lunedì, settembre 08, 2008

«Nuovi politici cattolici per l’Italia»

In Italia serve una «nuova generazione» di politici cattolici, di «laici cristiani» che abbiano «rigore morale» e «competenza». Lo ha detto Benedetto XVI durante la messa celebrata ieri a Cagliari. Il Papa ha poi esortato i giovani a rifuggire «il nichilismo odierno», ha denunciato la piaga della precarietà del lavoro e con una preghiera a Maria in sardo ha esortato «il popolo delle madri» ad amare e difendere la vita. Infine il pontefice ha messo in guardia contro i falsi miti del guadagno facile imposti dalla società consumistica, invitando a non idolatrare chi ha successo.


sull'argomento pubblichiamo un articolo del Presidente Casavola tratto dal Mattino

Francesco Paolo Casavola


Nell'omelia di Benedetto XVI per la messa celebrata nel santuario di S. Maria di Bonaria, a Cagliari, alla presenza non solo di una moltitudine di fedeli, ma anche di autorità nazionali e locali, primo tra tutti il presidente del Consiglio dei ministri, sono stati esortati i laici cattolici all'impegno nella vita pubblica, dall'economia alla politica. Non mancheranno commenti sulla portata di questo appello, nell'ampio ventaglio di ipotesi ch'esso stimola, dalla evocazione di un nuovo cattolicesimo sociale, democratico, popolare alla indicazione della necessità di una formazione intellettuale e morale, ispirata alla dottrina sociale della Chiesa, per una classe dirigente e politica all'altezza dei problemi che ci vengono incontro. In ogni caso, interpretata nella sua portata minimale, la frase dell'omelia papale vuol significare che i cattolici non possono non dar conto della loro presenza in tutti gli ambiti della storia presente del Paese. Qualcuno suonerà l'allarme per una ennesima minaccia di invasione clericale dei meccanismi che danno movimento e direzione alla convivenza nazionale. Ma sarebbe il caso di uscire da una simile psicosi, che è l'unica patologica giustificazione di quanti pretendono di dividere gli italiani tra atei e credenti. Qui è in questione una cultura civile, cui debbono contribuire, anche con le opportune reciproche correzioni, laici portatori di due grandi patrimoni, della cultura cattolica e di quella liberale.
Se si mettono in fila i valori della libertà e dignità della persona, il valore della vita, della uguaglianza e della giustizia, della libertà del pensiero e della coscienza, del bene comune, della legalità, della solidarietà, dell'economia sociale di mercato, del rispetto delle diversità, della tutela dell'ambiente, della pace, come si può immaginare che ci si divida su fronti opposti? Si discuterà di modalità, di priorità, di commisurazione di mezzi a fini. Si discuterà di modalità, di priorità, di commisurazione di mezzi a fini. La distinzione, se proprio la si vuole andare a stanare, sarà la buona e la cattiva coscienza degli uni e degli altri. Abbiamo gli atei devoti, i finti credenti per ragioni di consenso elettorale, i fondamentalisti del laicismo e del clericalismo, che all'atto delle scelte concrete e delle decisioni non rinviabili saranno costretti a far cadere le loro mascherature. Ma prima di quel momento di verità, non solo politici, amministratori eletti, uomini delle istituzioni e della legge, ma anche delle imprese, delle professioni, delle formazioni sociali, debbono radicarsi in ogni realtà comunitaria tra i tanti territori e popolazioni del nostro paese. Di un tale incistidamento la Chiesa cattolica ha una esperienza millenaria. Si può non essere praticanti e tuttavia si è raggiunti da questa capillarità del mondo cattolico. Dall'altra parte, si oscilla tra la insignificanza dell'anonimato di massa e l'arroganza di gruppi elitari, che amplificano la propria rappresentatività traverso il controllo di stampa e televisione. Se si deve collaborare per mete condivise, è bene che i cattolici si dichiarino per quello che sono, che valgono, che operano. Senza complessi di nascondimento o di mimetizzazione. La loro franchezza costringerà a eguale comportamento i loro competitori. E la Chiesa gerarchica non si ridurrà a emettere ultimative e non più negoziabili parole d'ordine, ma tornerà alla sua missione di formazione delle coscienze, guadagnando anche dagli avversari comprensione e rispetto per la sua missione di madre e maestra.
Francesco Paolo Casavola


3 commenti:

Pasquale Orlando ha detto...

preso da benecomune.net

L'impegno politico è "fuori moda"?

Paolo Crugnola - 09/09/2008

Papa Ratzinger ha scaldato i cuori di chi, cattolico, si interessa della res publica affermando che c’è bisogno di una nuova generazione di politici cattolici capace di coniugare rigore morale e competenza. Fa molto piacere sentire da una voce così autorevole che anche oggi l’impegno politico può e deve essere concepito come un compito di altissimo valore.

Sin dall’antichità, pensatori, filosofi e uomini di stato si sono interrogati sul tema dell’impegno pubblico, su quali dovessero essere i principi morali, le virtù e le regole di condotta di chi assumeva una carica nell’amministrazione statale.
La gestione della cosa pubblica era tanto importante per gli antichi greci, che essi indicavano come “idioti” coloro che si limitavano ad occuparsi delle loro faccende private, coloro che non sentivano la passione per l’interesse generale della polis.
Nel mondo romano, poi, l’attenzione alla gestione pubblica, agli onori e alle responsabilità ad essa associate, diventavano l’aspirazione massima di ciascun uomo, il quale riconosceva nel servizio alla collettività la via maestra per la propria realizzazione personale oltre che della propria affermazione sociale. E’ con questo spirito, ad esempio, che Cicerone dedica al figlio Marco il De Officis.
D’altro canto, il dibattito sull’impegno pubblico non è un pilastro della sola cultura occidentale. Anche in oriente chi si occupava della cosa pubblica era tenuto in altissima considerazione. I samurai, nel loro ruolo di guerrieri e di funzionari pubblici, sono la dimostrazione più conosciuta di questo riconoscimento sociale.
Una tale importanza attribuita a chi svolge una funzione pubblica è ancora attuale ai giorni nostri? Il dubbio viene dal generale approccio che nella società moderna si riserva alle cariche e alle funzioni pubbliche.
Infatti, si ha l’impressione che, nel comune sentire, quel riconoscimento sociale che un tempo si attribuiva a coloro che si occupavano della cosa pubblica, oggi abbia lasciato il posto ad un atteggiamento di sufficienza, un misto di rimprovero e di compatimento.
Questa diffidenza ha per oggetto sia coloro che assumono una carica elettiva, sia coloro che lavorano in un’amministrazione pubblica, a livello locale, regionale o nazionale.
Nei riguardi dei primi, si rintracciano atteggiamenti più o meno benevoli. I meglio disposti li osservano con compatimento, giudicandoli al pari di idealisti che dedicano tempo e fatica per motivazioni “alte” ma irraggiungibili: una schiera di Don Chisciotte a cui verrebbe da dire “Ma chi te lo fa fare? Lascia stare, non vale la pena.” Quelli che si ritengono più esperti delle cose del mondo sono dell’idea che “se ha deciso di fare politica, vuole dire che ha i suoi interessi da sistemare”.
Anche i poveri funzionari pubblici non sono messi bene nella considerazione generale. Anche in questo caso, i commentatori si dividono tra coloro che con sufficienza li ritengono fondamentalmente delle “brave persone, anche se non sarebbero in grado di lavorare da altre parti” e coloro, invece, che li individuano come i “perditempo buoni a nulla che avrebbero bisogno di lavorare in un’impresa privata per capire che cosa vuol dire lavorare davvero”.
Altro che samurai, la classe colta e ammirata della società giapponese. Salvo eccezioni, chi si occupa della “cosa pubblica” ha sceso diversi gradini nella scala dell’affermazione sociale.
Complice l’individualismo serpeggiante, sembra che oggi l’”idiota” dei greci sia diventato il modello da seguire. Chi si occupa del proprio “particolare” viene ammirato; chi si interessa della cosa pubblica, dei problemi della collettività,…meno.
La globalizzazione, l’affermarsi di una concorrenza economica ormai su scala mondiale, sembrerebbe confermare questo sentimento diffuso. Laddove il gioco si fa più duro, ognuno deve pensare innanzitutto a salvare se stesso. In realtà, ad uno sguardo più attento, si scopre come una delle migliori risposte alle dinamiche economiche globali stia propria in una rinnovata attenzione alla collaborazione, all’azione collettiva, alla disponibilità di ciascun individuo di farsi carico della responsabilità di ciò che accade al di fuori del portone della propria casa. Le teorie economiche che parlano di distretti produttivi (non solo quelli tradizionali, ma anche quelli innovativi: si pensi alla Silicon Valley, o al distretto di Bangalore in India), di capitale sociale, di tessuto socio-culturale quali ingredienti fondamentali per lo sviluppo della competitività di un territorio non fanno altro che riaffermare la centralità dell’azione collettiva, che passa innanzitutto attraverso le istituzioni pubbliche di un territorio.
Per far sì che un territorio acquisti la capacità competitiva necessaria a sfruttare le opportunità offerte dalla globalizzazione, invece che subirne passivamente le minacce, è necessario riporre al centro dell’attenzione, e della considerazione sociale, la gestione pubblica, l’impegno politico, la partecipazione collettiva, la condivisione della responsabilità rispetto alla scelta ed al perseguimento di obiettivi che riguardano l’intera collettività.
Come fare per riportare di moda l’impegno pubblico? Il punto d’attacco potrebbe essere il comune. Gian Domenico Romagnosi, maestro di Carlo Cattaneo, riconosceva già all’inizio dell’800 come a livello comunale sia più facile che il singolo cittadino sacrifichi una parte del suo interesse individuale immediato per un bene collettivo di più ampio respiro. L’attività politica ed amministrativa a livello comunale diventa la migliore palestra per ricostruire una rinnovata, convinta attenzione al perseguimento del bene comune e, per questa via, una rinnovata speranza per il futuro.
Infatti, ridare attenzione alla cosa pubblica significa, oggi, abbandonare i panni dei clienti-consumatori intenti a godere nell’immediato e quanto più possibile dei beni materiali e dei piaceri della vita perché “del doman non v’è certezza”, per assumere quelli delle persone lungimiranti interessate a costruire con successo un futuro prospero per sé e per i propri figli.
Ecco, dunque, che ricominciare a porre la questione dell’impegno pubblico, ricominciare a discuterne e dibatterne, non è un esercizio riservato a coloro che rimpiangono melanconicamente il passato, ma diventa una priorità per chi vuole tenacemente guardare avanti, per chi non vuole limitarsi a chiudersi in casa per paura di quello che può accadere fuori, ma uscire e affrontare a viso aperto le nuove sfide dei tempi moderni. Per questo, non è da ritenersi demodè ritrovare la voglia di essere cittadini fino in fondo, facendo proprio l’appello del Papa ad essere persone impegnate politicamente, con sani principi morali e competenze adeguate alla complessità del compito.

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie

Anonimo ha detto...

imparato molto