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venerdì, giugno 27, 2008

La boutade sui bambini rom


dal blog di Vinicio Albanesi www.vinicioalbanesi.it

L'ipotesi preannunciata recentemente sulla schedatura dei bambini rom fino alla decadenza della patria potestà, per "poterli salvare”, è una semplice boutade. Ignora completamente quel mondo, i legami che tengono insieme le famiglie, la loro cultura e i loro usi.

Per chi ha avuto affidati bambini rom sorpresi dalle polizie municipali e affidati dai Tribunali dei minorenni alle comunità di accoglienza ha dovuto arrendersi. Al massimo quei bambini resistevano nella struttura una notte. All'alba - non si sa con quali strumenti e quali tam tam – quei bambini ricontattavano la famiglia e sparivano.

Un procuratore della Repubblica minorile mi suggerì di creare una struttura adeguata (più esplicitamente una struttura chiusa = carcere minorile) per mantenerli affidati. Dichiarai esplicitamente, non essendo disposto a gestire un “carcere minorile rom”, di non avere strutture idonee ad accogliere quei minori.

Si continua a parlare del rischio rom: oltre proclami e future leggi non si è andati. Forse è sufficiente per rassicurare l’opinione pubblica, ma non certamente per affrontare la situazione e tanto meno per risolverla.

Le linee di un intervento serio possono essere così riassunte.

Primo: affrontare a livello europeo i problemi di questo popolo (meglio sarebbe dire di questi popoli). Nessuno lo vuole: i paesi dell’est che lo hanno tenuto oppresso e marginale sono ora “ben lieti di liberarsene”. Riportare a livello centrale la discussione serve a determinare la parte che a ciascun paese spetta.

Se così non si fa ogni paese dell’UE farà a gara a emanare leggi e disposizioni sempre più discriminatorie così da scoraggiare gli ingressi.

In secondo luogo occorre “investire” su una cultura molto diversa dalla nostra: con pazienza, rispetto e fermezza. Significa prima di tutto avvicinarlo e farsi accogliere. Non è così impenetrabile come viene descritto. Né insensibile alle leggi e al rispetto della convivenza.

In terzo luogo è importante iniziare dai più piccoli: loro hanno prospettive di inserimento più alte.

Di una prospettiva seria di intervento nemmeno l’ombra. L’opinione pubblica e la politica appresso vogliono solo non averli tra i piedi.

Mille ragioni possono essere addotte per non accogliere il popolo rom. C’è però un'unica ragione che cancella le prime mille: non si può essere dalla parte degli indifferenti perché si diventa correi di sofferenze e dolori.

giovedì, aprile 12, 2007

Il volontariato torni alla bontà esigente

Occorre fare molti auguri ai rappresentanti del volontariato che si raduneranno a Napoli il 13 Aprile prossimo, chiamati alla quinta conferenza nazionale. Come sempre, saranno esaltati i numeri di quanti dedicano tempo e risorse per un qualche peso gratuito. L'ultima stima in Italia indicava in 3 milioni e trecentomila (Studio Ipsos 2006) coloro che abitualmente fanno volontariato. 21mila le associazioni (con 100 mila religiosi) che si impegnano in 292 mila piccole sezioni, triplicate rispetto al 1991.

Gli auguri sono necessari perché questo grande mondo di donne e uomini che offrono gratuità deve affrontare seri nodi del proprio futuro. Il primo, tutto esterno, dice che spesso il volontariato svolge funzioni di supplenza ai problemi ai quali il mondo istituzionale (governo, regioni, province, comuni) non risponde e non da oggi. Gli aiuti e i servizi per chi ha bisogno, nel nostro paese, sono scarsi e instabili. Il problema - si risponde - è quello delle risorse insufficienti. Sarebbe più corretto domandarsi per quali obiettivi le risorse sono impiegate; esse infatti non sono mai infinite. Si noti la discussione odierna a chi deve andare il gettito delle maggiori entrate: i forti stanno facendo la voce grossa. Da qui l"impegno affidato al volontariato a gestire iniziative, se non addirittura emergenze. Alcuni esempi sono sotto gli occhi di tutti: i servizi all’infanzia, agli stranieri, ai carcerati, agli anziani, ai malati, ai poveri sono affidati volentieri al mondo del volontariato, per non parlare di iniziative destinate ai ragazzi, al tempo libero, alla cultura. E’ forse una quindicina d’anni che tra istituzioni e volontariato si è instaurato un abbraccio perverso: l’ente pubblico si appella al volontariato; quest’ultimo si impegna nella gestione delle risposte in convenzione. Due sono i risultati negativi: l’ente pubblico si interessa sempre meno dei diritti delle persone deboli e bisognose; il volontariato diventa semplice esecutore (a basso costo) delle indicazioni dell’amministratore di turno. E’ uno dei motivi del ritardo con il quale alcune necessità nella nostra Italia non solo non sono state mai affrontate, ma nemmeno programmate. Le famiglie sono costrette ad arrangiarsi (due milioni le colf nelle famiglie) e se non possono, vivono nel degrado (i poveri sono una diecina di milioni).

Il mondo del volontariato deve liberarsi da queste impegni impropri per tornare ad essere quello per cui è nato.

Volontario è chi incontra i problemi: li percepisce prima di ogni altro perché, vivendoli sul proprio territorio, intuisce il nocciolo delle questioni. Agendo gratuitamente si fa portavoce della necessità di risposte adeguate a chi di dovere. Non chiede per sé, ma per chi ha bisogno. Può, per necessità, inventare risposte nuove, ma è consapevole di non dover fare all’infinito questo mestiere.

Le notizie che dicono che il mondo del volontariato è anche, in qualche modo, profit, essendo stimato il suo fatturato in 38 miliardi di euro e che nelle imprese sociali, a vario titolo, lavorano oltre 630 mila dipendenti, non sono consolanti.

Il rischio è di essere partecipi di abbandoni e di ingiustizie. Non permettendo ai problemi di esplodere, il volontariato si rende correo di mancanze e di parzialità. Con parole forti può diventare "utile idiota” di un sistema che fa dei deboli una parte marginale della vita collettiva, salvo recuperare la buona coscienza attraverso la gratuità e la generosità. C’è chi ritiene sia ingenerosa questa interpretazione della buona volontà di chi comunque dona tempo ed energie per gli altri. Non è in discussione evidentemente la generosità: occorre non dimenticare mai a che cosa serve e a chi giova, alla fine dei giochi, la bontà. Un eccessivo ricorso al volontariato nasconde una cattiva politica.

Auguriamo di nuovo ai partecipanti alla quinta conferenza sul volontariato di non fare le comparse nel teatro delle debolezze: di farsi invece interpreti delle necessità emergenti, esigendo risposte adeguate da chi ha il dovere civile di darne.
Vinicio Albanesi
  • il blog di Vinicio Albanesi


  • Commento tratto da Famiglia Cristiana - Anno LXXVII - n. 15 - 15 aprile 2007

    lunedì, dicembre 04, 2006

    don Vinicio Albanesi: Addetti non profit: utili idioti?


    Con una certa preoccupazione, ma sicuro di non essere distante dalla verità, constato che il cosiddetto mondo non profit sia oramai marginale rispetto alle politiche sociali.
    Grandi e piccole organizzazioni del cosiddetto mondo non profit (associazioni e organizzazioni di volontariato, enti gestori) sono ininfluenti nelle scelte di politica sociale.
    Vengono esaltati i numeri della loro crescita. L’ultima stima del volontariato in Italia indicava in 3 milioni e trecentomila (Studio Ipsos 2006) coloro che abitualmente fanno volontariato. 21mila le associazioni con 100 mila religiosi che si impegnano in 292 mila piccole sezioni, triplicate rispetto al 1991. Il mondo del volontariato è anche, in qualche modo, profit, essendo stimato il suo fatturato in 38 miliardi di euro.
    Nelle imprese sociali a vario titolo lavorano oltre 630 mila dipendenti, che nel 70% dei casi ha un titolo di scuola media superiore.
    La loro distribuzione nel territorio nazionale non è omogenea: il 60% opera al nord, il 19,3% al centro e il 20,7% al sud.
    La domanda è che cosa oggi dica, in termini politici, questo mondo. La risposta secca è che contano poco, molto poco. Provo a dimostrare la tesi.
    Politica generale
    Le politiche sociali del nostro paese, negli ultimi dieci anni, hanno focalizzato la loro attenzione sul grosso della popolazione: la preoccupazione maggiore è che cosa offrire al mondo degli impiegati, degli insegnanti, dei piccoli commercianti, degli artigiani. La leva fiscale è tutta concentrata su di loro. Con stanca litania le statistiche, ogni anno, dicono che i poveri in Italia sono dieci milioni, che le famiglie povere sono quelle a un solo componente o famiglie numerose, che esistono bambini poveri al sud etc... Un piano di riduzione della povertà non è stato mai pensato.
    Lo Stato dice che occorre riequilibrare i conti pubblici; le Regioni e i Comuni rispondono che non hanno risorse. I poveri sono affidati alle organizzazioni “caritative” che dovrebbero risolvere problemi al di fuori della loro portata, quali il lavoro, la casa, il sostentamento di intere famiglie. Con due grandi questioni: gli immigrati e i non autosufficienti.
    Non ci sono più domande da porsi. Il problema della marginalità non è argomento di attenzione politica: figurarsi di soluzione.
    Le politiche sociali
    Anche a proposito delle politiche sociali in atto (risposte, servizi, prestazioni) i mondi del non profit non contano più nulla. Fino agli anni ’90 erano gli interlocutori della politica. Oggi non lo sono più perché ogni Ufficio statale, centrale o periferico, ha la pletora (pagata) dei propri consulenti. Cifre enormi per gli addetti che studiano, propongono, suggeriscono, consigliano. Scoprendo il coperchio della pentola non è difficile intravedere quale minestra si stia preparando. La disoccupazione intellettuale che preme e trova collocazione; la compensazione per amici (fidati) che aiutano nella gestione della politica. Questi addetti consiglieri sono bravi quanto inutili: tendono a inventare fino all’inverosimile tavoli, piani, programmazioni con il solo merito di moltiplicare addetti; parlano di dipendenze senza aver mai incontrato un tossicodipendente, di malati psichiatrici senza averne mai conosciuto uno; hanno il potere di indicare specialità, percorsi, modalità solo nella loro mente.
    La congruità delle strutture e del personale è diventata parossistica, apparentemente orientata ad una migliore qualità dei servizi, in realtà pensata a dare risposte ai disoccupati intellettuali e non.
    Insomma il sociale è divenuto un ambito di risorse i cui maggiori vantaggi sono intercettati dai mediatori e non dai destinatari.
    Un elemento nuovo si aggiunge allo scenario. Il discredito del mondo del non profit. Una vasta corrente di pensiero oramai lotta contro i mondi del non profit in quanto sarebbero inattendibili, imbroglioni, cialtroni. Campagne orchestrate ad arte, coinvolgendo il buono e il marcio, l’attendibile e l’inattendibile.
    La campagna è alimentata da destra e da sinistra: da destra a vantaggio del privato profit, da sinistra per una sistemazione pubblica, rassicurante e stabile degli addetti.
    Autocoscienza
    Nello scenario oramai definito i mondi del non profit hanno grandi responsabilità. Essersi lasciati coinvolgere nella gestione senza criteri di trasparenza, stabilità, programmazione.
    La trappola della gestione ha tarpato le ali ad ogni invenzione, riflessione critica, proposta innovativa. Gli enti non profit sono diventati strutture a funzionamento privato, alla mercè del pubblico. Appalti precari, a prezzi ridotti, affidati comunque con l’occhio di benevolenza doveroso per gli amici degli amici.
    Il secondo demerito è di non essersi distinti da chi, approfittando del sociale, agiva senza etica e senza mission, nemmeno rispettando le regole fondamentali della convivenza.
    Il sociale è diventato la cartina di tornasole, drammatica perché si occupa di sofferenza, del potere che si esercita comunque. I deboli sono ritornati ad essere oggetti e non soggetti. Oggetti ininfluenti nella grande politica e per quel poco che esistono, occasione di sopravvivenza per i loro addetti.
    don Vinicio Albanesi
    Comunità di Capodarco, 1 dicembre 2006
    (testo letto in apertura della XIII edizione del seminario per giornalisti "Redattore Sociale")