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sabato, aprile 09, 2011

Napoli: la grande piazza del precari giovani e purtroppo meno....

rassegma stampa

I precari sfilano in corteo
"Il nostro tempo è adesso"

E' partito da piazza Mancini la marcia per il lavoro. Slogan, striscioni e rabbia.Manifestanti da tutta la Campania. Lanci di uova contro due banche. Finale in piazza del Gesù con il concerto dei Bisca

di TIZIANA COZZI


Sono scesi in piazza perché “il tempo è adesso”. Perché hanno dai 25 ai trent’anni ma le stagioni passano. Perché hanno perso il lavoro a quarant’anni e solo da qualche mese sono piombati nel limbo dei precari e temono di non uscirne più. Giovani e adulti, insieme per gridare no all’incertezza. In mille hanno aderito all’appello lanciato dagli organizzatori su Facebook e ora sono in marcia. Il corteo si è mosso da piazza Mancini dopo la 10 con striscioni, slogan. Rabbia certo, e tanta voglia da parte di precari, disoccupati di riprendersi il futuro. La destinazione piazza del Gesù dove alla fine della manifestazione si svolgerà il concerto dei Bisca. In testa al corteo studenti medi e universitari e ricercatori con lo striscione "Il nostro tempo è adesso, la vita non ci aspetta". Ma ci sono anche disoccupati, gli operai della Fiat di Pomigliano, giornalisti, precari del progetto Bros. Momenti di tensione quando un gruppetto di manifestanti hanno lanciato uova con vernice contro le sedi del Monte dei Paschi di Siena e Unicredit.

La protesta si svolge in quaranta città italiane (tra cui Milano, Roma e Palermo) ma assume un valore simbolico proprio per i numeri allarmanti del precariato in Campania. «Vogliamo essere ironici e dissacranti si legge sul sito del comitato promotore e vogliamo che ad essere visibili siano le persone che hanno aderito all’appello».

Anche l’attore Paolo Rossi, in questi giorni in città con lo spettacolo “Mistero buffo”, ha registrato un video appello, ha dato la sua adesione e ha invitato a partecipare: «Oltre il precariato c’è il lavoro, ma nelle vicinanze c’è la fame, è meglio esserci».

Sono più di duemila i precari nel mondo dell’università, decine di migliaia quelli della scuola (novemila solo quelli della primaria), il 37 per cento dei giornalisti guadagna da zero a 500 euro mensili, il 13 per cento lavora gratis, solo il 10 per cento di fortunati porta a casa più di mille euro. La lista nera si allarga all’universo dei call center, del lavoro pubblico, dell’archeologia. Il tam tam è partito su internet qualche settimana fa, poi sono seguiti flash mob e eventi improvvisati, anche a Napoli. Venerdì, un gruppo di musicisti del conservatorio San Pietro a Majella, si è riunito al Vomero e ha improvvisato un concerto particolare, con brani conclusi a metà «perché ci hanno tagliato i fondi e non possiamo proseguire».

A tenere insieme un puzzle multiforme, la rete di associazioni, coordinamenti studenteschi e universitari, organizzazioni politiche, reti di solidarietà e sindacati. Una fotografia del mondo del lavoro dedicata alla carica dei lavoratori “a tempo”, costretti a lavorare per un periodo limitato oppure soggiogati alla piaga del lavoro nero. «Al Sud nel 2009 ci sono stati 200 mila disoccupati in più - dice Mauro Casola, responsabile politiche giovanili Cgil Campania - di questi 150 mila erano giovani fino a trent’anni, la maggioranza dei giovani che lavorano qui lo fanno al nero. C’è di più. In Campania il passaggio da un contratto precario ad uno stabile è tre volte più lungo rispetto ad una regione del Nord».

Il precario campano impiega molto più tempo di un suo omologo settentrionale per approdare al desiderato contratto a tempo indeterminato. E la situazione delle donne non è certo migliore. «Il trenta per cento delle ragazze campane tra i 15 e i 29 anni non ha mai lavorato e meno di una su quattro non ha lavoro, secondo dati Svimez» dice Raffaella Ferrè, giornalista, tra i dieci promotori della manifestazione a livello nazionale.


«Napoli simbolo dei precari»

Combattiva manifestazione per le strade della città
Tanti giovani, ma la gran parte è «over 40»

NAPOLI - «Il precariato influisce sul futuro delle persone, le rende ricattabili e quindi non libere di vivere una vita serena e normale». Lo hanno gridato forte sabato mattina a Napoli le centinaia di persone che hanno partecipato alla manifestazione promossa a livello nazionale dal comitato «Il nostro tempo è adesso». Il corteo partito da piazza Mancini ha attraversato tutto il centro della città passando per il corso Umberto I per raggiungere piazza del Gesù dove sul palco sono saliti i rappresentanti dei comitati e delle associazioni presenti alla manifestazione.

«Munnezza day», la protesta arriva in piazza

«Napoli è il simbolo del precariato sotto tutti i punti di vista - spiega Ornella Vaccaro degli insegnanti precari - parlano di giovani ma la maggiore parte di noi è over 40. Siamo scesi in piazza oggi perchè vogliamo che almeno i più giovani abbiano la possibilità di migliorare il Paese, altrimenti non saranno neanche precari nel futuro, saranno solo disoccupati». «Il mondo della scuola è stato ucciso dalla Gelmini - aggiunge Vaccaro - disabili, insegnanti e Ata sono allo stremo, la scuola pubblica è al collasso». Della stessa opinione sono i ricercatori universitari. «Questo modello di sviluppo che pone al centro la precarietà del lavoro e lo sfruttamento delle giovani generazioni non è accettabile nè sostenibile - spiegano i ricercatori - questo Paese deve investire nella cultura e nella ricerca per un nuovo sviluppo economico». Per la prima volta in piazza inoltre c’erano in tutta Italia anche i giornalisti precari. «Oggi è una giornata storica per il giornalismo - spiegano i rappresentanti del Coordinamento giornalisti precari della Campania - perchè in tutto il Paese i lavoratori precari dell’informazione scendono in piazza non per difendere il contratto ma perchè il contratto non ce l’hanno. L’80% dei giornalisti campani vive in condizioni di instabilità, disoccupazione e abusivato».


«Il nostro tempo è adesso»
Oggi in piazza i giovani precari


Manifestazione di precari a Napoli (foto Cesare Abbate  - Ansa)

ROMA - «Il nostro tempo è adesso. La vita non aspetta». Con questo slogan - che è anche il nome del comitato promotore - i precari, i disoccupati, il popolo delle partite Iva, gli studenti, gli stagisti, i ricercatori, i free lance sfilano oggi per le strade delle città italiane e non solo, per riprendersi - è il loro diktat - il presente, ancor prima del futuro, ed il Paese, partendo dal lavoro. E dalla richiesta al premier Silvio Berlusconi di «farsi da parte». Con loro in piazza ci sarà la Cgil, il comitato "Se non ora quando" e l'opposizione: Pd, Idv, Verdi, Pdci-Federazione della sinistra.

Sono un "esercito" di quasi 4 milioni di persone i precari in Italia. Il 56% di loro è occupato nelle regioni del Centro Sud. Tra il 2008, inizio della crisi, ed il 2010 sono aumentati del 4%. Sono i dati con i quali la Cgia di Mestre fotografa il fenomeno del precariato nel Paese. Oltre il 38% ha solo la licenza media, tra gli under 35 il livello retributivo mensile netto è di 1.068 euro.

L'Italia «non ce la farà se non si ripartirà dal lavoro», ha detto il segretario generale della Cgil Susanna Camusso parlando ad Ancona nella giornata di mobilitazione dei precari. «Una lunga marcia per il lavoro in questa regione, una lunga marcia in tutta Italia - ha detto -. L'obiettivo è quello di dire che questo Paese non ce la farà, non riprenderà la crescita, non avrà prospettive se non si riparte dal lavoro. Dalla creazione di lavoro per chi non ce l'ha, dal lavoro certo per chi oggi è precario e dalla difesa del nostro apparato industriale per chi vede un destino di cassa integrazione».

«È ora di dire basta con il caporalato. Basta con la violenza, con la spada di Damocle, con il ricatto, con la scusa che il precariato è l'unico modo per avere lavoro. Noi dell'Italia dei Valori abbiamo dimostrato di voler contrastare strenuamente il precariato partecipando a tutte le mobilitazioni e a tutte le trattative. Abbiamo anche preparato un libro bianco e l'abbiamo presentato al ministero competente e a tutte le organizzazioni sociali», ha affermato il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, in un video-messaggio pubblicato sul suo blog, confermando così il sostegno del partito alla manifestazione. «Questa vita sempre all'insegna dell'angoscia, sempre col nodo scorsoio al collo, è una non vita. È una vita da schiavi - ha sottolineato Di Pietro -. La degenerazione verso il feudalesimo dei concetti di flessibilità, di mercato e di libertà imprenditoriale, non è la manifestazione di uno Stato moderno, anche se tanti cercano di farla passare per modernizzazione». «È un ritorno allo schiavismo. Fermiamo questo ritorno a un lavoro senza diritti. Fermiamo la tratta dei moderni schiavi».

Corteo a Napoli. Alcuni docenti avevano stampata sulla fronte la data di scadenza del loro contratto e la cifra dell'ultimo stipendio percepito. Qualche ricercatore aveva in mano la raffigurazione di un cervello spremuto. Così con alcuni eloquenti simboli si è voluto ribadire il no al precariato in tutte le sue forme. Alcune centinaia di persone hanno partecipato alla manifestazione promossa a Napoli dal comitato "Il nostro tempo è adesso". Il corteo partito da piazza Mancini ha raggiunto piazza del Gesù dove sono saliti sul palco alcuni rappresentanti dei manifestanti. Studenti, insegnanti del gruppo «Precari Napoli», Cgil, Fiom, ricercatori della rete «29 aprile», giornalisti del Coordinamento precari della Campania, lavoratori Inps, Carc e semplici cittadini hanno sfilato insieme per ribadire quanto la precarietà del lavoro influisca non solo nelle scelte della vita di tutti i giorni ma soprattutto sul futuro. In strada c'erano giovanissimi studenti ma soprattutto, è stato ricordato dagli organizzatori, trentenni che «rappresentano in questo momento la stragrande maggioranza dei precari intellettuali e non del Paese». Durante il corteo uova piene di vernice rossa sono state lanciate sulle vetrine di due banche al Corso Umberto I.


domenica, febbraio 10, 2008

Istat, irregolare il 12,1% dei lavoratori

Sul totale delle circa 24 milioni e 329 mila unità di lavoro del 2005, circa 2 milioni e 951 (pari al 12,1%) mila risultano non regolari. Una percentuale che tuttavia appare in diminuzione rispetto al 13,8% del 2001. Lo comunica l’Istat, che ha diffuso i dati su ‘La misura dell’occupazione non regolare nelle stime di contabilità nazionale - Anni 1980-2005’. Il tasso di irregolarità, dice l’Istat, tende a diminuire tra le unità di lavoro dipendenti mentre aumenta tra quelle indipendenti. L’incidenza delle unità di lavoro non regolari dipendenti passa dal 16% del 2001 al 13,4% nel 2005 mentre, tra gli indipendenti, il tasso cresce dall’8,5% all’8,9%. I settori maggiormente coinvolti dall’irregolarità del lavoro sono quelli dell’agricoltura e dei servizi In agricoltura, ad esempio, il carattere frammentario e stagionale dell’attività produttiva favorisce l’impiego di lavoratori temporanei che, essendo in molti casi pagati a giornata, non sono regolarmente registrati.
Per l’Istat, sono non regolari le posizioni lavorative svolte senza il rispetto della normativa vigente in materia fiscale-contributiva, quindi non osservabili direttamente presso le imprese, le istituzioni e le fonti amministrative. Rientrano in tale categoria le posizioni lavorative: continuative svolte non rispettando la normativa vigente; occasionali svolte da studenti, casalinghe o pensionati; svolte dagli stranieri non residenti e non regolari; plurime, cioè le attività ulteriori rispetto alla principale e non dichiarate alle istituzioni fiscali.

venerdì, ottobre 19, 2007

Chiesa: Il Papa, troppa precarietà sul lavoro

Ecco uno stralcio della lettera del Papa Benedetto XVI a Mons. Arrigo Miglio, Vescovo di Ivrea e Presidente del Comitato Scientifico ed Organizzatore delle Settimane Sociali che si è aperta oggi a Pisa, così leggete da soli e vi fate un'idea personale..

"Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, rifacendosi all'insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II, specifica che “il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro” (Cost. Gaudium et spes, 164). Già il teologo Francisco Suarez individuava un bonum commune omnium nationum, inteso come “bene comune del genere umano”. In passato, e ancor più oggi in tempo di globalizzazione, il bene comune va pertanto considerato e promosso anche nel contesto delle relazioni internazionali ed appare chiaro che, proprio per il fondamento sociale dell'esistenza umana, il bene di ciascuna persona risulta naturalmente interconnesso con il bene dell'intera umanità. L'amato Servo di Dio Giovanni Paolo II osservava, in proposito, nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis che “si tratta dell'interdipendenza, sentita come sistema determinante di relazioni nel mondo contemporaneo, nelle sue componenti economica, culturale, politica e religiosa, e assunta come categoria morale” (n. 38). Ed aggiungeva: “Quando l'interdipendenza viene così riconosciuta, la correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come ‘virtù', è la solidarietà. Questa, dunque, non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti” (ibid.).
Nell'Enciclica Deus caritas est ho voluto ricordare che “la formazione di strutture giuste non è immediatamente compito della Chiesa, ma appartiene alla sfera della politica, cioè all'ambito della ragione autoresponsabile” (n. 29). Ed ho poi notato che “in questo, il compito della Chiesa è mediato, in quanto le spetta di contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali, senza le quali non vengono costruite strutture giuste, né queste possono essere operative a lungo” (ibid.). Quale occasione migliore di questa per ribadire che operare per un giusto ordine nella società è immediatamente compito proprio dei fedeli laici? Come cittadini dello Stato tocca ad essi partecipare in prima persona alla vita pubblica e, nel rispetto delle legittime autonomie, cooperare a configurare rettamente la vita sociale, insieme con tutti gli altri cittadini secondo le competenze di ognuno e sotto la propria autonoma responsabilità. (...)
La cronaca quotidiana mostra che la società del nostro tempo ha di fronte molteplici emergenze etiche e sociali in grado di minare la sua stabilità e di compromettere seriamente il suo futuro. Particolarmente attuale è la questione antropologica, che abbraccia il rispetto della vita umana e l'attenzione da prestare alle esigenze della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Come è stato più volte ribadito, non si tratta di valori e principi solo “cattolici”, ma di valori umani comuni da difendere e tutelare, come la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. Che dire, poi, dei problemi relativi al lavoro in rapporto alla famiglia e ai giovani? Quando la precarietà del lavoro non permette ai giovani di costruire una loro famiglia, lo sviluppo autentico e completo della società risulta seriamente compromesso. Riprendo qui l'invito che ebbi a rivolgere nel Convegno Ecclesiale di Verona ai cattolici italiani, perché sappiano cogliere con consapevolezza la grande opportunità che offrono queste sfide e reagiscano non con un rinunciatario ripiegamento su se stessi, ma, al contrario, con un rinnovato dinamismo, aprendosi con fiducia a nuovi rapporti e non trascurando nessuna delle energie capaci di contribuire alla crescita culturale e morale dell'Italia.

sabato, ottobre 06, 2007

Tipologia del bamboccione

Viaggio nel mondo dei giovani-vecchi:Padoa-Schioppa? Ci ha fatto indignare


Dunque, generazione bambocciona. Ma cosa c’è poi dentro? Perché non sono tutti precari, i bamboccioni, è ovvio; ma molti sì. Di certo il bamboccione è (anche) uno che usa Internet, un blog della «Stampa» in una mattinata ha disegnato un’intera fenomenologia del genere. Perché in realtà bamboccione è tutto, in Italia, c’è chi (la maggioranza) si è offeso con Tps e gliene dice di ogni, ma chi rivendica l’epiteto, chi ha un buon motivo e quelli i cui motivi non sono belli da verificare, chi vorrebbe ma non può e chi serenamente non vorrebbe, chi dice vaffa alla sola idea del rischio e chi è stato troppo bastonato per crederci ancora. E forse mai - questo è un merito di Padoa Schioppa - epiteto del teatrino politico ha scaldato così tanto il cuore di un pezzo di società vera.

Bamboccione superprecario
Una figura dominante è lui, quello che non se ne va perché «sono laureato da 10 anni, ho cambiato una decina di lavori, dal 1° ottobre 2005 lavoro da co.co.co. per un Comune». Figura che trova il completamento nel sottopagato e arrabbiato, «raddoppiateci lo stipendio e vedrete che fuori casa ci andiamo subito, io ho 35 anni e guadagno 1300 euro al mese da oltre sette, come si fa quando gli affitti non sono inferiori a 500 euro?». Ma c’è anche altro, poi.

Bamboccione sentimentale
Si è bamboccioni per sentimento, per esempio, o per necessità di autoingannarsi. «Ho 33 anni, guadagno 2 mila euro al mese e vivo con mammà». Che ignavia, direte. «Le do 300 euro al mese, e le ho prestato 80 mila euro perché acquisisse in modo completo una proprietà di famiglia, che altrimenti si sarebbe preso mio padre, con la seconda moglie rumena e ora una russa. Alla prima aveva comprato una villa, alla seconda paga gli alimenti». Gli olandesi se ne vanno fuori casa, sì, ma non si immolano così per la mamma. Volevate la famiglia, no?

Bamboccione consumatore
Siamo così, bene o male che sia. E a volte il bamboccione tutto sommato serve. «Conosco giovani - dice Ilaria V. - che preferiscono buttare i soldi in serate, cellulari, vestiti, cene, bevute, giovani che preferiscono rimanere nel limbo dell’eterna adolescenza. Sono una categoria coltivata dai pubblicitari, il principale business sono i bamboccioni». Ed è stanca di stare con gente che «deve fare l’amore in auto a 35 anni».

Bamboccione con alibi
E tuttavia i miei alibi e le tue ragioni si mescolano, e un trentottenne con 1200 euro al mese può restare a casa perché, dice, ultimo di sei figli, con due genitori anziani. Oppure una non-bambocciona può invidiare, altro che prendere in giro, il bamboccione. «Sono una ragazza di 36 anni, fuori casa da quando ne ho 22. Non ho fatto l’università, ho iniziato subito a lavorare nell’informatica. Dal 96 ad oggi ho avuto solo contratti co.co.co e adesso co.co.pro di un anno cambiando aziende e città, non ho mai abitato da sola ma sempre condividendo appartamenti. Lo stipendio (a giornata, quindi ad agosto e dicembre prendo poco) non supera i 1200 euro, non ho più la macchina perché non riesco a mantenerla, non ho nessun aiuto dalla mia famiglia». E sapete che suggerisce? «Bamboccioni, restate in famiglia finché potete».

Bamboccione con dilemma
Se emigri puoi esser vincitore come Massimo Troisi, perché non crederci? Però il mondo è fatto anche di Lello Arena. Giudi S. ha studiato un anno in Germania, dove «gli studenti ricevono dei soldi per mantenersi da soli. È facile non essere bamboccioni così. Peccato che in Italia tutto questo sia fantascienza». O a volte si resta bamboccioni come in un deserto dei tartari, aspettando: un marito, un colpo di fortuna, un po’ di coraggio.

Bambocciona cerca famiglia
Ale, per dire, è laureata con il massimo dei voti, «vivo con 700 euro al mese, lavoro in stage da quasi un anno, vorrei solo un po’ di stabilità economica per mettere su famiglia». Ma bisogna anche ascoltare le mamme, o le fidanzate. Madri sfinite per figli «sempre a piagnucolare per le magliette non stirate e non lavate, sempre serviti e riveriti, sesso gratis e a go go... almeno ai miei tempi uno il rapporto umano e anche fisico se lo sospirava un po’», e magari veniva voglia di andarsene. O forse non sono tantissime le ragazze come Stefania, «ho 33 anni, lavoro da quando ne ho 19, mi sono sacrificata quando è stato il momento, i ragazzi non possono pensare di cercare il lavoro fisso per sistemarsi, dov’è l’inventiva, il rischio, l’avventura che dovrebbero esser tipici dei giovani?». Perché c’è stato un giorno in cui bamboccioni siamo stati tutti; almeno, in quel secondo prima di andarcene; e forse è una donna quella che ci ha salvato.
www.lastampa.it/iacoboni

giovedì, luglio 12, 2007

Verranno assunti 50.000 docenti e 10.000 Ata

Verranno assunti 50.000 docenti e 10.000 Ata: "sono tutti precari storici"
Nomine entro il 31 luglio per garantire l'avvio del prossimo anno scolastico
Scuola, Fioroni firma il decreto
"Verranno assunti 60mila precari"

Scuola, Fioroni firma il decreto
"Verranno assunti 60mila precari"
ROMA - Al via 60.000 assunzioni nella scuola. Il ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, ha firmato il decreto che prevede l'immissione in ruolo di 50.000 docenti e 10.000 Ata (ausiliari, tecnici e amministrativi). L'obiettivo è dare "un'adeguata soluzione" al fenomeno del precariato. I 60.000 sono "tutti precari storici, con il conseguente e sensibile abbassamento - fa notare il ministero - dell'età media del personale e la garanzia di una maggiore funzionalità degli assetti scolastici".

"Il contingente - si legge in una nota di Viale Trastevere - viene ripartito tra ordini e gradi di scuola, posti di insegnamento e profili professionali a livello provinciale delegando ai Direttori regionali l'emanazione delle conseguenti nomine in ruolo che dovranno essere effettuate entro il 31 luglio per garantire il regolare avvio del prossimo anno scolastico. Con il decreto, inoltre, viene resa operativa, relativamente alla prima tranche di nomine, la norma della legge finanziaria che prevede la definizione di un piano triennale di assunzioni a tempo indeterminato per gli anni 2007-2009".

Oltre alle assunzioni, il decreto contiene anche altre importanti novità. Una riguarda il meccanismo di reclutamento, che punterà ad assumere esclusivamente insegnanti non di ruolo. Fino ad ora, infatti, molti degli assunti, iscritti nelle liste dei precari, erano in realtà già di ruolo in un altro grado di istruzione o in un'altra cattedra. Questo danneggiava i precari veri che spesso si vedevano soffiare il posto da un collega più anziano e per di più di ruolo.

Le asunzioni interesseranno tutta l'Italia, ma saranno Lombardia, Campania e Sicilia le regioni che faranno man bassa di cattedre. In Lombardia andranno 7.381 cattedre e in Campania 5.635. Ma è tutto il Nord che si accaparra la fetta più grossa di immissioni in ruolo con quasi 21 mila posti, al Centro ne andranno quasi 10 mila e poco più di 19 mila in ben otto regioni meridionali.