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lunedì, marzo 05, 2007

Sanremo, hanno vinto i temi sociali

Al Festival si impongono il “disagio mentale” di Cristicchi e l’ “antimafia” di Moro. In gara tanti brani impegnati. di Concita De Simone
Un vero e proprio plebiscito per i vincitori del Festival di Sanremo, rispettivamente per i Campioni Simone Cristicchi e per i Giovani Fabrizio Moro. Entrambi hanno vinto la rispettiva categoria, e ricevuto sia il Premio della Critica “Mia Martini” assegnato dai giornalisti della Sala Stampa che quello delle Radio-tv. Ma il dato è ancora più interessante se si pensa che “Ti regalerò una rosa” di Cristicchi e “Pensa” di Moro, sono canzoni a sfondo sociale. Canzoni impegnate che, insieme ad altre, segnano la svolta dell’edizione di quest’anno.

Ma il nuovo corso della musica italiana avrebbe potuto non essere avallato dal voto popolare abituato alle canzonette d’amore. E invece no. La rosa che il povero Antonio vuole regalare al suo amore impossibile Margherita e il rap antimafia, hanno colpito al cuore gli italiani. «Il cantautore ha un grande privilegio – ha commentato subito dopo la vittoria Cristicchi – osservare il mondo intorno a lui e raccontarlo. Questa canzone è esplosa in maniera prorompente dentro di me dopo il mio viaggio nei manicomi italiani; non avrei saputo parlare d’altro perché è stata una cosa che mi ha segnato molto dentro. Sono felice che la canzone sia arrivata a tutti. La cosa che più mi ha stupito è stata l’emozione delle persone che mi fermavano per testimoniare la commozione, soprattutto per il finale che nonostante sia tragico sembra dare una forza, un recupero di dignità».

Anche Fabrizio Moro ha rinforzato il significato della sua canzone asserendo: «Una canzone non può cambiare il mondo ma può smuovere le coscienze». Il giovane cantautore romano, nato a San Basilio e cresciuto a Guidonia, con la sua “Pensa”, un accorato rap contro la mafia, ha riscosso da subito consensi e standing ovation in platea. Apprezzato anche il video clip di Marco Risi, dedicato a Falcone e Borsellino, con le immagini, tra le altre, anche di Madre Teresa di Calcutta. Moro ha 31 anni, il padre camionista dell’Acea – una delle persone che più ammira, come ammette alla conferenza stampa subito dopo la premiazione – la mamma casalinga. Lui ha un impiego come facchino all’Hotel Parco dei Principi di Roma, e per venire a Saremo si è messo in aspettativa. È uno che è arrivato al Festival senza raccomandazioni, insomma. E ci è arrivato cantando: «Gli uomini passano e passa una canzone/ /Ma nessuno potrà fermare mai la convinzione/ Che la giustizia no... non è solo un'illusione/Pensa prima di sparare/Pensa prima di dire e di giudicare prova a pensare…».

«Il mio non è un attacco ai mafiosi, è solo un invito alla riflessione – spiega Fabrizio –. Lo dico non per paura, anzi; ho tanta rabbia dentro di me quando osservo certi meccanismi. Questa è una canzone che vuole esprimere coraggio, speranza e amore per il prossimo. È dedicata a tutte le vittime della mafia, come Paolo Borsellino, Peppino Impastato, Ninni Cassarà, Rocco Chinnici. Io li ho scoperti grazie alla tv, ma poi ho letto libri, fatto ricerche». Il giovane vincitore aggiunge anche un invito per i suoi coetanei: «Credo che ogni ragazzo che come me vive in un borgo di periferia, debba ad un certo punto scegliere da che parte stare. Amore per il prossimo significa riflettere prima di compiere un gesto criminale, ricordando quante persone sono cadute e combattono tuttora per la pace e la giustizia nel mondo».

Ma quelle di Cristicchi e Moro non sono state le uniche canzone impegnate di questo Festival. C’è stata una sorta di “svolta sociale” che ha abbracciato i drammi della società. Così, ad esempio, Fabio Concato, con la sua “Oltre il giardino”, ha interpretato il disagio di un cinquatenne licenziato e ormai fuori dal mercato, parlando anche dei guasti della nuova economia. «Da molto nella vita punto all’essenzialità – dichiara – . Non voglio passare come uno che fa esistenza monastica, ma i valori che perseguo sono lontani dalle cose inutili, che ci invadono grazie allo stillicidio delle pubblicità e che nella seconda parte del pezzo invito a lasciare da parte. Perché anche un’esperienza dolorosa può dare più senso alla vita». La stessa Milva, con “The show must go on”, testo scritto da Giorgio Faletti, descrive il fallimento di una star.

Antonella Ruggiero con “Canzone fra le guerre” ha cantato il dramma della guerra e la preghiera di una madre che vuole preservare il figlio dal dolore, in questo brano di grande tensione, scritto dalla stessa insieme a Cristian Carrara, giovane compositore e dirigente delle Acli. «C’è una dimensione di estremo terrore e allarme – spiega la cantante – che supera quello che vediamo nei telegiornali e che va oltre il disagio delle madri del nostro mondo». La Ruggiero comunque non è nuova ad affrontare temi difficili nelle sue canzoni: «Mi sembra normale, basta volerlo e si può davvero comunicare. Non credo che il pubblico che guarda Sanremo sia ottuso. Può comprendere anche messaggi forti». La guerra è protagonista anche di “La ballata di Gino”, dei giovani Khorakhanè, dove si racconta la storia di un disertore pacifista che scappa dal fronte. Una ballata stile De Andrè che risulta un apologo civilissimo, epico e popolaresco insieme. «Una storia vera – spiegano – cioè quella del genero di un nostro amico che durante la seconda guerra mondiale fu messo di forza su un treno ma lui era un pacifista, come cantiamo nella canzone, e allora in piena notte scese dal treno e scappò».

E così, nel primo Festival di Sanremo dove la parola più citata non è più “amore”, bensì “vita”, altri due testi significativi dai giovani: “Il senso della vita”, della giovane albanese Elsa Lila, trasferitasi in Italia nel 1997 per scampare alla guerra civile e “La vita subito” interpretata da Jasmine e firmata, tra gli altri, da Renato Zero, che canta «dare al futuro un nome noi per questo siamo qua». Che il futuro della canzone italiana sia nato a questo Sanremo?

sabato, gennaio 27, 2007

Tv e media: volgarità al bando

Il messaggio di Benedetto XVI per la Giornata delle comunicazioni sociali ripropone un tema su cui si aspettano ancora iniziative convincenti.
Bandire le volgarità programmate e gli spettacoli della sofferenza offerti al pubblico per fare audience o cassetta dovrebbe essere regola primaria di ogni buono e serio comunicatore, a prescindere dalla sua fede e dalla sua matrice culturale. Le esortazioni di Papa Benedetto XVI, nel messaggio per la 41ª Giornata delle comunicazioni sociali contengono un’alta riflessione capace di ispirare tutti gli operatori di buona volontà del settore: programmisti, conduttori, responsabili di palinsesti, titolari di aziende di comunicazione, giornalisti. Nello stesso tempo chiamano alla responsabilità profonda la scuola e la famiglia.
Coerente con il suo richiamo costante alla cooperazione e alla corresponsabilità, Papa Benedetto XVI ripropone una questione troppo sottovalutata da tutte le agenzie e istituzioni culturali: la media education, ossia la formazione ad un uso responsabile e critico dei media, perché si possa farne un uso corretto ai fini della promozione della dignità di ciascuna persona umana. L’appello alla protezione dei minori è condiviso da tempo dai giornalisti, che l’hanno fatto proprio nella Carta deontologica, recentemente aggiornata, e inclusa tra i codici di tutela della persona, all’attenzione non solo dell’Ordine professionale ma anche del Garante della Privacy.
Certamente, c’è una responsabilità forte che viene proposta verso quei settori dove la ricerca del clamore, dello scoop, del business a costo di qualsiasi valore va causando grandi sofferenze. È arrivato il tempo di una patente etica anche, per esempio, per i responsabili di rete e dei palinsesti televisivi, dove pure si registrano già atti importanti, come la qualità della carta della Rai e iniziative specifiche della Tv privata. C’è bisogno di qualcosa di più, sul piano culturale, che incoraggi tutti gli operatori a percorrere la strada della correttezza, del buonsenso umano, della lealtà, bandendo le volgarità.
L’industria dei media, anche quella dei giornali, deve fare di più. I giornalisti hanno dato più volte prova di voler fare la loro parte. Non vanno lasciati soli. Le parole del Papa vanno lette da tutti come stimolo a far di più e meglio il proprio lavoro, ricordando che le notizie hanno il loro primato ma anche, allo stesso tempo, che la responsabilità di porgerle al pubblico con correttezza e rispetto verso la persona, e in primo luogo verso i soggetti deboli, è un esercizio etico di alta qualificazione professionale, oltreché morale. (Franco Siddi)