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venerdì, agosto 29, 2008

Il peso della storia nella crisi georgiana

da : benecomune.net

Federiga Bindi - 28/08/2008

Intervenendo alla riunione congiunta delle Commissione estera di Camera e Senato (26 agosto us), il Ministro Franco Frattini ha menzionato le “ragioni storiche della Russia” nella crisi georgiana, per altro poi illustrate in modo avvincente dal Ministro ombra degli Esteri Piero Fassino.

Dimenticare la prospettiva storica – che mi pare essere il leit motive delle disastrose decisioni politiche internazionali degli ultimi, a partire dall’Iraq – è non solo pericoloso ma anche miope, in quanto mina le capacità negoziali dei “dimenticandi”, facendo loro perdere di credibilità.
La capacità negoziali di un paese si basano infatti innanzitutto sulla credibilità degli attori, e se essi sono noti per non mantenere la parola data, il loro peso negoziale diminuisce fino al punto di rendere inappetibile lo sforzo per negoziare con essi.
L’amministrazione USA (e non solo!) si sta pericolosamente infilando in questa direzione nel momento meno opportuno - tra le altre cose è all’orizzonte la rinegoziazione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare che sta per scadere. Credono, forse, di poter supplire con una politica di potenza.
E’ curioso per altro notare come i più acclamati studiosi di relazioni internazionali americani – Hans Morgentau, Henry Kissinger, Robert Kagan solo per citarne tre - in realtà sono tutti storici convertiti alle relazioni internazionali. Persone che – anche grazie alle origini europee – hanno una prospettiva storica originale che hanno applicato alle relazioni internazionali ricavandone teorie sistemiche per la meraviglia di chi, guardando solo al particolare, non riesce a cogliere tali trends…
Ma in Europa, dove la storia di secoli è spesso ancora un irrisolto fardello, è sorprendente la smemoratezza dei nostri politici rispetto a vicende vicine e che buona parte di essi hanno vissuto in prima persona, come gli eventi degli anni ’90.
Senza voler andare nel passato remoto ricordando che i russi (come la Cina, l’Egitto o nel loro piccolo anche gli Inglesi!) si percepiscono come un impero e sono dunque grati a Vladimir Putin per il ritrovato status mondiale (status che per altro in tema di energia vuol dire la potenzialità di mettere in ginocchio buona parte di Europa…), vorrei menzionare che coloro che chiedono di usare toni duri e risoluti con la Russia si dimenticano che negli anni ’90 fu fatta una scelta ben precisa.
Quando l’URSS si disgregò, si pose infatti il problema di come impostare le relazioni con gli stati che stavano da esso emergendo. In particolare, due erano le possibili vie da seguire – il contrasto o l’inclusione.
La prima posta in gioco fu l’entrata nel Consiglio d’Europa, organizzazione internazionale con base a Strasburgo la cui maggiore vocazione era quella di essere il club delle democrazie europee. Fino alla caduta del Muro di Berlino era stata applicata con rigore la scelta di ammettere in esso solo democrazie compiute: l’Italia, con una grande azione diplomatica e alla capacità di inghiottire le umiliazioni da paese sconfitto, era miracolosamente riuscita ad entrare tra i paesi fondatori (1949), ma già la Germania aveva dovuto aspettare l’anno seguente. Portogallo e Spagna sono entrate solo a transizione democratica avanzata (1976 e 1977) e quando in Grecia vi fu il colpo di Stato dei Colonnelli (1967) la partecipazione greca fu sospesa.
La questione dell’entrata della Russia scatenò dunque al tempo un dibattito abbastanza sostenuto visto che, come ben si sapeva, la transizione democratica della neo-federazione (e di molti dei suoi ex compagni di strada) era ben lungi dall’essere compiuta. Come detto, fu scelta la strategia dell’inclusione e dopo l’Ukraina (novembre 1995), la Russia fu ammessa nel febbraio 1996. La strategia dell’inclusione continuò poi con la trasformazione del G7 in G8 (giugno 1997) e con il dialogo Russia-Nato, culminato a sua volta con la riunione NATO Pratica di Mare (2002).
Con questo la Russia si attendeva che, nonostante il disastrato assetto economico e politico interno, vi sarebbe stato un dialogo ed una cooperazione su una base di parità, come Boris Eltsin non mancò di dire a Bill Clinton sostenendo che "Russia e Stati Uniti devono essere partner alla pari, non va bene se gli Stati Uniti difendono i loro interessi e la Russia no" (Repubblica, 28 gennaio 1996). Per inciso, Eltsin contestualmente ribadì l' opposizione della Russia a un allargamento della Nato in Europa Orientale: "Gli ho inviato un messaggio molto serio, che Bill si è impegnato a studiare". L’anno successivo il clima era tale che, forse peccando di troppo ottimismo, Sandro Viola scriveva sulla prima pagina di Repubblica (11 giugno 1997): “Da molti mesi, la Russia non fa più - o quasi - notizia. […] L' idea di una frizione - e non parliamo di una rottura - tra il governo di Mosca e un governo dell'Occidente appare ormai come impensabile. Lo si è visto in queste settimane, quando i paesi della Nato hanno deciso di far posto nell'alleanza alla Polonia, all'Ungheria e alla Repubblica Cèca, tre degli ex "satelliti" dell' Urss: dopo una debole reazione, i russi hanno dovuto accettare l'allargamento della Nato pur di non compromettere i rapporti col campo occidentale”. Ma proprio quest’ultima osservazione avrebbe dovuto mettere sull’attenti: i russi hanno “dovuto accettare” l'allargamento, leggi subire, nonostante le iniziali assicurazioni in senso contrario. Vale anche la pena di ricordare che i tempi dell’allargamento furono forzati dall’amministrazione USA, nel tentativo di rendere meno significante l’adesione dei paesi dell’Europea Centrale ed Orientale all’Unione Europea, avversata da Washington.
Come si sa, Mosca non ha affatto gradito i successivi allargamenti della NATO verso est ed in particolare vive la possibile inclusione di Georgia e Ukraina come una minaccia diretta contro se stessa. La decisione degli USA di firmare l’accordo per posizionare i suoi missili in Polonia, avvenuto proprio nei giorni della crisi georgiana non ha certo aiutato a moderare i toni di Mosca.
L’altro elemento che in questi giorni è stato menzionato, ma non sottolineato abbastanza, è il riconoscimento dell’indipendenza del Kossovo, oibò compiuto anche dall’allora governo Prodi il 21 febbraio 2008, seguendo l’avventata decisione USA e nonostante il netto monito di Mosca che ciò avrebbe rappresentato un precedente per il Causaso e non solo - tant’è che paesi a rischio secessione interna come la Spagna ben si son guardati da fare il riconoscimento. Intervenuta ad un seminario ristretto alla Brookings, l’ex Segretario di Stato Maddalein Allbrigh, interrogata sulla differenza tra l’indipendenza del Kossovo e quelli di altri possibili casi ha risposto “it’s a good question. There is a difference, but, analitically I wouldn’t be able to tell you which…”
A Washington, Casa Bianca e think tanks di ogni tono e colore – che a marzo mal avevano digerito la decisione del vertice NATO di posporre l’entrata nella NATO di Ukraina e Georgia e che già avevano approfittato della mancata risoluzione ONU sulla crisi in Zimbawe per attaccare il comportamento di Mosca, “indegna” di stare nel G8 – fanno oggi a gara a sparare a zero, a riprova che la politica estera USA e una e che poco cambierà nell’essenza, quale che sia il vincitore delle prossime elezioni. A parte l’editoriale di Michail Gorbachov pubblicato sul Washington Post, pochi ad esempio ricordano che – se i russi ne hanno indubbiamente approfittato – la crisi è stata iniziata dalla Georgia, pompata dal percepito sostegno USA. Il Segretario di Stato americano Condoleeza Rice appare da parte sua essere tornata al suo primo amore (odio), la Russia, nel cui studio era specializzata a Stanford.
E’ indubbio che da alcune fronti si tenti di influenzare la traballante gara presidenziale spingendo voti nei confronti del candidato che garantirebbe maggiore sicurezza - suppostamente John McCain - tant’è che Barak Obama ha finito per scegliere come Vice il politico democratico con maggiore esperienza nella politica estera, Joe Biden, invece che un innovatore come lui.
Questo attacco frontale americano può solo danneggiare il già non brillante clima internazionale aumentando le tensioni, che non potranno non ripercuotersi sul resto del mondo, a partire dal Medio Oriente (questione iraniana in particolare). E’ necessario più dialogo con Mosca, non più confronto. Non è cosa facile da far capire agli USA, abituati a vedere il mondo in bianco e nero e a considerarsi i vincitori della guerra fredda. L’Italia, nel suo piccolo, sta per una volta dando il suo positivo contributo e, novità rilevante, lo sta facendo con un fronte politico sostanzialmente unito - fatta salvo qualche minore voce isolata. Può dar noia ad alcuni, ma sta facendo bene.

martedì, giugno 03, 2008

Verso il miliardo di affamati

La prima giornata della conferenza Fao sulla sicurezza alimentare. Il segretario dell'Onu Ban Ki-Moon: "Entro il 2030 serve il 50% in più di derrate alimentari. La cifra di 850 milioni di persone non hanno di che sfamarsi può aumentare a breve di altri 100 milioni".

- Napolitano: "Per combattere la fame non basta il mercato". Berlusconi: necessario aumentare subito gli aiuti economici ai Paesi in difficoltà, ma gli stanziamenti degli stati Ue "non devono essere conteggiati nei bilanci comunitari". Gli interventi dei principali capi di stato e di governo, tra cui Lula, Sarkozy, Kirchner, Zapatero, Ahmadinejad e il messaggio del Papa.

- Coldiretti: "In Europa 74 milioni di potenziali affamati". Nel continente l'aumento dei prezzi dei beni alimentari è del 7,1%. vai>>

ECONOMIA - I vincitori e i vinti del "business della fame"

Vietata dalla polizia un'azione dimostrativa di Actionaid (la polizia: "non autorizzata") davanti alla Fao, prevedeva uno striscione di 200 metri con la scritta "Stop al business della fame". I quattro interventi secondo l'ong: più investimenti in agricoltura locale; donne al centro dello sviluppo rurale; no ai sussidi ai biocarburanti; no agli ogm. "Ecco i vincitori e i vinti di una tragedia che rischia in pochi anni di portare a un miliardo il numero degli affamati. E le colpe di governi e multinazionali.

- Medici senza frontiere ai leader: "Subito una strategia per i 178 milioni di bambini malnutriti, di cui 20 milioni gravi".

- Legambiente: "Il problema fame non riguarda la quantità, ma l'equità. Ridistribuire la ricchezza, contrastando le speculazioni che stanno danneggiando i paesi più poveri".

domenica, novembre 04, 2007

Pena di morte, presentata la moratoria alle Nazioni Unite

La battaglia per la moratoria universale della pena di morte entra nel vivo: al termine di una maratona negoziale al Palazzo di Vetro, Brasile e Nuova Zelanda a nome di altri 70 co-sponsor hanno depositato il testo che fa appello a tutti gli stati che ancora mantengono la pena di morte a «stabilire una moratoria sulle esecuzioni in vista della loro abolizione».

Il testo fa anche appello agli stati che hanno la pena di morte a «ridurne progressivamente» l'uso e «il numero di delitti per i quali può essere imposta», mentre chiede alle nazioni che hanno mandato in pensione il boia a non reintrodurre il regime della morte di stato.

L'Assemblea Generale - «guidata» dagli obiettivi e dai principi della carta delle Nazioni Unite e «richiamando» la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo - chiede al segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon di far rapporto sulla sua attuazione alla 63esima Assemblea Generale che si aprirà a New York nel settembre 2008.

«Con oggi speriamo di aver compiuto un passo definitivo e irreversibile verso l'approvazione della moratoria sulla pena di morte», ha detto il presidente del Consiglio Romano Prodi sottolineando la «grande soddisfazione non solo per il governo italiano, che ha speso grandi energie per ottenere questo risultato, ma anche per il Parlamento che con un voto unanime, aveva dato forte impulso e convinto appoggio all'azione dell'esecutivo».

La moratoria sulla pena di morte è rimbalzata al Congresso dei radicali italiani a Padova e Emma Bonino, che fino a giovedì scorso a New York aveva febbrilmente negoziato sul testo, è scoppiata in un pianto di gioia. Venerdì intanto una delegazione della Comunità di Sant'Egidio guidata dal portavoce Mario Marazziti e la Coalizione Mondiale contro la Pena di Morte presenteranno al presidente dell'Assemblea Generale Srgian Kerim cinque milioni di firme a favore della moratoria.

A questo punto comincia la vera battaglia da affrontare, ha detto l'ambasciatore italiano all'Onu Marcello Spatafora con «determinazione» ma anche «massima flessibilita». La risoluzione non è un documento vincolante, ma come tutti i testi varati dall'Assemblea Generale ha forte peso morale, tant'è che per due volte, nel 1994 e nel 1999 i paesi del partito della pena di morte sono riusciti a far deragliare iniziative analoghe spaccando la coesione europea.

Un accordo tra i 27 dell'Ue è stato invece stavolta raggiunto, anche se con qualche difficoltà: alcuni paesi - tra cui Olanda e Belgio - volevano fino all'ultimo un testo più forte, puntato sulla richiesta dell'abolizione della pena capitale.

Alla fine ha prevalso la linea dell'Italia: moratoria e nulla di più. Il fronte pro-moratoria non può comunque riposare sugli allori: il testo dovrà affrontare l'ostracismo di Paesi come Egitto, Singapore e alcuni caraibici, determinati ad affondarla con «emendamenti killer» o mozioni di non luogo a procedere.

Rispetto a otto anni fa ci sono motivi di cauto ottimismo: negli Stati Uniti, dove gli umori forcaioli del 1999 hanno lasciato spazio a un dibattito pieno di interrogativi sulla opportunità di fermare il boia, l'ambasciatore all'Onu Zalmay Khalilzad ha lasciato intendere che Washington terrà un basso profilo sulla questione. Lo stesso atteggiamento potrebbe tenere la Cina dove il numero delle esecuzioni è in calo a causa di più severe misure giuridiche rispetto al passato.
Se tutto andrà come previsto, il testo della risoluzione verrà discusso e votato in commissione tra il 14 ed il 29 novembre, per poi approdare in Assemblea Generale a metà dicembre, in coincidenza con la presidenza di turno italiana del Consiglio di Sicurezza.

martedì, settembre 25, 2007

Prodi: all'Onu per proseguire la battaglia contro la pena di morte

Nel giorno in cui si appresta ad intervenire alla 62esima sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Romano Prodi ricorda la sua recente lettera aperta ai 55 Premi Nobel - dal Dalai Lama a Mikhail Gorbachev, da Desmond Tutu a Lech Walesa - e rilancia dalle colonne di Repubblica il progetto di risoluzione Onu sulla moratoria universale della pena di morte, in vista della sua abolizione. "Una risoluzione delle Nazioni Unite contro la pena di morte potrebbe dimostrare che l'uomo di oggi è migliore di quello di ieri. Sarebbe un risultato enorme, destinato ad incidere sulla nozione stessa di progresso. Un risultato che aprirebbe le porte ad un futuro piu' giusto", scrive il premier.
Il presidente del Consiglio ricorda quanto sta facendo l'Italia contro la pena di morte e sottolinea l'importanza dell'appuntamento di questi giorni a New York con l'assemblea generale dell'Onu. Durante l'assemblea "l'Unione Europea e vari paesi in rappresentanza di ogni regione del mondo presenteranno una risoluzione per la moratoria universale. L'obiettivo è giungere al più presto alla sua approvazione. L'Italia -scrive Prodi- è da sempre impegnata in questa battaglia e ha svolto in questi mesi un ruolo decisivo perché si formasse il più ampio consenso possibile in Europa e nel mondo".
"La pena di morte è un atto estremo, contrario ai più elementari principi di convivenza civile, che si e' alimentato nei secoli grazie alla logica della violenza che chiama violenza in una catena senza fine. Oggi abbiamo un'occasione unica per affrancarci, per provare a spezzare questa catena", conclude Prodi.

martedì, gennaio 16, 2007

appello per il Darfur

Cari amici,
il 2007 si apre con buone e cattive notizie e molte speranze per i mesi a venire. Il governo di Khartoum ha firmato un cessate-il-fuoco di 60 gg con le forze ribelli del Darfur, stando alle dichiarazioni di un mediatore dello stato americano del New Mexico. Inviati speciali dell'ONU in Sudan avrebbero invece segnalato la volontà del regime di instaurare un nuovo dialogo con le forze ribelli. Noi di Italian Blogs for Darfur non dimentichiamo però che già nel maggio del 2006 ad Abuja era stato firmato un trattato di pace, i cui accordi non sono mai stati rispettati.
Nel corso dell'anno appena conclusosi, abbiamo cercato di fare tanto, talvolta senza successo, altre volte con inaspettati risultati, ma sempre e comunque con notevole difficoltà. E' il muro dell'indifferenza l'ostacolo più grande da superare. Ma noi contiamo sulla vostra sensibilità e solidarietà. Insieme si può fare tanto.
Chiediamo più informazione, ma soprattutto una maggiore qualità dell'informazione e più spazio a chi non può pagarselo. La televisione, soprattutto quella pubblica, ha l'obbligo morale di dare voce a chi soffre quotidianamente l'arroganza e la violenza dei regimi totalitari del mondo. Nel Darfur, ogni giorno, le storie di violenza e di morte si susseguono inesorabili. Ma i media italiani continuano a ignorarle.
In 1000 avete firmato il nostro appello per il Darfur! Grazie.
Più di mille internauti hanno già firmato il nostro appello on-line e nuovi vignettisti hanno accolto il nostro invito per "Una vignetta per il Darfur".
Ma non ci sono novità dal fronte della pace. Gli scontri continuano più feroci che mai nel Darfur e rischiano di estendersi ai Paesi confinanti, riaccendendo anche i rancori tra Nord e Sud del Sudan. La comunità internazionale è immobile dinanzi a tante atrocità, legata ai troppi interessi che pesano nello scacchiere internazionale, dai traffici d'armi e di petrolio della Cina e della Russia alle ingerenze francesi in Ciad, e alla sorda indifferenza delle Nazioni democratiche del mondo, prime fra tutte l'Italia, nella quale i colorati mercatini di Natale ruberanno la scena al mercato della vita in Darfur, dove i saldi sono già iniziati da anni. Fuori tutto.

"UNA VIGNETTA PER IL DARFUR"
La fantasia al servizio dell'informazione.
Continua l'iniziativa di Italian Blogs for Darfur rivolta ai vignettisti italiani. Visitate il blog http://itablogs4darfur.blogspot.com per consultare le 29 vignette dedicate al dramma del Darfur. Tra gli ultimi ad aderire in ordine cronologico: Squillante, Sergio Staino, Mauro Biani, Giò.
Un caro saluto
Cc: Italian Blogs for Darfur (IB4D) - http://www.savetherabbit.net/darfur - itablogsfordarfur@savetherabbit.net

giovedì, gennaio 04, 2007

Ban Ki-moon: «Pena capitale da abolire»

Un no alla pena di morte arriva anche dai vertici del Palazzo di vetro. Facendo una parziale, ma concreta retromarcia rispetto a quanto affermato solo due giorni fa, il neo segretario generale dell'Onu, il sud coreano Ban Ki-moon, ha appoggiato ieri l'abolizione della pena capitale. E questo mentre l'iniziativa del governo italiano, che ha proposto una moratoria globale delle esecuzioni, ha raccolto ieri il consenso del presidente della repubblica Giorgio Napolitano e dell'Unione europea, con Francia e Germania che si sono dette pronte ad appoggiare la richiesta di fermare l'attività dei boia in sede Onu.
Ma a dare ossigeno alle speranze degli abolizionisti di tutto il mondo, sono state proprio le parole pronunciate ieri da Ban Ki n-moon. Il successore di Kofi Annan è stato duramente criticato dalla stampa internazionale per aver sostanzialmente giustificato l'impiccagione di Saddam Hussein, ricordando le vittime della sua dittatura e l'esclusiva competenza degli stati nazionali su un tema come la pena di morte. Ieri la correzione di rotta, fatta attraverso la sua portavoce, Michele Montas. Il segretario generale, ha detto, «ritiene che l'Onu debba lavorare» per arrivare all'abolizione della pena di morte, anche se «si rende conto che sarà un processo lungo».
Nessuna incertezza, invece, da parte del Colle. Per il presidente della repubblica Giorgio Napolitano l'iniziativa contro la pena capitale annunciata da Prodi «è coerente con la tradizione italiana, che affonda le radici in primo luogo nella Costituzione». Napolitano ha anche sottolineato come alle immagini dell'esecuzione di Saddam Hussein «tutti i leader europei abbiano ribadito profonda contrarietà alla pena di morte. E' bello - ha concluso il presidente - che l'Italia abbia fatto questa scelta a nome di tutta l'Europa».