa e spendi che per troppi anni ha caratterizzato la sinistra», ma anche che il debito pubblico dell'Italia, che «va abbattuto», può consentire un consistente abbassamento della pressione complessiva soltanto nell'orizzonte temporale dei prossimi tre anni.

Il programma dovrebbe prevedere poi un «piano nazionale» su istruzione, università e ricerca, interventi che facciano «ripartire la mobilità sociale» e riducano il divario di opportunità tra chi è nato in famiglie più o meno agiate, una «riqualificazione della spesa pubblica» e investimenti e tempi certi per la realizzazione delle infrastrutture.
Il messaggio verrà veicolato a partire dall'Umbria perché lì, come ha detto Veltroni, è «il cuore dell'Italia» e perché lì si incontrano storia e bellezza ma anche modernità e innovazione. Poi verrà veicolato con gli strumenti tradizionali e anche attraverso il sito web del Pd che, fa sapere il responsabile Internet del partito Francesco Verducci, soltanto nella giornata di ieri è stato visitato da 30 mila persone: in 1100 si sono registrati al social network e in circa 500 hanno dato la disponibilità a impegnarsi nella campagna elettorale. La tv del sito (democratica.tv) darà la diretta del discorso da Spello, così come faranno La7 e, sul satellite, Sky, Rainews 24 e Nessuno Tv.
il cannocchiale

venerdì, gennaio 18, 2008

L'analisi politica: Contro Prodi il fronte delle mani libere

AUGUSTO MINZOLINI
Nel Transatlantico di Montecitorio Gianni De Michelis, socialista con buone entrature al Quirinale, che all’insegna dell’unità del nuovo psi è tornato nel centrosinistra, è arcisicuro. «Ormai per il governo è finita - spiega -, siamo agli ultimi giorni di Pompei. Domani chiederò ai nostri di uscire dal governo nazionale e da quello campano. Bassolino doveva dimettersi una settimana fa, invece ha dimostrato non solo di non avere il senso dello Stato ma neppure il buonsenso. Per Berlusconi questo dovrebbe essere il momento per lanciare il governo di grande coalizione. L’ho detto ieri a Confalonieri: “Digli di non pensare alla figa e di lanciare questa proposta. Si faccia o meno, lui ne uscirà comunque come un gigante”».

Lo scandalo rifiuti, le contestazioni al Papa, tre quarti del partito di Clemente Mastella agli arresti domiciliari, l’intesa sulla legge elettorale che salta e sullo sfondo i referendum. Tante botte, una più forte dell’altra. Forse troppe anche per un equilibrista come Romano Prodi. Il filo su cui si regge il governo questa volta potrebbe spezzarsi. Di nuovo si parla di ultimi giorni per il Professore. E i segnali ci sono tutti. A quanto pare Giorgio Napolitano ha addirittura storto il naso sull’idea che il premier assumesse l’interim alla Giustizia. E comunque non vuole che vada avanti per troppo tempo. Solo che Prodi, a sentire i veltroniani, non ha potuto affidarlo neppure al fido Giulio Santagata, il quale cortesemente ha declinato. Il poveretto non se l’è sentita di ficcarsi in quell’alveare impazzito che è il ministero di via Arenula mentre governo e maggioranza sono in bilico.

Eh sì, perché anche se il Professore si mostra tranquillo in pubblico il dibattito sul «dopo Prodi» è tornato di moda. Certo il premier pensa ancora di durare a lungo. E’ convinto che in un modo o nell’altro riuscirà a cavarsela anche questa volta. Napolitano ieri nell’incontro al Quirinale con il premier si è limitato ad annuire. Lo stesso ha fatto Walter Veltroni a cui Prodi ha preannunciato quello che avrebbe fatto. Ma in tutti e due i colloqui si è parlato molto della tesi delle «mani libere», tirata fuori dagli armadi della prima Repubblica da Lamberto Dini e ora ripresa anche da Clemente Mastella. Insomma, il premier non ha più quella polizza di assicurazione che aveva con Mastella dentro il governo. A questo punto ogni giorno per la crisi potrebbe essere buono. A cominciare dal dibattito sulla mozione di sfiducia contro il ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio che si discuterà il 23 gennaio al Senato. A ben vedere il Professore ha una speranza e un unico punto di forza che ripete ai suoi un giorno sì e un altro pure: «Non ho alternative. Chi mi vuol far cadere deve sapere che dopo di me ci sono solo le elezioni».

Solo che, gira che ti rigira, una soluzione gli altri potrebbero anche trovarla. O, magari, per disimpegnarsi da questo camposanto in cui si è trasformata l’Unione, il club delle mani libere o una parte di esso, Mastella o Dini, prima o poi, per una ragione o l’altra, potrebbero passare armi e bagagli con il Cavaliere e aprire la strada al voto. Negli ultimi due giorni Berlusconi ha avuto colloqui con entrambi. Che il governo sia tornato sull’orlo del precipizio lo dimostra un altro segnale inequivocabile: nei Palazzi romani si è tornato a parlare di «dopo-Prodi». Napolitano è tornato a lanciare segnali: farò di tutto - è tornato a far sapere il Capo dello Stato - per evitare che si voti con l’attuale legge elettorale. Berlusconi, invece, che pensa di avere il vento a favore, è tornato a puntare alle elezioni. «Io - ha spiegato ieri ai suoi - non penso a un governo di transizione perché per noi l’opzione ottimale è andare al voto con Prodi a Palazzo Chigi. Non voglio rompere il dialogo con Veltroni, ma gli ho detto che per continuare bisogna tornare a un impianto più maggioritario, a una legge tipo il Vassallum. Altrimenti puntiamo verso il referendum e vediamo se Rifondazione se la sentirà di affrontarlo o se farà saltare il tavolo del governo per evitarlo portandoci direttamente al voto anticipato».

Appunto, Fausto Bertinotti. Dal Sud America il leader di Rifondazione continua a lanciare segnali preoccupanti per Prodi. «Se non si fa la legge elettorale - ha fatto presente - e si va verso il referendum per noi cambia la fase politica. Potremmo anche assumere decisioni traumatiche». E Veltroni? Sul governo continua a intonare lamenti impotenti: «Certo questa palude non ci piace, ma non possiamo essere noi a farlo cadere». Sulla legge elettorale ha invece una posizione che echeggia quella di Berlusconi. «O si va verso uno schema - racconta uno dei dirigenti a lui più vicino - più maggioritario, o per noi va bene il referendum». Un esito che uno degli esperti del leader del Pd, Stefano Ceccanti, dà quasi per scontato: «Ora avremo un po’ di fuffa ma poi andremo al referendum».

Cos’è la «fuffa»? Gli ultimi tentativi di arrivare a una legge. Ieri gli uomini di Bertinotti prima hanno ipotizzato di andare avanti sulla «bozza Bianco» senza il Cavaliere. Un’operazione difficile visto che Berlusconi sa per certo che né la Lega, né An si faranno coinvolgere. Poi Enzo Bianco, l’inventore della «bozza», gli ha spiegato che senza un'iniezione di maggioritario l’intesa è impossibile. Ma anche questo è un tentativo difficile. Bertinotti stringendo i denti potrebbe decidere di percorrere una strada del genere, ma nel percorso potrebbe scendere dal treno dell’accordo Casini e non salirci Fini. Inoltre più i tempi stringono e più le cose si complicano. E con un governo che ogni giorno prende una botta, che precipita nei sondaggi, e con il referendum che incombe potrebbe scattare l’ora del si salvi chi può. Mastella o Dini potrebbero ascoltare le sirene berlusconiane. Oppure Bertinotti potrebbe decidere che non vale la pena di andare a un referendum elettorale che potrebbe uccidere Rifondazione solo per sostenere un governo impopolare. «Se non si evita il referendum - diceva ieri il sottosegretario neo-comunista all’Economia Alfonso Gianni - noi facciamo saltare tutto».