giovedì, febbraio 12, 2009

Parla il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli: «Il Meridione va inteso come risorsa, ma la politica deve avere un sussulto di moralità».

LA NUOVA ROTTA PER IL SUD

«Il Paese non crescerà se non insieme». Questa fu la forte provocazione lanciata nel 1989 dalla Chiesa italiana in un documento sul Mezzogiorno. «La "questione meridionale" non è più quella di una volta, cambiano i tempi e anche le terminologie», spiega il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, «ma le problematiche restano, pesando come macigni sulle nostre vite. È per questo che abbiamo voluto promuovere un convegno, in occasione del ventennale di quel testo, per fare il punto sulla situazione e proporre nuove sollecitazioni».

Eppure le spinte di un federalismo mal interpretato sembrano andare in una direzione opposta...
«Il federalismo è un’occasione se è veramente solidale, poiché la crescita armonica del nostro Paese può avvenire soltanto a condizione che non entrino in gioco meccanismi che accentuino il divario fra aree diverse. Ciò che serve è un federalismo che riconosca le specificità, ma non esalti gli egoismi e gli antagonismi, che difenda le identità ma non enfatizzi le superiorità, che non smembri le parti del corpo ma le unisca nel richiamo delle comuni origini».
Lei non ha, però, l’impressione che il Meridione venga oggi visto come un peso e non come una risorsa?
«Effettivamente, in molti, il Mezzogiorno evoca l’idea del fallimento, della delusione, dell’impresa impossibile, non appassiona più le coscienze e le intelligenze. Tuttavia, le comunità del Sud, in ragione del Vangelo che professano e che grida la giustizia, non possono rassegnarsi. Anzi, è ancora più urgente che noi ci riappropriamo delle nostre radici per far crescere i rami più robusti. Il Sud ha risorse tali da poter essere orgoglioso di sé stesso».
Qual è il primo passo da compiere in tale direzione?
«Il Mezzogiorno ha certamente bisogno di aiuto per superare i propri travagli, ma innanzitutto deve chiedere a sé stesso di farsi protagonista del riscatto. La Chiesa del Sud si fa voce di questo futuro possibile e intende impegnarsi ancor di più per formare la coscienza religiosa, in modo da tradurla in coscienza civile, in un progetto di cambiamento personale e sociale. Per noi, vescovi meridionali, è anche un invito a lavorare maggiormente in comunione, evitando una certa frantumazione che in passato ci ha impedito di raggiungere molti obiettivi che ci eravamo prefissati».
Ritiene che l’intera Chiesa italiana si senta interpellata da questa sfida? Se sì, come?
«L’appello all’unità, invocata vent’anni fa come unica strada possibile per garantire uno sviluppo integrale della nazione intera, esprime il medesimo desiderio di comunione che la Chiesa, oggi, continua a far riecheggiare in un tempo di disfattismi. Tutti i vescovi italiani ne sono convinti. La nostra voce non può, però, restare una voce nel deserto. Occorre rilanciare una speranza che non sia semplice illusione, bensì la consapevolezza che siamo in grado di superare le enormi difficoltà che abbiamo dinanzi e che ben conosciamo. Io sono fiducioso che prima o poi ne scaturiranno frutti di bene».
Da qualche tempo Napoli è anche divenuta un crocevia dei rapporti con le altre religioni e un luogo di dialogo con gli immigrati di altre fedi. Quale sviluppo intende dare a questo slancio interreligioso e interculturale?
«Dando seguito agli auspici che Benedetto XVI ha formulato durante la sua visita in diocesi, ci siamo impegnati a continuare la nostra esperienza di confronto, facendo di Napoli un ponte con l’area del Mediterraneo, ma anche oltre. Perciò abbiamo creato un Centro di dialogo, programmando per i prossimi cinque anni un percorso che partirà in ottobre con un convegno sulla Cina cui seguirà una nostra visita in quel Paese. Non dimentichiamo che il partenopeo padre Matteo Ripa portò a Napoli la prima comunità cinese fuori dalla Cina, da cui ebbe origine l’Università Orientale. Negli anni successivi approfondiremo il dialogo con le altre Chiese cristiane, con l’islam, con l’ebraismo e con le grandi religioni d’Oriente».
Le cronache dimostrano come la politica stia vivendo a Napoli e nel Sud un tempo di estrema difficoltà...
«La Chiesa non intende sostituirsi a chi ha incarichi di governo o di partito, ma vuole sollecitare la responsabilità personale in chi si è assunto il compito di guidare le comunità. Indubbiamente, però, per rifare il tessuto sociale è necessario che la politica abbia un sussulto di moralità. Bisogna recuperare un più stretto rapporto con la gente che, lungi dal confondersi con il clientelismo, è capacità di interpretazione vera delle attese e delle potenzialità del popolo. Da parte nostra c’è l’impegno a offrire tutta la collaborazione che ci compete. Nel contempo stiamo progettando, insieme con la Facoltà teologica dei Gesuiti, un luogo per la formazione socio-politica dei laici impegnati».
State immaginando anche voi qualche iniziativa per rispondere alla crisi economica in atto?
«La crisi da noi è sempre attuale e il nostro impegno non si è mai attenuato. Siamo costantemente interpellati per dare risposte a sfide urgenti e drammatiche, mediante la solidarietà del "farsi prossimo" che vede attivamente coinvolti tutti i fedeli. Le nostre Caritas quotidianamente sostengono molte persone in difficoltà e non sono mai venute meno al loro compito. A Napoli stiamo ora avviando la "Casa di Tonia", per rispondere all’emergenza sociale di ragazze madri o donne incinte abbandonate, come in precedenza ci siamo occupati dei bambini leucemici. È il nostro modo di incarnare il messaggio evangelico, ascoltando il grido di chi attraversa un momento di grande difficoltà».
Saverio Gaeta (Famiglia Cristiana)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good