se ne parla per catturare il consenso dei cittadini, non per risolvere i problemi. Nel sostenerlo ci pare di scrivere lo stesso articolo. Un´altra volta. Eppure è difficile non tornare sull´argomento. Perché l´argomento ritorna, puntuale, al centro del dibattito politico. Come in questa fase, segnata dalle polemiche intorno al decreto sulla "sicurezza" (appunto). A proposito del quale Franceschini ha parlato di nuove "leggi razziali". Anche se gli aspetti più critici della legge sono stati esclusi dal testo. Ci riferiamo alla possibilità, offerta ai medici e ai pubblici funzionari (i presidi, per esempio), di denunciare i clandestini. Altre iniziative venate di razzismo invece, non riguardano il governo, ma singoli politici e amministratori locali. Come la proposta di segregare gli stranieri nei trasporti pubblici, a Milano. Assegnando loro posti e vagoni separati. Una provocazione, anche questa. Capace, però, di intercettare consensi, solo a evocarla. La Lega, su questa base, sta costruendo la sua campagna elettorale in vista delle prossime europee. Per conquistare consensi nel Nord, ma anche altrove. Presentandosi come il partito della sicurezza-bricolage, da perseguire in ogni modo. Anche l´imbarcazione carica di immigrati respinta dalla nostra Marina e consegnata alla Libia rientra in questa strategia politica e mediatica. Serve, cioè, come "annuncio". Esibisce la volontà determinata del governo, ma soprattutto del ministro dell´Interni e della Lega, di respingere l´invasione degli stranieri. Di rimandarli là dove sono partiti. Chissenefrega che fine faranno. Noi non possiamo accogliere i poveracci di tutto il mondo. Gli alleati di centrodestra, in parte, approvano. In parte no. Comunque, non si possono dissociare, altrimenti la maggioranza si dissolve. E poi non vuole abbandonare l´argomento della paura dell´altro alla Lega. Così Berlusconi approva. Si adegua al linguaggio leghista e dice "no all´Italia multietnica". In aperta polemica con la "sinistra, che ha aperto le porte a tutti". (Anche se i flussi da quando è tornata al governo la destra sono raddoppiati). E la sinistra, chiamata in causa, si adegua: nel linguaggio e negli argomenti. Oppone alla retorica della cattiveria quella buonista (che, in assenza di alternative, preferisco). Denuncia il razzismo. Esorta all´integrazione. Senza, tuttavia, spiegare "come" realizzarla. Si appella all´indignazione della Chiesa (contro cui, peraltro, si indigna quando si occupa di etica). Così la "sicurezza" sfuma in una nebulosa che mixa immagini indistinte. Criminali piccoli e medi, immigrati, zingari, stranieri. Ridotti a slogan. Un tema così importante (e critico) dovrebbe venire affrontato in modo co-operativo. Attraverso il confronto e la progettazione comune. Invece, è abbandonato al gioco delle parti. In balia degli interessi e degli imperativi immediati. La "fabbrica della sicurezza" (titolo di una bella ricerca curata da Fabrizio Battistelli e pubblicata da Franco Angeli), d´altronde, si scontra con il "mercato della paura". Il quale non limita la sua offerta all´ambito politico-elettorale, ma presenta una gamma di prodotti ampia e differenziata (come suggerisce una riflessione di Gianluigi Storti). a) La paura, insieme all´in-sicurezza: è un format di largo seguito, sui media. Nei notiziari di informazione, nei programmi di "vita vera e vissuta", nelle trasmissioni di approfondimento. A ogni ora del giorno, in ogni canale, incontriamo uno stupro, un´aggressione, un omicidio, un delitto, una catastrofe. E poi fiction di genere, che primeggiano negli indici di ascolto. Sky ha dedicato due canali alle "scene del crimine". 24 ore su 24 dedicate alla "paura". E´ significativa l´evoluzione (o forse la d-evoluzione) dei tipi sociali interpretati da Antonio Albanese. Attore e analista acuto del nostro tempo. Da Epifanio, il personaggio stralunato e naif (ricorda vagamente Prodi), proposto vent´anni fa, fino al "ministro della paura" (accanto al "sottosegretario all´angoscia") esibito ai nostri giorni. b) La paura alimenta la domanda di autodifesa delle famiglie (come ha rilevato il rapporto Demos-Unipolis sul sentimento di insicurezza), che trasformano le case in bunker. Con porte blindate, vetri antisfondamento, sistemi di allarme sempre più sofisticati. All´esterno: recinzioni e cani mostruosi. In tasca e nei cassetti: armi per difesa personale. c) Disseminati ovunque sistemi di osservazione, occhi elettronici che ci guardano. A ogni angolo. In ogni luogo. Mentre si diffondono poliziotti e polizie, ronde e servizi d´ordine. La sicurezza: affidata sempre più al privato e sempre meno al pubblico. d) Intorno alla paura e all´insicurezza si è formata una molteplicità di figure professionali. Psicologi, psicanalisti, analisti, psicoterapeuti. E sociologi, criminologi, assistenti sociali. Operano in istituzioni, associazioni, studi. Nel pubblico, nel privato e nel privato-sociale. e) Infine, come dimenticare la miriade di prodotti chimici al servizio della nostra angoscia? Occupano interi scaffali sempre più ampi, dentro a farmacie sempre più ampie. Supermarket dove il padiglione dedicato alla paura, di mese in mese, allarga lo spazio e l´offerta. Per questo è difficile sconfiggere la paura e fabbricare la sicurezza. Perché la sicurezza è un bene durevole, che richiede un impegno di lungo periodo e di lunga durata. L´insicurezza, la paura, no. Sono beni ad alta deperibilità. Più li consumi più cresce la domanda. Garantiscono alti guadagni in breve tempo. Per costruire la sicurezza occorrerebbe agire con una visione lunga. Disporre di valori forti. Servirebbero attori politici e sociali disposti a lavorare insieme. In nome del "bene comune". Ispirati da una fede o almeno da un´ideologia provvidenziale. Pronti a investire sul futuro. Mentre ora domina il marketing. Trionfa il mercato della paura. Dove non esiste domani. È sempre oggi. È sempre campagna elettorale. Che l´angoscia sia con noi. | ||
A partire dall'esperienza associativa vissuta nelle ACLI e da quella amministrativa a Napoli e Castellammare di Stabia utilizzo questo spazio per affrontare i temi del dialogo tra le generazioni, del lavoro, della formazione, del welfare, della partecipazione e della loro necessaria innovazione.
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lunedì, maggio 11, 2009
ILVO DIAMANTI: "AL MERCATO DELLA PAURA".
lunedì, maggio 04, 2009
REFERENDUM E LEGGE ELETTORALE, GUZZETTA: L'UNICA DEMOCRAZIA PER BOSSI E' QUELLA IN CUI COMANDA LUI
Continuiamo a pubblicare posizioni politiche sul referendum relativo alla legge elettorale. Oggi è il turno del presidente del comitato promotore del referendum prof. Giovanni Guzzetta.
Il ministro Bossi afferma che la La Lega Nord starebbe lavorando a una proposta di legge elettorale.
Risposta di Giovanni Guzzetta, presidente del comitato promotore.
Il ministro Bossi afferma che la La Lega Nord starebbe lavorando a una proposta di legge elettorale.
Risposta di Giovanni Guzzetta, presidente del comitato promotore.
“Messa all'angolo dall'iniziativa referendaria, anche la Lega ha capito che la legge elettorale, la 'porcata' di Calderoli, va cambiata. Meglio tardi che mai. Noi, che non siamo dei fanatici del referendum, abbiamo sempre sperato che il parlamento facesse il suo mestiere. Certo, un'iniziativa in zona Cesarini, per di più proveniente dalla Lega, appare oggi quantomeno sospetta. Un partito di minoranza che ha appena consumato un ricatto nei confronti della maggioranza, con il solo obiettivo di affossare il referendum facendolo fissare in estate, non ha titoli istituzionali per pensare alla riforma elettorale nell'interesse generale. Basti vedere che idea della democrazia ha Bossi quando si scaglia contro il referendum. In realtà l'unica democrazia che la Lega concepisce è quella in cui è il Carroccio a fare il bello e il cattivo tempo. La stragrande maggioranza dei cittadini vuole il bipartitismo, e se non glielo darà il parlamento se lo prenderanno i cittadini con il referendum, facendo direttamente loro la riforma che i costituenti si rammaricavano di non poter fare”.
Giovanni Guzzetta
lunedì, agosto 27, 2007
Bossi alza i toni sul fisco: per fucili c'è sempre prima volta
chi lo dice, chi lo pensa, chi lo fa....nel senso che li usa.
MILANO (Reuters) - Intervenendo ad un comizio nel Bergamasco, Umberto Bossi ha alzato oggi i toni per riaffermare la determinazione della Lega sulla protesta fiscale, dicendo che sebbene i "padani" abbiano sempre pagato le tasse e non abbiano mai "tirato fuori i fucili", c'è sempre "una prima volta".
I toni duri del leader del Carroccio, espressi al microfono davanti a una folla di sostenitori riuniti a Cà San Marco, rafforzano la proposta di una "protesta" del Nord contro la pressione fiscale.
"A Roma - ha detto Bossi ripreso dai tg - pensano: 'Al nord sono un po' pirla. Parlano ma poi pagano, quindi non diamogli niente".
Ma, ha proseguito il leader della Lega, "se la Lombardia potesse chiudere i rubinetti, l'Italia morirebbe in cinque giorni, perchè l'Italia vive con i soldi della Lombardia".
La protesta fiscale "è una cosa pericolosa per i romanofili e per tutta la banda di chi vive sulle spalle dei lombardi e dei veneti e dei piemontesi, di quelli che pagano le tasse", ha detto ancora Bossi, che non è la prima volta che ricorre a metafore forti per arringare i suoi simpatizzanti.
"Finora gli è andata bene. A loro interessano solo i nostri soldi. I lombardi di fucili non ne han mai tirato fuori ma (per farlo) c'è sempre la prima volta".
Lo sciopero fiscale, lanciata dallo stesso Bossi da Ponte di Legno il giorno dopo Ferragosto, propone di pagare le tasse direttamente alle Regioni anziché allo Stato centrale, un modo per chiedere che in Finanziaria ci sia un maggiore impegno per il federalismo fiscale.
I toni di Bossi sono destinati a sollevare un coro di reazioni tra i politici, tra chi la considera solo una provocazione e chi ne accusa l'eccesso. Per il ministro e leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro, "la chiamata alle armi di Umberto Bossi rivolta ai lombardi stanchi di pagare le tasse è inaccettabile, ma questo è un giudizio scontato. Ci sarà il solito polverone e, dopo, i fucili saranno usati solo per andare a caccia".
Per il capogruppo dei Verdi alla Camera Angelo Bonelli, "Bossi fa del terrorismo politico". "Cosa ne pensano Berlusconi, Fini e Casini? Ci attendiamo una netta condanna delle deliranti affermazioni del leader leghista", aggiunge il deputato dei Verdi.
© Reuters 2007. Tutti i diritti assegna a Reuters.
venerdì, febbraio 16, 2007
LEGACOOP: D’Angelo: Campania, servono 100 mila case
“Sono molti i problemi da risolvere in Campania, a cominciare dall’emergenza casa: nella regione servono 100 mila alloggi in più. Per affrontare questioni di tale portata serve uno sforzo corale da parte di istituzioni regionali, parti sociali e associazioni. Non è il momento delle divisioni”. Sergio D’Angelo, presidente di Legacoop Campania, lascerà la guida dell’associazione nel corso del congresso regionale che si apre oggi. Ad attenderlo c’è un incarico di prestigio a Roma, in seno alla Presidenza nazionale di Legacoop. Carica che andrà ad aggiungersi alle numerose di cui è già titolare: D’Angelo è presidente nazionale del consorzio Drom, presidente di Gesco, consigliere di amministrazione di Banca Etica, componente del comitato tecnico della Fondazione Mezzogiorno, presidente della Fondazione Affido, componente della presidenza nazionale di Legacoopsociali e numero uno dell’Ape, agenzia di promozione della cooperazione sociale.
di Giovanni Brancaccioda Il Denaro (clicca il titolo)
Domanda. Non si può certo dire che gli ultimi mesi siano stati tranquilli per il mondo della cooperazione, in particolare dopo la vicenda Unipol-Bnl. Le coop campane come hanno reagito?
Risposta. Il caso Unipol non ha inciso affatto sulle attività delle cooperative campane. Anzi, quella della cooperazione è oggi una realtà più vitale che mai anche in Campania, nonostante la difficile congiuntura economica che abbiamo attraversato e tutti i problemi di contesto che contraddistinguono la nostra regione e l’intero Mezzogiorno.
D. Problemi che c’erano già all’inizio del suo mandato, quattro anni fa. Non è cambiato nulla da allora?
R. Dei passi avanti ci sono stati, ma molto, moltissimo resta ancora da fare. Purtroppo la spesa dei fondi europei 2000-2006 non ha dato i risultati sperati. C’è stata un’evidente dispersione delle risorse, interventi troppo polverizzati e slegati tra loro. Con il risultato che le inefficienze e i vincoli allo sviluppo sono ancora lì che attendono di essere rimossi.
D. Ora la Regione si sta preparando a spendere il nuovo ciclo di risorse comunitarie: andrà meglio?
R. E’ l’auspicio di tutti, e si sta lavorando in questo senso. Ci vuole più incisività nell’affrontare nodi tuttora irrisolti come il gap infrastrutturale che ci divide dal resto del Paese, la lotta alla criminalità e al sommerso, l’emergenza rifiuti. Occorre poi combattere le inefficienze della Pubblica amministrazione, che hanno più di una responsabilità nel mancato sviluppo della nostra regione. Accanto a queste questioni c’è il problema drammatico della povertà: le famiglie campane sono tra le meno abbienti d’Italia.
D. Quali interventi suggerisce Legacoop a sostegno delle famiglie?
R. Il problema è innanzitutto di metodo. Uno dei principali limiti della scorsa programmazione dei fondi europei è stato il mancato equilibrio tra misure di sostegno alla competitività e interventi per favorire l’inclusione sociale. Si tratta di due facce della stessa medaglia ed è per questo che le questioni vanno affrontate contemporaneamente. Come pure va affrontata la questione abitativa: in Campania, secondo i nostri calcoli, c’è bisogno di 100 mila nuove abitazioni, un numero da vera emergenza.
D. Già, ma i suoli per costruire tante abitazioni ci sono?
R. Ormai è difficile reperire suoli edificabili, in particolare a Napoli, che è l’area piùcongestionata. E’ per questo che vanno riqualificate le periferie sfruttando meglio le superfici esistenti. Voglio ricordare che il piano strategico per la zona rossa del Vesuvio prevede che 80mila persone lascino quell’area. E’ indispensabile, dunque, un riequilibrio abitativo tra Napoli, la sua area metropolitana e le altre province, in modo particolare Avellino e Caserta. La questione del fabbisogno abitativo, quindi, va affrontata a livello regionale, e non, come prevede il Piano territoriale approvato dalla Giunta, dalle singole Province.
D. Dunque auspica un miglioramento del Ptr in Consiglio regionale?
R. Sì, sia le cooperative che i sindacati hanno già presentato le loro osservazioni a riguardo. Speriamo vengano recepite, anche se questa consiliatura fin qui ha accumulato qualche ritardo. C’è tempo per migliorare, comunque.
D. Lei da dove comincerebbe?
R. Senza alcun dubbio dalla sanità, che come noto assorbe oltre il 60 per cento del bilancio regionale senza fornire in cambio ai cittadini servizi qualitativamente adeguati alla spesa. Al contrario: i campani si ritrovano le aliquote Irpef e Irap al massimo e ora subiscono anche la beffa dei ticket sui farmaci. Sia chiaro: si tratta di problemi accumulatisi nel tempo, la colpa non è certo solo di questa amministrazione o di quella precedente. Però ora la questione va risolta una volta per tutte. Su questo come su altri fronti serve uno sforzo corale da parte di istituzioni e parti sociali.
D. Che cosa intende?
R. Dico che il compito delle associazioni rappresentative è anche quello di muovere critiche, e le istituzioni devono accettarle. Ma se tutti insieme ci facciamo carico delle nostre responsabilità, ci sono tutte le condizioni per far compiere un salto in avanti alla Campania. Bisogna avere fiducia, guardare al futuro con ottimismo perchè ci attendono grandi obiettivi. E certo questo non è il momento delle divisioni.
D. Lei però, almeno per il momento, passa la mano...
R. Sono stati quattro anni intensi, e ne frattempo i miei impegni si sono moltiplicati. Ma lascio la Presidenza di Legacoop Campania, non certo l’associazione, alla quale non farò mai mancare il mio contributo.
di Giovanni Brancaccioda Il Denaro (clicca il titolo)
Domanda. Non si può certo dire che gli ultimi mesi siano stati tranquilli per il mondo della cooperazione, in particolare dopo la vicenda Unipol-Bnl. Le coop campane come hanno reagito?
Risposta. Il caso Unipol non ha inciso affatto sulle attività delle cooperative campane. Anzi, quella della cooperazione è oggi una realtà più vitale che mai anche in Campania, nonostante la difficile congiuntura economica che abbiamo attraversato e tutti i problemi di contesto che contraddistinguono la nostra regione e l’intero Mezzogiorno.
D. Problemi che c’erano già all’inizio del suo mandato, quattro anni fa. Non è cambiato nulla da allora?
R. Dei passi avanti ci sono stati, ma molto, moltissimo resta ancora da fare. Purtroppo la spesa dei fondi europei 2000-2006 non ha dato i risultati sperati. C’è stata un’evidente dispersione delle risorse, interventi troppo polverizzati e slegati tra loro. Con il risultato che le inefficienze e i vincoli allo sviluppo sono ancora lì che attendono di essere rimossi.
D. Ora la Regione si sta preparando a spendere il nuovo ciclo di risorse comunitarie: andrà meglio?
R. E’ l’auspicio di tutti, e si sta lavorando in questo senso. Ci vuole più incisività nell’affrontare nodi tuttora irrisolti come il gap infrastrutturale che ci divide dal resto del Paese, la lotta alla criminalità e al sommerso, l’emergenza rifiuti. Occorre poi combattere le inefficienze della Pubblica amministrazione, che hanno più di una responsabilità nel mancato sviluppo della nostra regione. Accanto a queste questioni c’è il problema drammatico della povertà: le famiglie campane sono tra le meno abbienti d’Italia.
D. Quali interventi suggerisce Legacoop a sostegno delle famiglie?
R. Il problema è innanzitutto di metodo. Uno dei principali limiti della scorsa programmazione dei fondi europei è stato il mancato equilibrio tra misure di sostegno alla competitività e interventi per favorire l’inclusione sociale. Si tratta di due facce della stessa medaglia ed è per questo che le questioni vanno affrontate contemporaneamente. Come pure va affrontata la questione abitativa: in Campania, secondo i nostri calcoli, c’è bisogno di 100 mila nuove abitazioni, un numero da vera emergenza.
D. Già, ma i suoli per costruire tante abitazioni ci sono?
R. Ormai è difficile reperire suoli edificabili, in particolare a Napoli, che è l’area piùcongestionata. E’ per questo che vanno riqualificate le periferie sfruttando meglio le superfici esistenti. Voglio ricordare che il piano strategico per la zona rossa del Vesuvio prevede che 80mila persone lascino quell’area. E’ indispensabile, dunque, un riequilibrio abitativo tra Napoli, la sua area metropolitana e le altre province, in modo particolare Avellino e Caserta. La questione del fabbisogno abitativo, quindi, va affrontata a livello regionale, e non, come prevede il Piano territoriale approvato dalla Giunta, dalle singole Province.
D. Dunque auspica un miglioramento del Ptr in Consiglio regionale?
R. Sì, sia le cooperative che i sindacati hanno già presentato le loro osservazioni a riguardo. Speriamo vengano recepite, anche se questa consiliatura fin qui ha accumulato qualche ritardo. C’è tempo per migliorare, comunque.
D. Lei da dove comincerebbe?
R. Senza alcun dubbio dalla sanità, che come noto assorbe oltre il 60 per cento del bilancio regionale senza fornire in cambio ai cittadini servizi qualitativamente adeguati alla spesa. Al contrario: i campani si ritrovano le aliquote Irpef e Irap al massimo e ora subiscono anche la beffa dei ticket sui farmaci. Sia chiaro: si tratta di problemi accumulatisi nel tempo, la colpa non è certo solo di questa amministrazione o di quella precedente. Però ora la questione va risolta una volta per tutte. Su questo come su altri fronti serve uno sforzo corale da parte di istituzioni e parti sociali.
D. Che cosa intende?
R. Dico che il compito delle associazioni rappresentative è anche quello di muovere critiche, e le istituzioni devono accettarle. Ma se tutti insieme ci facciamo carico delle nostre responsabilità, ci sono tutte le condizioni per far compiere un salto in avanti alla Campania. Bisogna avere fiducia, guardare al futuro con ottimismo perchè ci attendono grandi obiettivi. E certo questo non è il momento delle divisioni.
D. Lei però, almeno per il momento, passa la mano...
R. Sono stati quattro anni intensi, e ne frattempo i miei impegni si sono moltiplicati. Ma lascio la Presidenza di Legacoop Campania, non certo l’associazione, alla quale non farò mai mancare il mio contributo.
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