A partire dall'esperienza associativa vissuta nelle ACLI e da quella amministrativa a Napoli e Castellammare di Stabia utilizzo questo spazio per affrontare i temi del dialogo tra le generazioni, del lavoro, della formazione, del welfare, della partecipazione e della loro necessaria innovazione.
giovedì, dicembre 18, 2014
Cuba-USA, se Obama cita José Martí e riconosce che non solo loro sono americani
sabato, ottobre 10, 2009
martedì, gennaio 20, 2009
Le frasi chiave del discorso di Obama
- LE SFIDE - Vi dico oggi che le sfide che abbiamo di fronte sono reali, che sono gravi e sono molte. Non saranno superate facilmente o in un breve arco di tempo, ma vi prometto che le supereremo.
- LE ORIGINI - Nel nostro viaggio non abbiamo mai scelto scorciatoie né ci siamo accontentati. Non è stato il viaggio di chi preferisce lo svago al lavoro o persegue solo i piaceri dei ricchi e famosi. E' stato piuttosto il viaggio di chi corre rischi, (...) di uomini e donne che hanno lavorato, spesso senza fama, e che ci hanno portati verso la prosperità e la libertà. Hanno viaggiato attraverso oceani alla ricerca di una nuova vita. Hanno lavorato (...) hanno combattuto e sono morti, a Concord e Gettysburg, in Normandia e a Khe Sahn.
- ORGOGLIO - Rimaniamo la più prospera e potente nazione in Terra. I nostri lavoratori non sono meno produttivi di quando questa crisi è iniziata. Le mostre menti non sono meno ingegnose... Ma é finito il tempo di proteggere interessi limitati e di rimandare le decisioni scomode. A partire da oggi dobbiamo rialzarci, scrollarci la polvere di dosso e ricominciare il lavoro per rifare l'America.
- ECONOMIA - Ovunque si guardi c'é del lavoro da fare. Lo stato della nostra economia ci chiama all'azione, coraggiosa e rapida. E noi agiremo, non solo per creare nuovi posti di lavoro, ma per gettare le nuove fondamenta della crescita.
- FALSE SCELTE - Quel che i cinici non hanno ancora capito è che il terreno é franato sotto i loro piedi. Che gli argomenti politici stantii che ci hanno consumato tanto a lungo non valgono più. La domanda da farsi oggi non è se il governo è troppo grande o troppo piccolo ma se funziona. Né la domanda deve essere se il mercato sia una forza buona o cattiva: il suo potere di generare ricchezza e espandere la libertà è senza rivali, ma questa crisi ci ha ricordato che senza un occhio attento i mercati possono perdere il controllo e una nazione non può prosperare quando favorisce solo chi è prospero.
- IRAQ E AFGHANISTAN - Inizieremo a lasciare responsabilmente l'Iraq alla sua gente, a forgiare la pace in Afghanistan. Con vecchi amici e ex nemici, lavoreremo instancabilmente per contenere la minaccia nucleare. Non ci scuseremo per il nostro modo di vita e non esiteremo nel difenderlo. E a coloro che vogliono avanzare inducendo il terrore e massacrando innocenti, diciamo che il nostro spirito é più forte e non può essere spezzato; non potete batterci, noi vi sconfiggeremo.
- UNA NAZIONE PATCHWORK - Sappiamo che la nostra eredità patchwork è forza e non debolezza. Siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei, indù e non credenti. Siamo formati da ogni lingua e cultura, provenienti da ogni angolo della Terra; e siccome abbiamo sentito il sapore amaro della guerra civile e della segregazione e siamo emersi da quel buio capitolo più forti e più uniti, non possiamo che credere che vecchi odi un giorno passeranno... che l'America deve giocare il suo ruolo nell'avviare una nuova era di pace.
- MANO TESA ALL'ISLAM - Al mondo islamico: noi cerchiamo una nuova strada basata sul mutuo interesse e sul mutuo rispetto. A coloro che si aggrappano al potere con la corruzione e con l'inganno e che reprimono il dissenso, sappiate che siete dalla parte sbagliata della storia, ma che noi vi tendiamo la mano se siete disposti ad aprire il vostro pugno.
- POVERTA' E AMBIENTE - Ai popoli delle nazioni povere: ci impegniamo a lavorare al vostro fianco per far prosperare le vostre fattorie e far scorrere acqua pulita, per nutrire corpi e menti. E a quelle nazioni che come noi godono di benessere diciamo che non possiamo più guardare con indifferenza chi soffre fuori dai nostri confini, così come non possiamo consumare le risorse del mondo senza considerarne gli effetti. Perché il mondo è cambiato e noi cambieremo con lui.
- VALORI E RESPONSABILITA' - Le nostre sfide possono essere nuove, ma i valori dai quali dipende il nostro successo - lavoro duro e onestà, coraggio e correttezza, tolleranza e curiosità, lealtà e patriottismo - queste cose sono antiche (...). Quel che ci viene richiesto è una nuova era di responsabilità, un riconoscimento da parte di ogni americano che abbiamo doveri verso noi stessi, verso la nazione e verso il mondo, doveri che non accettiamo a malincuore ma che abbracciamo di buon grado (...). Questo è il prezzo e la promessa dell'essere cittadino, questa è la forza della nostra fiducia, la consapevolezza che Dio ci chiama a dar forma a un futuro incerto.
Il discorso integrale di inaugurazione del presidente Barack Obama.
’Miei concittadini.
Sono qui oggi pieno di umiltà di fronte al compito che abbiamo di fronte, grato per la fiducia che mi avete dimostrato, conscio dei sacrifici compiuti dai nostri antenati. Ringrazio il presidente Bush per il suo servizio alla nostra nazione, come anche per la generosità e la cooperazione che ha dimostrato in questo periodo di transizione.
Quarantaquattro americani adesso hanno pronunciato il giuramento presidenziale, parole che sono state dette in tempi di prosperità e nelle acque tranquille della pace. Ma ogni tanto il giuramento è pronunciato in mezzo a nuvole che si addensano e a temporali furiosi. In questi momenti, l’America è andata avanti non solo grazie alla abilità e alla lungimiranza di chi la guidava ma perchè ‘Noi, il popolo’, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri antenati, e fedeli ai nostri documenti fondatori.
Così è stato. Così deve essere in questa generazione di americani. Che siamo nel mezzo di una crisi ormai è stato ben capito. Il nostro Paese è in guerra, contro una rete dai lunghi tentacoli di violenza e di odio. La nostra economia è gravemente indebolita, conseguenza della rapacità e della irresponsabilità di alcuni, ma anche della nostra collettiva incapacità di fare scelte difficili e preparare il paese per una nuova era. Alcuni hanno perso la casa, altri il lavoro, imprese sono fallite. Il nostro sistema sanitario è troppo costoso, le nostre scuole non funzionano per troppi, e ogni giorno ci porta altre prove che il modo in cui usiamo l’energia rafforza i nostri avversari e minaccia il nostro pianeta.
Questi sono gli indicatori della crisi, misurabili con le cifre e le statistiche. Meno misurabile ma non meno profonda è la perdita di fiducia in tutta la nostra terra, l’insistente timore che il declino dell’America sia inevitabile, e che la nuova generazione dovrà abbassare le sue mire.
Oggi vi dico che le sfide che affrontiamo sono reali. Sono serie e sono molte. Non sarà possibile risolverle facilmente né in breve tempo. Ma sappi questo, America: le risolveremo. In questo giorno, ci riuniamo perché abbiamo scelto la speranza invece della paura, l’unità d’intenti invece del conflitto e della discordia.
In questo giorno, veniamo a proclamare la fine delle meschine divergenze e delle false promesse, delle recriminazioni e dei dogmi usurati che per troppo tempo hanno strangolato la nostra politica.
Rimaniamo una giovane nazione, ma nelle parole delle Scritture, è giunto il momento di mettere da parte le cose da bambino (NdT: Lettera Ai Corinzi, 13:11). E’ giunto il momento di riaffermare il nostro spirito; di scegliere la nostra storia migliore, di sostenere quel dono prezioso, quella nobile idea passata di generazione in generazione: la promessa divina che tutti sono uguali, tutti sono liberi, tutti meritano l’opportunità di perseguire la loro piena felicità.
Nel riaffermare la grandezza della nostra nazione, capiamo che la grandezza non va mai data per scontata. Bisogna guadagnarsela. Il nostro viaggio non è mai stato fatto di scorciatoie o di ribassi. Non è stato un sentiero per i deboli di cuore, per chi preferisce l’ozio al lavoro, o cerca solo i piaceri delle ricchezze e della celebrità. E’ stato invece il percorso di chi corre rischi, di chi agisce, di chi fabbrica: alcuni celebrato ma più spesso uomini e donne oscuri nelle loro fatiche, che ci hanno portato in cima a un percorso lungo e faticoso verso la prosperità e la libertà.
Per noi hanno messo in valigia le poche cose che possedevano e hanno traversato gli oceani alla ricerca di una nuova vita. Per noi hanno faticato nelle fabbriche e hanno colonizzato il West; hanno tollerato il morso della frusta e arato il duro terreno. Per noi hanno combattuto e sono morti in posti come Concord e Gettysburg, la Normandia e Khe Sahn.
Ancora e ancora questi uomini e queste donne hanno lottato e si sono sacrificati e hanno lavorato fino ad avere le mani in sangue, perché noi potessimo avere un futuro migliore. Vedevano l’America come più grande delle somme delle nostre ambizioni individuali, più grande di tutte le differenze di nascita o censo o partigianeria’. ‘Questo è il viaggio che continuiamo oggi.
Rimaniamo il paese più prosperoso e più potente della Terra. I nostri operai non sono meno produttivi di quando la crisi è cominciata. Le nostre menti non sono meno inventive, i nostri beni e servizi non meno necessari della settimana scorsa o del mese scorso o dell’anno scorso. Le nostre capacità rimangono intatte. Ma il nostro tempo di stare fermi, di proteggere interessi meschini e rimandare le decisioni sgradevoli, quel tempo di sicuro è passato. A partire da oggi, dobbiamo tirarci su, rimetterci in piedi e ricominciare il lavoro di rifare l’America.
Perché ovunque guardiamo, c’è lavoro da fare. Lo stato dell’economia richiede azioni coraggiose e rapide, e noi agiremo: non solo per creare nuovi lavori ma per gettare le fondamenta della crescita. Costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche, le linee digitali per nutrire il nostro commercio e legarci assieme. Ridaremo alla scienza il posto che le spetta di diritto e piegheremo le meraviglie della tecnologia per migliorare le cure sanitarie e abbassarne i costi. Metteremo le briglie al sole e ai venti e alla terra per rifornire le nostre vetture e alimentare le nostre fabbriche. E trasformeremo le nostre scuole e i college e le università per soddisfare le esigenze di una nuova era.
Tutto questo possiamo farlo. E tutto questo faremo. Ci sono alcuni che mettono in dubbio l’ampiezza delle nostre ambizioni, che suggeriscono che il nostro sistema non può tollerare troppi piani grandiosi. Hanno la memoria corta. Perché hanno dimenticato quanto questo paese ha già fatto: quanto uomini e donne libere possono ottenere quando l’immaginazione si unisce a uno scopo comune, la necessità al coraggio.
Quello che i cinici non riescono a capire è che il terreno si è mosso sotto i loro piedi, che i diverbi politici stantii che ci hanno consumato tanto a lungo non hanno più corso. La domanda che ci poniamo oggi non è se il nostro governo sia troppo grande o troppo piccolo, ma se funziona: se aiuta le famiglie a trovare lavori con stipendi decenti, cure che possono permettersi, una pensione dignitosa. Quando la risposta è sì, intendiamo andare avanti. Quando la risposta è no, i programmi saranno interrotti.
E quelli di noi che gestiscono i dollari pubblici saranno chiamati a renderne conto: a spendere saggiamente, a riformare le cattive abitudini, e fare il loro lavoro alla luce del solo, perché solo allora potremo restaurare la fiducia vitale fra un popolo e il suo governo’.
‘Né la domanda è se il mercato sia una forza per il bene o per il male. Il suo potere di generare ricchezza e aumentare la libertà non conosce paragoni, ma questa crisi ci ha ricordato che senza occhi vigili, il mercato può andare fuori controllo, e che un paese non può prosperare a lungo se favorisce solo i ricchi. Il successo della nostra economia non dipende solo dalle dimensioni del nostro prodotto interno lordo, ma dall’ampiezza della nostra prosperità, dalla nostra capacità di ampliare le opportunità a ogni cuore volonteroso, non per beneficenza ma perché è la via più sicura verso il bene comune.
Per quel che riguarda la nostra difesa comune, respingiamo come falsa la scelta tra la nostra sicurezza e i nostri ideali. I Padri Fondatori, di fronte a pericoli che facciamo fatica a immaginare, prepararono un Carta che garantisse il rispetto della legge e i diritti dell’uomo, una Carta ampliata con il sangue versato da generazioni. Quegli ideali illuminano ancora il mondo e non vi rinunceremo in nome del bisogno. E a tutte le persone e i governi che oggi ci guardano, dalle capitali più grandi al piccolo villaggio in cui nacque mio padre, dico: sappiate che l’America è amica di ogni nazione e di ogni uomo, donna e bambino che cerca un futuro di pace e dignità, e che siamo pronti di nuovo a fare da guida.
Ricordate che le generazioni passate sconfissero il fascismo e il comunismo non solo con i carri armati e i missili, ma con alleanze solide e convinzioni tenaci. Capirono che la nostra forza da sola non basta a proteggerci, né ci dà il diritto di fare come ci pare. Al contrario, seppero che il potere cresce quando se ne fa un uso prudente; che la nostra sicurezza promana dal fatto che la nostra causa giusta, dalla forza del nostro esempio, dalle qualità dell’umiltà e della moderazione.
Noi siamo i custodi di questa eredità. Guidati ancora una volta da questi principi, possiamo affrontare quelle nuove minacce che richiedono sforzi ancora maggiori - e ancora maggior cooperazione e comprensione fra le nazioni. Inizieremo a lasciare responsabilmente l’Iraq al suo popolo, e a forgiare una pace pagata a caro prezzo in Afghanistan. Insieme ai vecchi amici e agli ex nemici, lavoreremo senza sosta per diminuire la minaccia nucleare, e allontanare lo spettro di un pianeta surriscaldato.
Non chiederemo scusa per la nostra maniera di vivere, né esiteremo a difenderla, e a coloro che cercano di ottenere i loro scopi attraverso il terrore e il massacro di persone innocenti, diciamo che il nostro spirito è più forte e non potrà essere spezzato. Non riuscirete a sopravviverci, e vi sconfiggeremo.
Perché sappiamo che il nostro multiforme retaggio è una forza, non una debolezza: siamo un Paese di cristiani, musulmani, ebrei e indù - e di non credenti; scolpiti da ogni lingua e cultura, provenienti da ogni angolo della terra. E dal momento che abbiamo provato l’amaro calice della guerra civile e della segregazione razziale, per emergerne più forti e più uniti, non possiamo che credere che odii di lunga data un giorno scompariranno; che i confini delle tribù un giorno si dissolveranno; che mentre il mondo si va facendo più piccolo, la nostra comune umanità dovrà venire alla luce; e che l’America dovrà svolgere un suo ruolo nell’accogliere una nuova era di pace.
Al mondo islamico diciamo di voler cercare una nuova via di progresso, basato sull’interesse comune e sul reciproco rispetto. A quei dirigenti nel mondo che cercano di seminare la discordia, o di scaricare sull’Occidente la colpa dei mali delle loro società, diciamo: sappiate che il vostro popolo vi giudicherà in base a ciò che siete in grado di costruire, non di distruggere. A coloro che si aggrappano al potere grazie alla corruzione, all’inganno, alla repressione del dissenso, diciamo: sappiate che siete dalla parte sbagliata della Storia; ma che siamo disposti a tendere la mano se sarete disposti a sciogliere il pugno.
Ai popoli dei Paesi poveri, diciamo di volerci impegnare insieme a voi per far rendere le vostre fattorie e far scorrere acque pulita; per nutrire i corpi e le menti affamate. E a quei Paesi che come noi hanno la fortuna di godere di una relativa abbondanza, diciamo che non possiamo più permetterci di essere indifferenti verso la sofferenza fuori dai nostri confini; né possiamo consumare le risorse del pianeta senza pensare alle conseguenze. Perché il mondo è cambiato, e noi dobbiamo cambiare insieme al mondo.
Volgendo lo sguardo alla strada che si snoda davanti a noi, ricordiamo con umile gratitudine quei coraggiosi americani che in questo stesso momento pattugliano deserti e montagne lontane. Oggi hanno qualcosa da dirci, così come il sussurro che ci arriva lungo gli anni dagli eroi caduti che riposano ad Arlington: rendiamo loro onore non solo perché sono custodi della nostra libertà, ma perché rappresentano lo spirito di servizio, la volontà di trovare un significato in qualcosa che li trascende.
Eppure in questo momento - un momento che segnerà una generazione - è precisamente questo spirito che deve animarci tutti. Perché, per quanto il governo debba e possa fare, in definitiva sono la fede e la determinazione del popolo americano su cui questo Paese si appoggia. E’ la bontà di chi accoglie uno straniero quando le dighe si spezzano, l’altruismo degli operai che preferiscono lavorare meno che vedere un amico perdere il lavoro, a guidarci nelle nostre ore più scure. E’ il coraggio del pompiere che affronta una scala piena di fumo, ma anche la prontezza di un genitore a curare un bambino, che in ultima analisi decidono il nostro destino.
Le nostre sfide possono essere nuove, gli strumenti con cui le affrontiamo possono essere nuovi, ma i valori da cui dipende il nostro successo - il lavoro duro e l’onestà, il coraggio e il fair play, la tolleranza e la curiosità, la lealtà e il patriottismo - queste cose sono antiche. Queste cose sono vere.
Sono state la quieta forza del progresso in tutta la nostra storia. Quello che serve è un ritorno a queste verità. Quello che ci è richiesto adesso è una nuova era di responsabilità - un riconoscimento, da parte di ogni americano, che abbiamo doveri verso noi stessi, verso la nazione e il mondo, doveri che non accettiamo a malincuore ma piuttosto afferriamo con gioia, saldi nella nozione che non c’è nulla di più soddisfacente per lo spirito, di più caratteristico della nostra anima, che dare tutto a un compito difficile.
Questo è il prezzo e la promessa della cittadinanza. Questa è la fonte della nostra fiducia: la nozione che Dio ci chiama a forgiarci un destino incerto. Questo il significato della nostra libertà e del nostro credo: il motivo per cui uomini e donne e bambine di ogni razza e ogni fede possono unirsi in celebrazione attraverso questo splendido viale, e per cui un uomo il cui padre sessant’anni fa avrebbe potuto non essere servito al ristorante oggi può starvi davanti a pronunciare un giuramento sacro.
E allora segnamo questo giorno col ricordo di chi siamo e quanta strada abbiamo fatto. Nell’anno della nascita dell’America, nel più freddo dei mesi, un drappello di patrioti si affollava vicino a fuochi morenti sulle rive di un fiume gelato. La capitale era abbandonata. Il nemico avanzava, la neve era macchiata di sangue.
E nel momento in cui la nostra rivoluzione più era in dubbio, il padre della nostra nazione ordinò che queste parole fossero lette al popolo: ‘Che si dica al mondo futuro... Che nel profondo dell’inverno, quando nulla tranne la speranza e il coraggio potevano sopravvivere... Che la città e il paese, allarmati di fronte a un comune pericolo, vennero avanti a incontrarlo’.
America. Di fronte ai nostri comuni pericoli, in questo inverno delle nostre fatiche, ricordiamoci queste parole senza tempo. Con speranza e coraggio, affrontiamo una volta ancora le correnti gelide, e sopportiamo le tempeste che verranno. Che i figli dei nostri figli possano dire che quando fummo messi alla prova non ci tirammo indietro né inciampammo; e con gli occhi fissi sull’orizzonte e la grazia di Dio con noi, portammo avanti quel grande dono della libertà, e lo consegnammo intatto alle generazioni future’.
Inauguration day. Con Obama protagonista la società civile anche oggi.
Dopo un intervallo musicale, durante il quale canterà tra gli altri anche Aretha Franklin, alle 12 (le 18 in Italia) Obama giurerà sulla Bibbia del presidente Lincoln di fronte al presidente della Corte Suprema, John Roberts. Successivamente ci sarà il discorso inaugurale del nuovo presidente e la benedizione del reverendo Joseph Lowery. Quindi si svolgerà una breve cerimonia di addio all'ex presidente Bush.
Dopo il pranzo inaugurale organizzato dal Congresso, Obama percorrerà in parata la Pennsylvania Avenue. Prima dell'ingresso alla Casa Bianca, il neo presidente assisterà alle sfilate dei gruppi invitati da tutta l'America. Infine, in serata, alle 21, Obama e la moglie Michelle, nuova first lady, apriranno le danze del primo ballo inaugurale al Walter e Washington Convention Center.
Sono circa 2 milioni le persone attese a Washington per il giuramento, i più fortunati assisteranno alla cerimonia da sotto la tribuna dove sono state collocate 28 mila sedie. Per gli altri possessori di biglietti sono stati riservati 240 mila posti in piedi. Chi invece è rimasto senza ticket dovrà accontentarsi dei 24 maxi-schermi installati lungo The National Mall, che si estende da Capitol Hill al Lincoln Memorial.
Imponenti le misure di sicurezza per l'Inauguration Day. Per l'occasione saranno schierati oltre 8.000 poliziotti, 7.500 militari, 10 mila membri della Guardia Nazionale. Prevista naturalmente anche la presenza di centinaia di agenti dell'Fbi.
da Vita.it
Oggi negli Usa è il Martin Luther King Day, giornata nazionale del volontariato.
E il volontariato sarà protagonista anche oggi con l'insediamento di un presidente che riporta in primo piano la società civile
Obama il formatore. Mentre scriviamo questo post, il 19 gennaio, 11mila persone di ogni età, sesso ed etnia stanno facendo volontariato negli Stati Uniti. Perché oggi è il Martin Luther King Jr Day, dal 1994 giornata nazionale del volontariato. Ma, soprattutto, perché il presidente eletto ha insegnato a ciascuno di loro come farlo. Con un sito – il portale USAservice.org da lui fortemente voluto e realizzato dal suo comitato – che è un driver sull’attivismo dal basso. Intro, Set up, Plan, Recruit, Host: il sito si naviga come un manuale di installazione, premendo “continua” per passare dalla sezione “come organizzare un evento di volontariato” alla istruzioni per pianificarlo e poi a quelle per reclutare e formare attivisti. Completata la formazione, si passa all’azione, e ai modi più efficaci per comunicarla: sms con data, scopo e location della propria azione sociale al 56333, numero studiato dal 30enne direttore dei new media obamiani Macon Philips, una pubblicazione diretta sul sito tramite il più classico dei menù a tendina, un concorso di video su YouTube che sarà premiato con una telefonata della first lady Michelle.
Chi credeva che Obama si sarebbe accontentato delle legioni formate in campagna elettorale – i 13milioni di cittadini presenti sulla sua mailing list, i 3milioni di donatori, i 2milioni di profili creati sul suo sito di social networking MyBarackObama e l’1,2milioni di volontari – , sbagliava. Tra la crisi economica in casa e la guerra tra Gaza e Israele, nella transizione tra Chicago e Washington si è dedicato a connettere, e a trasformare in organizzatori di reti di solidarietà e attivismo, nuovi agenti di cambiamento sociale. A gasarli, e non solo su Internet, facendo della società civile un protagonista dell’Inauguration day, al pari di Bono e di Bruce Springsteen. Il 20 gennaio, 8 beneficiari e 2 volontari della N Street Villane, charity di Washington che assiste le donne homeless, presenzieranno al Ballo di inaugurazione. E, sempre il 20, una delegazione di ex AmeriCorps, il corpus di volontari civili voluti da Bill Gates che Obama ha promesso di potenziare, marceranno nella parata come unico gruppo non militare. E l’elenco della società civile coinvolta nell’evento inaugurazione potrebbe andare avanti a lungo. L’importante, è che a tutti sia chiaro questo: la nottata della vittoria elettorale, così come l’Inauguration Day, è solo l’inizio di un cambiamento sociale in mano alla gente.
domenica, novembre 16, 2008
La rivoluzione ambientale: differenze tra U.S.A. e Italia
giovedì, novembre 06, 2008
Berlusconi scivola su Obama 'abbronzato'. Bufera sul premier
Berlusconi scivola su Obama 'abbronzato'. Bufera sul premier
"Imbecille chi non capisce, vada a..." Veltroni: Chieda scusa
Tutto succede durante la conferenza stampa congiunta con il presidente russo Dmitri Medvedev al termine del vertice intergovernativo a Mosca. Nel day after dell'elezione, inevitabile la domanda sul futuro dei rapporti Russia-Usa. Ed è allora che il Cavaliere si dice convinto che Obama abbia tutto per andare d'accordo con Medvedev perché "è bello, giovane e abbronzato". Una battuta sul colore della pelle che rimbalza a Roma, indignando l'opposizione, ma che il premier si affretta a difendere. Era solo "un complimento", una "assoluta carineria" dice il Cavaliere, che non si limita all'autodifesa. "Veramente c'è qualcuno che pensa che non sia stata una carineria? Se scendono in campo gli imbecilli - insiste - siamo fregati. Dio ci salvi dagli imbecilli". Qualcuno insiste sulla gaffe? Il Cavaliere perde la pazienza: "Come si fa a prendere un grande complimento come una cosa negativa? Ma che vadano a...Se hanno anche il torto di non avere 'sense of humor', peggio per loro".
La reazione dell'opposizione alle parole del Cavaliere è determinata quanto la difesa degli uomini del Pdl, in prima fila quelli di origine Forza Italia. Il leader del Partito democratico, Walter Veltroni, invita il premier a chiedere scusa e poi insiste: "Un uomo di Stato non può consentirsi, con battute da cabaret, questa mancanza di rispetto che caratterizza spesso i comportamenti pubblici del presidente del Consiglio". Di "battute da avanspettacolo che tradiscono un razzismo strisciante" parla il capogruppo dell'Italia dei Valori alla Camera, Massimo Donadi. "Con le sue battute infelici e grevi - dichiara - Berlusconi scredita l'Italia sullo scenario internazionale. Mai un presidente del Consiglio era caduto così in basso".
In difesa di Silvio Berlusconi scende in campo il Pdl con una selva di dichiarazioni. A cominciare da quelle dei due capigruppo di Senato e Camera. Per Maurizio Gasparri, che appena ieri era finito nella bufera per la sua frase su Al-Quaeda contenta dell'elezione di Obama, quella del premier era solo una "battuta da parente maggiore". Critico nei confronti dell'opposizione, è poi Fabrizio Cicchitto: "Alcuni esponenti della sinistra, che hanno una visione tetra della vita, stanno scatenando una tempesta in un bicchier d'acqua". E se per il ministro Ignazio la Russa "Veltroni e soci sanno solo scaldalizzarsi", sprezzante è in serata la replica del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti. "Prima hanno dato l'ordine di fare baccano a tutti i pifferi, i clarinetti, le trombe, le grancasse della sinistra. L'ultimo colpo di trombone di Veltroni - dichiara - ha chiuso, come ci si aspettava, la pessima esibizione dell'Esercito dei Moralisti della sinistra".
leggiamo un pò dall'estero. The Guardian
Obama is young, handsome and tanned, says Silvio Berlusconi
The Italian prime minister raises eyebrows with more of his off-key remarks, this time about Barack Obama
rime minister, offered his own particular form of praise today for America's president-elect Barack Obama, describing him as "young, handsome and tanned.''
Belusconi, who is known for his regular off-key remarks, subsequently claimed to be joking after he spoke of Obama at a news conference, following talks with the Russian president, Dmitry Medvedev.
When asked by a reporter about the future prospect of US-Russian relations, Berlusconi referred to the youth of both leaders - Medvedev, 43, and Obama, 47 - which he said should make it easier for Moscow and Washington to work together.
He then continued: "I told the president that [Obama] has everything needed in order to reach a deal with him: he's young, handsome and tanned."
Later, when he returned to his hotel, Berlusconi said his comment that Obama was "giovane, bello e abbronzato", "was a big compliment," which only "imbeciles" would misinterpret, Italy's state news wire Ansa reported. "If some people don't have a sense of humour, then it's their problem,'' he said.
It is not the first time Berlusconi's descriptions have jarred with the public. When he took over the rotating presidency of the EU in 2003, he likened Martin Schulz, a German member of the European Parliament, to a concentration camp guard.
In the same year, at an event sponsored by the New York Stock Exchange in America, he said people should invest in Italy because the women there are pretty. "We have beautiful ladies and beautiful women, so my suggestion from the bottom of my heart is to try to make investments in Italy,'' he said. "The secretaries are beautiful.''
Berlusconi's comments on Obama were not the only ones raising eyebrows today. The Iranian president, Mahmoud Ahmadinejad, sent a congratulatory message, the first time an Iranian leader has offered his good wishes to an American president-elect since the Islamic Revolution in 1979.
Ahmadinejad is said to have congratulated Obama on "attracting the majority of voters in the election'', according to a report by the official IRNA news agency. He went on to say he hoped Obama would "use the opportunity to serve the (American) people and leave a good name'' during his term.
While Iran and the US have had no formal diplomatic relations since 1979, Ahmadinejad did send President Bush a slightly less succinct offering two years ago: an 18-page letter containing his views and questions on religion, history and international relations.
mercoledì, novembre 05, 2008
Barack Obama; il discorso integrale della vittoria.. Bello, davvero!
Salve, Chicago.
Se c’è ancora qualcuno là fuori che ancora dubita che l’America sia un luogo in cui ogni cosa è possibile, che ancora si chiede se i sogni dei nostri Padri Fondatori siano ancora vivi ai giorni nostri, che ancora si interroga sulla reale potenza della nostra democrazia, stanotte ha trovato le sue risposte.
E’ la risposta che viene dalle code che si sono allungate intorno alle scuole e alle chiese, con numeri che questa nazione non aveva mai visto, formate da persone che hanno aspettato 3, 4 ore, molti per la prima volta nella loro vita, perchè hanno creduto che questa volta dovesse essere diversa, che la loro voce potesse fare la differenza.
E’ la risposta data da giovani e vecchi, ricchi e poveri, democratici e repubblicani, bianchi, neri, ispanici, asiatici, nativi americani, omosessuali, eterosessuali, disabili e non disabili, Americani che hanno lanciato un messaggio al mondo che dice che noi non siamo mai stati solo un insieme di stati blu e stati rossi ma che siamo e saremo sempre gli Stati Uniti d’America.
E’ la risposta di chi si è sentito dire per tantissimo tempo che bisognava essere cinici, spaventati e dubbiosi in merito a quanto avremmo potuto ottenere, e che hanno messo la loro impronta sul corso della storia, e che si sono mossi verso la speranza di avere giorni migliori.
E’ stata dura, ma stanotte, proprio grazie a ciò che abbiamo fatto in questo giono, in queste elezioni, in questo momento cruciale, il cambiamento è arrivato in America.
Poco fa ho ricevuto la straordinaria e gentile chiamata del Senatore John McCain.
Il sen. McCain ha combattuto a lungo e duramente durante questa campagna e ha combattuto ancor più a lungo e più duramente per la nazione che ama.
Ha affrontato sacrifici per l’America che molti di noi non possono nemmeno iniziare ad immaginare. Siamo diventati migliori anche grazi ai servizi resi da questo altruista e coraggioso leader.
Mi complimento con lui e con la governatrice Palin per tutto ciò che hanno ottenuto e guardo alla prospettiva di lavorare con loro per rinnovare le promesse fatte a questa nazione nei prossimi mesi.
Voglio ringraziare il mio compagno in questo viaggio, un uomo che ha fatto campagna con il cuore e che ha combattuto per gli uomini e le donne con cui è cresciuto. Il Vice Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden.
Non sarei qui oggi senza l’instancabile supporto della mia migliore amica da 16 anni a questa parte, la roccia della nostra famiglia, l’amore della mia vita, la nuova first lady, Michelle Obama. Sacha e Maliya, vi amo entrambe più di quanto immaginate e vi siete meritate un nuovo cagnolino che verrà con noi alla Casa Bianca.
Sebbene non sia più con noi, so che mia nonna ci sta guardando insieme alla famiglia che mi ha reso quello che sono. Stanotte sento la loro mancanza e so che il mio debito nei loro confronti è smisurato. Mia sorella Mya, mia sorella Almond, tutti i miei fratelli e le mie sorelle, grazie mille per tutto il supporto che mi avete dato. Gli sono molto grato.
Un grazie va al manager della mia campagna elettorale, l’eroe silenzioso di questa campagna che l’ha resa la migliore di sempre; al mio consulente capo di strategia, che mi è stato accanto ad ogni passo.Grazie al miglior team mai messo insieme nella storia della politica, voi avete reso tutto ciò possibile e vi sarò grato per sempre per tutto ciò che avete sacrificato per arrivare fino a qui.
Ma soprattutto non dimenticherò mai a chi realmente appartiene questa vittoria. Appartiene a voi. Appartiene a voi. Non sono mai stato il candidato perfetto per questo incarico, sin dall’inizio, senza tanti soldi e con nessun supporto importante. La nostra campagna non si è tenuta nei salotti di Washington ma è iniziata nei cortili di DeMoines, nei soggiorni di Concorde e nei portici di Charleston, costruita da lavoratori e lavoratrici che hanno scavato nei loro risparmi per trovare 5, 10, 20 dollari da devolvere alla causa.
E’ cresciuta forte fra i giovani che rifiutavano il mito che vorrebbe descrivere la loro generazione come una generazione apatica e che hanno lasciato le loro famiglie per lavori che offrono pochi soldi e ancora meno riposo.
E’ cresciuta forte grazie agli anziani, che hanno affrontato il freddo pungente e il caldo assoluto per bussare alle porte di perfetti sconosciuti e grazie ai milioni di Americani che hanno contribuito come volontari e hanno organizzato tutto dimostrando che oltre 200 anni dopo la nostra fondazione un governo che nasce e cresce dal popolo non è un’illusione irrealizzabile.
Questa è la vostra vittoria!
So che non lo avete fatto solo per vincere un’elezione e so che non l’avete fatto per me.
Lo avete fatto perchè avete compreso l’enormità della prova che ci troviamo ad affrontare.
Anche se siamo qui a festeggiare, oggi, conosciamo già le sfide che si presenteranno domani e sappiamo che sono le più importanti della nostra vita.
Due guerre, un pianeta in crisi, la peggior crisi finanziaria del secolo.
Anche se siamo qui a festeggiare, oggi, sappiamo che ci sono americani coraggiosi che si stanno svegliando, adesso, nel deserto dell’Iraq, nelle montagne dell’Afghanistan e rischiano la loro vita per noi.
Le madri e i padri che, una volta messi a letto i bambini, si raccapezzano per capire come fare a pagare il mutuo, o le spese mediche., o per risparmiare abbastanza per garantire l’educazione ai loro figli.
Bisogna reperire nuova energia, creare nuovi posti di lavoro, costruire nuove scuole.
La strada difronte a noi è lunga e ripida, potremmo non raggiungere l’obiettivo in un anno o forse nemmeno in un mandato ma, America, non sono mai stato tanto speranzoso come oggi.
Vi prometto che noi come popolo, ce la faremo.
Ci saranno ostacoli, ci saranno false partenze e molti potranno non concordare con molte delle decisioni che prenderò da Presidente, e sappiamo che il Governo non può risolvere ogni problema ma sarò sempre onesto con voi sulle sfide che affronteremo.
Vi ascolterò, specialmente quando non saremo d’accordo e vi chiederò di unirvi a me nell’opera di ricostruzione di questa nazione nell’unico modo in cui è stato fatto da 220 anni a questa parte: quartiere per quartiere, mattone per mattone.
Ciò che è iniziato 21 mesi fa nel pieno dell’nverno non può finire in questa sera d’autunno.
Questa vittoria da sola non rappresenta il cambiamento di cui abbiamo bisogno, è solo la possibilità che abbiamo per creare quel cambiamento ma ciò non avverrà se torneremo indietro allo stato in cui erano prima le cose. Non può avvenire senza di voi, senza un nuovo spirito di servizio, senza un nuovo spirito di sacrificio.
Costruiamo quindi un nuovo spirito fatto di patriottismo, di responsabilità in cui ognuno di noi risolve un piccolo tassello del problema e lavora duro, e non si preoccupa solo di se stesso ma anche degli altri.
Indirizziamo questo nuovo spirito ai responsabili di questa crisi finanziaria affinchè sia chiaro che non possiamo avere una strada (Wall Street) che si gonfia mentre la strada principale della città muore (nel senso di centro del commercio, NdS).
In questo paese noi cadiamo e ci rialziamo come una sola nazione, come un unico popolo.
Dobbiamo resistere alla tentazione di cadere di nuovo sui vecchi passi sbagliati, sull’immaturità che ha avvelenato la nostra politica per così tanti anni.
Dobbiamo ricordare che fu un uomo di questo Stato che per primo issò la bandiera del Partito Repubblicano sulla Casa Bianca, un partito fondato sui valori della libertà individuale, dell’autonomia e dell’unità nazionale. Valori che noi tutti condividiamo e sebbene il Partito Democratico abbia ottenuto una grande vittoria oggi noi ci presentiamo con umiltà e con la volontà di ricucire le divisioni che hanno rallentato il nostro progresso.
Lincoln disse ad una nazione molto più divisa della nostra:
“Non siamo nemici ma amici. La passione che ci anima non potrà spezzare l’affetto che ci unisce.”
A tutti gli Americani che non mi hanno supportato dico che potrò non aver avuto il vostro voto oggi ma ascolterò le vostre voci. Ho bisogno del vostro aiuto e sarò anche il vostro Presidente.
A tutti coloro che ci guardano stanotte dall’estero, da Parlamenti e Palazzi stranieri, a tutti coloro che ci ascoltano per radio da qualche sperduto angolo del mondo io dico che le nostre storie sono diverse ma il nostro destino è uno e una nuova alba nella leadership Americana sta sorgendo.
A coloro che vogliono distruggere il mondo dico che li sconfiggeremo. A coloro che cercano la pace e la sicurezza dico che li aiuteremo. E a tutti coloro che si chiedono se la fiamma dell’America brucia ancora io rispondo che la forza di questa nazione non arriva dal livello della nostra potenza o della nsotra sanità ma arriva dal potere dei nostri ideali.
Democrazia, libertà, opportunità e un’instancabile speranza.
La vera genialità dell’America sta nella capacità che ha di cambiare.
La nostra unione può essere perfezionata e ciò che abbiamo già ottenuto ci dà forza e speranza per ciò che dobbiamo e possiamo ottenere domani.
Quest’elezione ha tanti record e molte storie in merito verrano raccontate alle prossime generazioni.
Ciò che è nella mia mente oggi è una donna che ha votato ad Atlanta. E’ simile ai tanti che hanno atteso in fila per far sentire la propria voce eccetto per una cosa: Ann Nixon Cooper ha 106 anni.
E’ nata una sola generazione dopo la schiavitù, in un tempo in cui non c’erano auto per le strade nè aerei nei cieli, in un tempo in cui una persona come lei non poteva votare per ben due ragioni: perchè è una donna e per via del colore della sua pelle.
Stanotte penso a tutto ciò che lei ha visto durante questo secolo Americano. I giorni difficili e la speranza, la fatica e il progresso, i tempi in cui ci veniva detto “Non potete” (You can’t) e il tempo in cui una parte dell’America rispose “Possiamo” (Yes, We can).
In un tempo in cui la voce delle donne era zittita e le loro speranze ignorate, lei ha vissuto abbastanza per vedere le donne alzarsi e reclamare i loro diritti, fino a raggiungere le urne e dire “Noi possiamo”.
Quando c’era sconforto e la depressione si spandeva nella nazione, lei ha visto l’America rialzarsi sulle proprie gambe con nuovi obiettivi, nuovo lavoro, un nuovo senso di intento comune. “Noi possiamo”
Quando le bombe sono cadute sui nostri porti e il terrore ci ha attanagliati lei era li ad osservare una generazione cresciuta per salvare la democrazia. “Noi possiamo”
Era li durante le rivolte di Montgomery, gli scontri di Birmingham, le impiccagioni di Selma e era li difronte ad un pastore di Atlanta che disse <
Un uomo è arrivato sulla luna, un muro è caduto a Berlino, un mondo intero è stato avvicinato dalla scienza e dall’immaginazione e quest’anno, in queste elezioni, lei ha avvicinato il dito ad uno schermo e ha votato. Perchè dopo 106 anni in America, attraverso i tempi belli e i momenti peggiori, sa come l’America può cambiare.
Yes we can.
America, siamo arrivati molto lontano, abbiamo visto così tanto, ma c’è molto altro ancora da fare.
Quindi stanotte chiediamoci:
Se i nostri figli vivranno fino a vedere il nuovo secolo, se le mie figlie saranno così fortunate da poter vivere quanto Ann Nixon Cooper, quali cambiamenti vedranno? Quali progressi avremo compiuto?
Questa è la nostra occasione per dare delle risposte. Questo è il nostro momento. Questo è il nostro tempo.
E’ il momento di riportare la nostra gente al lavoro, di creare opportunità per i nostri figli. Il momento di ricreare la prosperità e di promuovere la causa della pace. Per ricreare il sogno americano e riconfermare la verità che tutti insieme siamo una cosa sola, che respiriamo e speriamo e che risponderemo a coloro che con cinismo e dubbio ci dicono che non ce la faremo con un unica voce che racchiude lo spirito del nostro popolo:
YES WE CAN.
Grazie, che Dio vi benedica e che benedica gli Stati Uniti d’America.
Barack Obama: alla fine diciamo la verità: americani sò forti!
alla fine diciamo la verità: americani sò forti!
un pò di malinconia per la politica nostra....
martedì, novembre 04, 2008
e se vince Obama....(questo il programa)

lunedì, ottobre 27, 2008
Mariastella Gelmini come Barak Obama? leggiamo Gennaro Carotenuto.
Mariastella Gelmini come Barak Obama? Due appunti sull’ennesima grembiulata di Santa Ignoranza
Qui a sinistra potete leggere un frammento dell’intervista concessa dal Ministro Mariastella Gelmini al Corriere della Sera di oggi che può essere letta per intero qui.
La Ministra si paragona niente meno che a Barak Obama, in un evidente tentativo di provocare il campo della protesta, gli studenti, il mondo della scuola e dell’Università, l’opposizione e i manifestanti del Circo Massimo.
Come prima cosa va detto che ci va bene che la Gelmini si paragoni con Obama; l’alternativa sarebbe stata Sarah Palin. Ma al di là delle battute è importante rispondere sul merito per sbugiardare l’ennesima offensiva mediatica del governo contro il mondo della scuola, dell’università e della ricerca.
La Gelmini, proprio paragonandosi ad Obama, mette per iscritto la sua inconsistenza e la sua malafede. Barak Obama, che non è ancora stato eletto, può star fermo sulla propaganda e alla politica degli annunci. Per la Gelmini invece non è più tempo di politica degli annunci e parlano chiaramente le Leggi dello Stato e i decreti legge che portano il suo nome.
INCENTIVI E MERITO
Si può tranquillamente sfidare la Ministra a trovare un solo provvedimento che permetta ad un solo insegnante o docente universitario meritevole di guadagnare un solo Euro in più. I tagli nelle prospettive di carriera sono uguali per tutti.
Sfidiamo la Gelmini a trovare una sola riga in un provvedimento legislativo a lei legato nella quale un ricercatore o un gruppo di ricerca meritevole possa ottenere un solo Euro in più, non per intascarlo ma per investirlo nella ricerca medesima. I tagli ci sono per tutti, indiscriminati.
Sfidiamo la Gelmini a trovare un solo provvedimento che differenzi tra insegnanti meritevoli e insegnanti scadenti, favorendo i primi rispetto ai secondi. L’unica differenza è fatta per età, penalizzando i giovani.
Al contrario, nonostante Santa Ignoranza si riempia la bocca di “merito”, “meritocrazia” e “incentivi”, tutti i provvedimenti vanno in direzione opposta: premiare chi è già lì, basta che non rompa le scatole.
Lo testimonia il non inserimento in graduatoria a scuola dei più giovani insegnanti abilitati nelle SSIS a favore della stabilizzazione dei precari storici senza alcuna procedura concorsuale che stabilisca chi merita e chi no. Semplicemente i vecchi staranno dentro e i giovani cambieranno mestiere. Non vi è nessun motivo plausibile per tenersi un insegnante scadente per 40 anni in una scuola a rovinare i ragazzi. Ma sfido chiunque a trovare una sola riga contro gli insegnanti scadenti in un provvedimento della Gelmini.
Lo stesso vale per l’Università. I fondi per i progetti di ricerca, i PRIN, vengono tagliati. I migliori giovani per il blocco del turn over non saranno immessi in ruolo; le progressioni di carriera sia dei meritevoli come degli immeritevoli sono tutte indistintamente bloccate.
RAZIONALIZZAZIONE E QUALITA’
Santa Ignoranza non sa, o ovviamente finge di non sapere, che non un Euro dei tagli da scuola e università saranno reinvestiti nella scuola e nell’università. TUTTI i tagli sono semplicemente soldi che Giulio Tremonti rivuole indietro per destinarli ad altri cespiti della fiscalità generale. E’ quindi una MENZOGNA dire che i tagli sono reinvestiti nella qualità dell’istruzione.
Allo stesso modo non vi è una sola lira investita nel diritto allo studio dei non abbienti ai quali la Gelmini si riferisce. Ovviamente la Gelmini non parla mai di “diritto allo studio”, sancito dalla nostra Costituzione, ma preferisce rifugiarsi in una labile “possibilità per tutti”. In Università con meno soldi a disposizione tale possibilità è piuttosto un’improbabilità.
La sostanza è che non c’è una lira in più destinata a borse di studio, collegi, oppure all’edilizia scolastica, in un contesto, ricordiamolo, dove un terzo delle aule sono a malapena adattate all’uopo. Secondo la Gelmini tali studenti non abbienti arriveranno in università non costose (esistono già e sono le università pubbliche) senza beneficiare di collegi o borse di studio e nonostante ciò otterrebbero un’istruzione di qualità? Balle! Balle che spingono l’Italia nel sottosviluppo.
Ovviamente carta canta, le leggi e i decreti legge da lei firmati, e la ministra mente, manipola, tergiversa. Come quando nasconde dietro il ripristino del grembiule il taglio di 87.000 insegnanti. Spieghiamolo, con fatica e con tenacia a tutti: non c’è alcun provvedimento che premia i meritevoli. Non c’è alcun provvedimento che reinveste nella scuola e nell’Università. Ci sono solo i tagli, le bugie della ministra e Barak Obama è innocente.
martedì, giugno 03, 2008
Obama Claims the Democratic Presidential Nomination
By Chris Cillizza
washingtonpost.com
Sen. Barack Obama claimed the Democratic nomination for president in a speech in Minnesota tonight -- an historic achievement that for the first time will place an African American at the top of a major political party's ticket.
After months of see-saw battling with his arch Democratic rival, Sen. Hillary Rodham Clinton, ending tonight with Obama and Clinton splitting primaries in Montana and South Dakota, Obama will be immediately thrust into a pitched general election battle with Sen. John McCain (Ariz.), the presumptive Republican nominee.
In speeches by both men tonight, they sought to define the parameters of the contest to come. Obama cast McCain as an insufficient change agent after eight years of George W. Bush's presidency. McCain insisted that Obama represents the wrong kind of change.
In a speech to a raucus crowd at the Xcel Center in St. Paul, Obama declared: "Tonight I can stand here and say that I will be the Democratic nominee for President of the United States."
Obama went on to praise his Democratic opponents as "the most talented, qualified field of individuals ever to run for this office," but he saved special plaudits for Clinton.
He referred to the former first lady as "a leader who inspires millions of Americans with her strength, her courage and her commitment to the causes that brought us here tonight." Obama wasn't done. "Our party and our country are better off because of her, and I am a better candidate for having the honor to compete with Hillary Rodham Clinton," he said.
Obama also made a direct appeal to Clinton supporters, especially women, who may be unhappy about the tenor and the results of the Democratic primary. "At the end of the day we aren't the reason you came out and waited in lines that stretched block after block to make your voice heard," said Obama. "You didn't do that because of me or Senator Clinton or anyone else."
Obama scored his final primary victory in Montana and was quickly endorsed by the state's governor as well as the two Democratic senators. Clinton, meanwhile, claimed a come-from-behind victory in South Dakota, after trailing in the state for weeks.
Clinton, who spoke roughly 30 minutes before Obama at Baruch College in New York City, congratulated the Illinois senator for the "extraordinary race" he ran, although she did not acknowledge he had effectively won the nomination and stressed that "I will be making no decisions tonight" about her future plans.
Clinton repeatedly touted her popular vote strength, noting that she had received nearly 18 million total votes. "Even when the pundits and the naysayers proclaimed week after week that this race was over, you kept on voting," she said to roars from the assembled crowd. She added that her campaign has won the swing states "necessary to get to 270 electoral votes."
Mathematically, there is little debate that Obama is his party's presumptive nominee. As polls closed in Montana at 10 p.m. Eastern time, the Obama campaign rolled out more than two dozen superdelegates -- putting him well above the 2,118 delegates required to become the formal nominee of his party.
Obama had 2,146 total delegates -- 28 more than he needed to cinch the nomination -- according to Associated Press' calculations. Clinton had 1,907 delegates.
McCain, 71, who secured the Republican nomination months ago, sought to begin the general election in earnest in a speech tonight in which he praised Clinton and attacked Obama as the wrong sort of change.
"Senator Clinton has earned great respect for his tenacity and courage," McCain said. "The media often overlooked how compassionately she spoke to the concerns and dreams of millions of Americans, and she deserves a lot more appreciation than she sometimes received." His remarks appeared to be a direct appeal to the many Clinton supporters who have indicated in exit polls that they wouldn't back Obama in the general election.
When it came to Obama, McCain was less complimentary. While he praised the Illinois senator as a "formidable" foe for the fall, McCain described Obama as supporting the wrong kind of change for the country. McCain also rejected Obama's attempts to link the Arizona Republican to President Bush's policies. "He tries to drum it into your minds by constantly repeating it rather than debate honestly the very different directions he and I would take the country," said McCain of Obama's tactic.
For his part, Obama, 46, sought to portray McCain as a political clone of Bush, supporting his stands on the war in Iraq and tax cuts. "While John McCain can legitimately tout moments of independence from his party in the past, such independence has not been the hallmark of his presidential campaign," said Obama.
Obama entered the day roughly 40 delegates away from the magic number of 2,118 necessary to officially secure the nomination. A steady stream of superdelegates announced their support for him throughout the day, however, steadily moving him toward the coveted political goal line. House Majority Whip Jim Clyburn (S.C.), the highest-ranking African American in Congress, declared in endorsing Obama: "Today the process ends."
Even as Clinton pledged to speak with her supporters about what the next step in her campaign should be, there were signs that she was leaving open the possibility of serving as Obama's vice president.
During a conference call with New York members of Congress, Clinton was asked by Rep. Nydia Velasquez to consider accepting the vice presidency in order to ensure that Hispanics turned out in strong numbers for the Democratic ticket.
Clinton responded that she was willing to do "whatever it takes" to elect a Democrat in the fall -- a statement widely interpreted as expressing some level of interest in being named Obama's runningmate against McCain in the fall campaign.
Clinton aides warned, however, that the New York senator had not spent any serious time weighing her political future -- choosing instead to focus on performing as well as possible in the final two primaries of nomination process.
Even if Clinton is interested in the vice presidency, it was not immediately clear that the post would be offered to her. "We don't have a short list or a long list," said senior Obama strategist David Axelrod. "We're coming here tonight to finish the process. It's way too early to talk about that."
Washington Post staff writer Shailagh Murray contributed to this report.
sabato, maggio 10, 2008
obama 08 su www.barackobama.com. Sono bravi con internet..
Guardate il sito di Barak Obama e la sua interattività, la capacità di usare tutti gli strumenti...
Da noi, spesso, i siti o i blog dei politici sono dei veri mattoni...
domenica, marzo 30, 2008
IL CANDIDATO: LUIGI BOBBA (PD), NOI CLERICALI? MA SE GUARDIAMO AD OBAMA..."
(ASCA) - Roma, 29 mar - Piemontese, originario di Cigliano in provincia di Vercelli, 53 anni, sposato e padre di due figlie, Luigi Bobba candidato capolista per il Partito Democratico nel collegio Piemonte 2, una carriera tutta interna alle Acli, sino a diventarne presidente nazionale, ha guadagnato notorieta’ come attivo esponente del Terzo settore. Tra i promotori di Retinopera, coordinamento del laicato cattolico impegnato nella vita sociale e politica, e’ stato vicepresidente della Banca Popolare Etica.
Entrato in politica nel 2006, e’ stato eletto al Senato nella Margherita in Puglia, dando vita al gruppo di parlamentari divenuti noti come ’teodem’. Attualmente e’ segretario del Pd di Vercelli.
Le politiche di sostegno alla famiglia vorrebbero essere il cuore delle proposte del gruppo ’Teodem’.
In concreto, quali misure proponete?
BOBBA - ’L’attenzione alla famiglia e alle politiche di sostegno alla natalita’, all’occupazione delle donne e alla cura degli anziani, non e’ un tema squisitamente cattolico.
E’ una questione di straordinario interesse generale; e’ un’emergenza non riconosciuta con la quale il nostro Paese non puo’ non misurarsi. Purtroppo la mancanza di una vera strategia di politiche familiari, risale indietro nel tempo.
Semmai con il Governo Prodi si sono colmate alcune lacune, grazie anche all’istituzione di un Ministero della Famiglia.
Resta pero’ un gap molto consistente con i grandi paesi europei, in particolare con la Francia dove si spende per la famiglia un valore corrispondente a tre punti di PIL (circa 40/45 miliardi di euro), mentre l’Italia e’ inchiodata ad un punto di PIL (14 miliardi circa).
Dunque serve una svolta, un cambio di marcia. Un Paese con uno squilibrio demografico troppo marcato avra’ difficolta’ sia ad affrontare i costi crescenti della spesa assistenziale, sanitaria e previdenziale; sia a restare competitivo sul mercato globale, dato che le schiere dei lavoratori giovani tenderanno ad assottigliarsi negli anni a venire.
E’ dunque sbagliato recintare questo tema come se fosse caro solo ai cattolici. Se i credenti che fanno politica hanno sollevato la questione, non e’ per un interesse confessionale, bensi’ perche’ hanno a cuore il futuro del Paese e delle famiglie italiane.
Attraverso le politiche familiari sono in gioco due grandi valori: la liberta’ e l’eguaglianza. La liberta’ di poter mettere al mondo, allevare ed educare i figli che si desiderano; l’eguaglianza tra le famiglie che hanno figli e quelle che scelgono di non volerne. La liberta’ di fare figli e’ seriamente messa in discussione dall’assenza di sostegni (assegni, fisco, servizi) adeguati.
Assenza che si scarica in particolare sulle donne costrette spesso a scegliere tra lavoro e vita familiare.
Equita’ perche’ la nostra Carta Costituzionale all’art. 31 tutela proprio quella proiezione di futuro che sono i figli.
Dunque l’attenzione del legislatore per la famiglia e’ motivata dal garantire un futuro a tutta la comunita’. E solo politiche amichevoli per la natalita’ la possono assicurare.
Dunque occorre ristabilire la soglia naturale di riproduzione della popolazione, passando da 1,29 figli per donna ai due figli che le donne italiane effettivamente desiderano. Come fare? Nel programma del PD si individuano quattro strumenti principali: una misura unica di 2500 Euro per ogni figlio che sommi detrazioni fiscali e assegni familiari; incremento della durata dei congedi parentali da 6 a 12 mesi con una copertura completa dal mancato salario, anziche’ l’attuale 30%; un incremento piu’ che significativo del numero degli asili nido, passando dall’attuale 6% di copertura della domanda effettiva al 25%; e infine un complesso di misure che favoriscano effettivamente (part-time, defiscalizzazione dei contributi) l’occupazione delle donne che oggi e’ di quasi 10 punti inferiore alla media europea.
Insomma per un Paese piu’ competitivo ma anche piu’ equo e piu’ aperto al futuro non si puo’ che ripartire dalla famiglia’.
Perche’ vi siete chiamati Teodem? Non c’e’ il rischio di clericalizzare la politica? I critici vi accusano di essere la lunga mano del cardinal Ruini. Cosa risponde?
BOBBA - ’Questa critica si presenta come un insulto, quasi fossimo delle persone incapaci di decidere con la propria ragione in modo laico senza per questo dimenticare i valori in cui si crede. Questa favoletta di essere i portaordini del Card. Ruini e’ veramente stantia e ridicola.
Come legislatore seguo innanzitutto la Carta Costituzionale (la nostra Bibbia civile la defini’ il Presidente Ciampi) e poi cerco di tradurre in leggi cio’ che mi appare come il bene comune per il nostro Paese.
Non si capisce perche’ un credente dovrebbe mettere fuori dalla porta del Parlamento e della politica i valori in cui si riconosce. Quasi che questi valori che sono la sorgente di un agire per il bene comune non avessero piena cittadinanza nel dialogo pubblico, nella politica.
Mi appello a Barack Obama che ha giustamente osservato che e’ un assurdo pratico pensare che i valori che guidano la vita personale non debbano avere un riflesso anche nell’azione politica. Chi li vuole confinare nella sfera privata, confonde la laicita’ con il laicismo, l’autonomia delle scelte politiche con l’assenza di riferimenti di valore. Quasi che la democrazia e le istituzioni potessero essere indifferenti a cio’ che si esprime nella societa’ civile. La politica riguadagnera’ forza, credibilita’ tanto piu’ sara’ capace di interpretare questi valori. La Chiesa, i credenti, le molte presenze, opere e istituzioni che sono nati dalla fede cristiana non sono un ostacolo, un ingombro, ma una risorsa per una comunita’ piu’ responsabile, libera e giusta. Altro che clericalizzazione della politica! I veri clericali sono coloro che non accettano di tradurre questi valori in linguaggio universale, cioe’ accettabile anche da chi non crede; o quanti pensano che le istituzioni debbano essere indifferenti, estranee a questo universo valoriale.
Infine perche’ teodem? La sigla nata, quasi per scherzo, ha avuto fortuna fino a entrare nel nuovo dizionario Zanichelli.
Dunque forse, al di la della caricatura, segnala un problema.
Quale? La rappresentanza dei valori (teo) non puo’ essere lasciata in esclusiva al centro destra. Deve essere una prerogativa e una preoccupazione anche di chi appartiene allo schieramento riformatore, al Partito Democratico. Questa la funzione che abbiamo cercato, pur tra tante ostilita’, di assolvere in questi due anni di legislatura. Forse oggi la criticita’ di questa scelta e’ piu’ chiara e anche lo stesso segretario del PD Veltroni l’ha esplicitata in piu’ occasioni.
La nascita del PD puo’ essere una straordinaria occasione per intessere dialoghi, approfondimenti in vista di nuove sintesi. Nel rispetto della pluralita’ delle culture presenti nel PD, ma anche con l’intento di creare positive contaminazioni. Non chiedendo a nessuno abiure, ma neppure favorendo arroccamenti e chiusure. Forse la legislatura che si apre, ormai lontana dal confronto muscolare di due schieramenti omnicomprensivi, puo’ essere un’occasione straordinaria per evitare che il bipolarismo politico diventi bipolarismo etico e che i temi della biopolitica siano affrontati con la prudenza, l’attenzione che questioni cosi’ delicate meritano.
domenica, febbraio 24, 2008
La chiesa di Obama
La chiesa di Obama
di Paolo Naso,
direttore della rubrica televisiva di RAIDUE "Protestantesimo"
Le ultime primarie del Partito democratico stanno rafforzando Barak Obama che, partito in svantaggio rispetto a Hillary Clinton, oggi appare il vero front runner di questa competizione.
Come sempre negli Stati Uniti, anche in queste elezioni si parla molto di religione, di valori morali e della fede dei vari candidati.
Le appartenenze sono note: George McCain, il candidato repubblicano, è membro di una chiesa battista che aderisce alla Southern Baptist Convention, la denominazione evangelica più numerosa degli Stati Uniti ma anche tra le più conservatrici, sia sul piano politico che teologico. In realtà in altre occasioni egli si era detto episcopaliano (comunione anglicana) e qualcuno, non senza malizia, ha ironizzato sul fatto che alla vigilia della campagna elettorale McCain si fosse convertito a una chiesa più numerosa e più influente, almeno nel campo conservatore.
Hillary Rodham Clinton proviene invece dalla Chiesa metodista unita, una denominazione storicamente molto attiva sul piano sociale e oggi fortemente critica della politica interna ed estera dell’Amministrazione Bush.
Quanto a Barak Obama, è membro della United Church of Christ (UCC), una delle chiese protestanti forse meno note ma certamente delle più interessanti degli USA. La UCC, infatti, ha spesso fatto discutere di sé compiendo scelte coraggiose ma anche controverse: è stata la prima chiesa massicciamente bianca a consacrare un pastore afroamericano, già nel 1785; la prima ad aprire al pastorato femminile e quindi a consacrare una donna al ministero, nel 1853; la prima a consacrare un pastore apertamente gay, nel 1972, e la prima a sostenere una legge sui matrimoni tra persone dello stesso sesso, nel 2005.
La UCC si costituì formalmente nel 1957 in seguito all’unione di alcune chiese di origine europea e di teologia calvinista, ma la sua radice è assai più remota: undici dei firmatari della Dichiarazione d’Indipendenza (1776) appartenevano a chiese che sarebbero poi confluite nella UCC; inoltre il 10% delle comunità locali che oggi aderiscono alla denominazione si sono costituite prima del 1776.
Membri autorevoli della UCC sono stati il grande teologo Reinhold Niebuhr, e due grandi protagonisti della scena pubblica americana degli anni ’60 e ’70: il pastore William Sloane Coffin, famoso per il suo impegno sociale e pacifista, e il pastore Andrew Young, grande dirigente del movimento per i diritti civili prima e ambasciatore degli USA alle Nazioni Unite dopo.
L’UCC è insomma una chiesa di frontiera, assolutamente distante dal conservatorismo etico e politico della destra religiosa prepotentemente in auge negli anni di Bush. Tuttavia non è affatto schierata su un unico versante politico: attualmente, ad esempio, siedono nel congresso dieci parlamentari che sono anche membri della UCC: cinque di loro sono democratici, cinque sono repubblicani.
Rispetto ad altre chiese storiche, la UCC appare una chiesa più "moderna", capace di lanciare vere e proprie campagne di evangelizzazione trasmettendo spot televisivi (è possibile scaricarli dal sito www.ucc.org) e usando tecniche proprie del marketing pubblicitario: "Non mettere mai un punto dove Dio ha messo una virgola", recitava uno slogan lanciato negli scorsi anni. E una piccola virgola rossa era diventata il "logo" di una campagna tesa a dire che la fede non è un punto che chiude perentoriamente un discorso ma una virgola che fa proseguire il ragionamento e il confronto.
Il senatore Barak è membro attivo della Trinity Church di Chicago, una delle 5700 comunità locali che aderiscono alla UCC che, nel complesso, conta un milione e duecentomila membri. "Anche se non è appropriato che una denominazione sostenga un candidato alle elezioni politiche - ha affermato il pastore John Thomas, presidente della UCC - sono orgoglioso che il senatore Barak sia un membro attivo delle nostre chiese e possa parlare a tante persone dei valori cari alla nostra chiesa".
Clamoroso boomerang per gli avversari di Obama che lo hanno accusato di aver frequentato una madrassa islamica e di essere musulmano. Nulla di male, per carità, ma è bastato poco a dimostrare che il senatore dell’Illinois è in realtà un pio calvinista.
Articolo tratto da
NEV - Notizie Evangeliche
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lunedì, febbraio 18, 2008
Si può fare (yes we can), ma cosa? Il vento del cambiamento

Leonardo Becchetti - 15/02/2008 dal sito www.benecomune.net
Il vento del cambiamento sembra spirare ormai ovunque.
Barack Obama ha costruito la sua formidabile rimonta su Hillary Clinton su questa parola magica promettendo agli elettori più speranza (vedasi il famoso video su You tube). In Italia il cambiamento, grazie ad alcune decisioni coraggiose, ci promette di risolvere il problema di alcuni “Ghini di Tacco”, aghi della bilancia che non rappresentano altro che se stessi ma che bloccano con il loro potere di veto la governabilità del paese.
In Francia il cambiamento strombazzato e promesso per ora ci regala una situazione in cui non si capisce più se il presidente francese è un leader politico o l’ultimo vincitore del Grande Fratello.
Il desiderio di cambiamento esiste ma va riempito di contenuti validi.
Può essere utile da questo punto di vista guardare cosa sta succedendo nelle scienze sociali ed in economia perché il dibattito scientifico anticipa e si trasforma in cultura condivisa dopo alcuni anni. Anche tra gli economisti spira il vento del cambiamento. Ai convegni più importanti è sempre più frequente sentire parlare di economia della reciprocità, del dono, si moltiplicano i contributi pubblicati sull’economia della felicità e gli esperimenti che contraddicono il modello dell’uomo lobotomizzato (quell’uomo economico che non conosce simpatia per l’altro e dovere morale) e quello sguardo avvilente che ha prodotto innumerevoli guasti culturali (conoscete quei risultati che dimostrano che tra tutte le “tribù” quella che è meno propensa al dono, alla fiducia e alla generosità è quella degli studenti di economia aziendale ?) .
La tridimensionalità dei problemi sul tappeto (l’asse “materiale” della povertà e della precarietà, quello “ambientale” dell’inquinamento, del riscaldamento globale e dell’invasione dei rifiuti, quello della “qualità della vita” che ci continua a segnalare il deterioramento della vita relazionale e della soddisfazione di vita nelle nostre società) richiede nuove strategie che diano sostanza al cambiamento annunciato. Le vecchie soluzioni figlie di una cultura monodimensionale non funzionano perché risolvono il problema su un asse e lo peggiorano sugli altri. La crescita e produttività come valore unico peggiora la situazione dal lato della sostenibilità ambientale e da quello della soddisfazione di vita e della crisi di relazioni (solo qualche dato tra tanti, negli scorsi sei mesi sono aumentati del 17 percento i consumi di antidepressivi in Italia, aumenta costantemente il numero di morti non seppelliti e abbandonati in obitorio). All’estremo opposto la proposta provocatoria della decrescita ignora i vincoli economici e finanziari in cui ci muoviamo e in primo luogo il problema del debito. E’ come se un genitore monoreddito in una famiglia pesantemente indebitata annunciasse ai familiari che ha deciso di lavorare di meno e di ridursi lo stipendio…
Avanziamo sommessamente una proposta ai politici ansiosi di riempire l’affascinante contenitore del cambiamento. Mettere al centro l’obiettivo della “felicità economicamente ed ambientalmente sostenibile” realizzabile attraverso una strategia che crei valore economico facendo attenzione agli altri due assi (ambientale e sociale). Offrire chiaramente una visione che dia un senso al nostro produrre (il know why e non solo il know how). Investire strategicamente nella cura delle relazioni e creare legami tra le finalità private e quelle sociali nel mondo della produzione (l’invito di qualche tempo fa dell’ex presidente Ciampi secondo cui l’Italia ha bisogno di una visione e di una missione non era infondato). Comprendendo quello che molti studi dimostrano: la vera molla della produttività non è negli incentivi monetari ma nelle motivazioni intrinseche (provate a calcolare la produttività o le ore settimanali lavorate di un missionario o di chiunque ha fatto del proprio lavoro una missione e a confrontarla con chi timbra stancamente un cartellino!) e la qualità delle relazioni tra lavoratori è la sorgente fondamentale della produttività in un mondo in cui l’innovazione è sempre più complessa e richiede il lavoro di squadra di saperi distinti e non intercambiabili (un esempio clamoroso di questo sono le comunità open source e la wikinomics).
Le linee di principio sopra annunciate si possono tradurre in una miriade di proposte molto concrete. Incentivare e promuovere nel settore della produzione quelle imprese o quei settori all’avanguardia nella capacità di creazione di valore economico innovando in termini di efficienza energetica e riducendo la quantità di emissioni per valore creato. Favorire il meccanismo più naturale e spontaneo di redistribuzione del reddito tra Nord e Sud del mondo rappresentato dal fenomeno migratorio sfruttando appieno il suo contributo potenziale a produttività, occupazione e crescita (quanti posti di lavoro abbiamo già creato e non vogliamo riconoscere limitando il numero di lavoratori clandestini che possono regolarizzarsi!). Stimolare ulteriormente la responsabilità sociale d’impresa con regole sugli appalti pubblici che premino la medesima e l’attenzione all’ambiente oltre alla convenienza di prezzo. Attenuare la difficoltà a costruire relazioni stabili e ad investire nel futuro da parte dei giovani contrastando l’ostruzionismo degli insiders con più mobilità verticale e migliori percorsi di accesso e stabilizzazione nel mercato del lavoro. Aumentare i meccanismi di flessibilità che consentono di conciliare tempi di lavoro e famiglia. Infine, chiedere alle imprese di dotarsi di una valutazione di rating sociale che possa stimolare i consumatori ad esercitare con sempre maggiore efficacia il loro “voto con il portafoglio”. Un’iniziativa del genere creerebbe i giusti incentivi affinché la responsabilità sociale ed ambientale non sia soltanto un fardello per l’impresa ma sempre più una variabile competitiva che può aiutarla a conquistare il favore dei consumatori. E la responsabilità sociale d’impresa (quella vera e non soltanto dichiarata) è la chiave di volta per risolvere le tre dimensioni del problema.
Insomma basta avere l’occhio (e leggere un po’ di letteratura scientifica recente) per capire che la parte emersa dell’iceberg (lavoro, capitale, produttività, performance) dipende crucialmente da quella sommersa ed immateriale (autostima, capacità di dare e ricevere fiducia, capitale sociale, beni relazionali, dignità) che solo un’economia della cura e delle relazioni può opportunamente sviluppare. Tutto ciò implica avere visione e la capacità di guardare oltre il proprio ombellico forse con un pizzico di utopia. Difficile ma si può fare.