giovedì, febbraio 12, 2009

chiese e sud. Parla il Cardinale Sepe.



CONVEGNO CHIESA NEL SUD, CHIESE DEL SUD
Nel futuro da credenti responsabili
Napoli 12-13 febbraio 2009


Cari Confratelli nell’Episcopato
Cari Sacerdoti, religiosi e religiose
Illustri Autorità civili, politiche e militari
Fratelli e sorelle
Napoli accoglie oggi tutti voi, che formate questa straordinaria assemblea d’amore e di speranza per rilanciare una parola carica di significato.
Noi Vescovi del Sud siamo qui per riorganizzare la speranza evangelica come presupposto, come struttura, come fondamento del rispetto e dei diritti della gente del Meridione. A vent’anni dallo storico incontro, che produsse il Documento dei Vescovi italiani: «Chiesa Italiana e Mezzogiorno», vogliamo ribadire il nostro impegno e la nostra volontà di dare ragione, nel tempo che ci è concesso e tra quanti saremo chiamati a operare, della gioia nostra e della speranza che è in noi: incarnare la Parola di Dio, mettendoci all’ascolto della nostra gente, al servizio del bene comune.
Viviamo in un tempo di estrema difficoltà, un tempo di incertezza e di sofferenza che vede ancora di più nel bisogno e nella precarietà le famiglie, i giovani, coloro che ogni giorno lottano per portare a casa il pane quotidiano, con onestà e con fatica, preoccupati di mantenere integra la propria dignità.
Sappiamo che non è possibile parlare, oggi, del Mezzogiorno, senza aver presenti le difficoltà che l’intero Paese si trova a vivere nel suo insieme. Siamo anche ben consapevoli delle inusitate dimensioni e del livello internazionale della crisi economica e finanziaria, che già viene pagata con la perdita di migliaia e migliaia di posti di lavoro. Ma se è diventato ancora più vasto il panorama delle difficoltà, bisogna tener conto che, nel frattempo, le nostre terre hanno continuato a scontrarsi con problemi di lunga data, che oggi portano alle soglie del dramma sociale.
Né può consolare il fatto che la crisi del Mezzogiorno italiano – come affermano molti analisti – deriva proprio dal . Sarebbe questa, in sostanza, la causa di una presunta inattualità di una politica espressamente indirizzata al Mezzogiorno. Di fronte alle dinamiche del mondo globalizzato, non ci sarebbe spazio – così si afferma – per localismi fuori dal tempo e, forse, dalla storia. Sempre più si sta dimostrando, tuttavia, che la globalizzazione non può essere un totem e che il valore delle identità, oltre che essere importante in sé, può mettere al riparo dagli squilibri che, spesso, la globalizzazione porta con sé.
E’ particolarmente di fronte alla dimensione della globalità che il Mezzogiorno evoca, per molti, l’idea del fallimento.
Tuttavia, le Chiese del Sud non possono e non vogliono rassegnarsi, in nome del Vangelo che grida giustizia, pace e verità. Noi, insieme alla nostra gente, vogliamo essere protagonisti dello sviluppo del territorio in cui viviamo e in cui hanno vissuto i nostri padri. Senza vergogna, senza nasconderci le difficoltà. Apparteniamo all’Italia, apparteniamo all’unica Chiesa italiana, ma siamo Chiesa nel Sud, siamo popolo della Campania, della Sicilia, della Puglia, della Calabria e della Basilicata che vuole far sentire la propria presenza, vuole alleviare i dolori di una popolazione mortificata dai pregiudizi esterni e avvelenata dalle violenze interne.
Noi non abbiamo paura di accettare le sfide e le provocazioni che ci vengono dalla società globalizzata, né pensiamo di rinchiuderci nei confini gretti e mortificanti del disimpegno, né possiamo accettare devastanti catastrofismi che sono la matrice di fuga dalla realtà e, quindi, dalla speranza.
Siamo stati chiamati a diffondere la Parola che Gesù Cristo ci ha insegnato, ad annunciare il Vangelo della speranza nella terra nella quale vivono e soffrono i nostri figli. La Parola di Cristo, sempre attuale e penetrante, ci provoca, ci scuote, ci sveglia dai torpori, ci libera dalla sfiducia per aiutarci ad affrontare le sfide del tempo in cui viviamo e ad attuare una autentica conversione.
Le ansie e le speranze degli uomini sono pane quotidiano che condividiamo. Il cristianesimo è religione dell’incarnazione, è vita incarnata. Da ciò ne consegue che le scelte religiose devono fare i conti con i contesti, con la storia concreta. La Chiesa si preoccupa dell’uomo, di tutto l’uomo, di tutti gli uomini e quando l’uomo soffre, lo ama ancora di più. Il Documento del 1989 indicava le linee dell’impegno della Chiesa e dei cristiani per il Mezzogiorno: solidarietà reciproca, capacità di testimonianza profetica, libertà da ogni influsso del potere, nuova evangelizzazione, formazione all’impegno politico, ministerialità di servizio e di liberazione. A distanza di vent’anni le cose non vanno molto meglio, anzi oggi è problematico perfino pensare di argomentare sulla questione meridionale.
Qualcuno, anzi, si chiede se in presenza di tanti Mezzogiorni abbia ancora senso parlare di un solo Meridione. Sembra che la debolezza della riflessione sul Mezzogiorno nasca dalla distanza tra una proposta necessariamente globale, che riguardi la concreta, fragile storia di frammentazione del Sud d’Italia, e il destino e le speranze dell’intera nazione. In realtà, cambiano i termini ma la realtà resta. Coniugare la ricchezza della propria singola storia con il resto dell’Italia è la sfida che riguarda la nostra società e la nostra Chiesa. Bisogna praticare quella solidarietà che si esprime nel dare e nell’avere, nello scambio dei doni di cui ognuno è portatore.
Come discepoli di Cristo, noi abbiamo la responsabilità di dare voce a coloro che non hanno voce o ne hanno poca. Come Chiese del Sud, sentiamo il bisogno di essere dalla parte di chi soffre, di chi è ammutolito e non ha la forza di gridare il proprio riscatto.
Non posso fare a meno, a questo punto, di rivolgere un pensiero particolare ai giovani. Abbiamo tutti noi bisogno del loro coraggio, della loro freschezza, del loro entusiasmo. Al Mezzogiorno essi hanno dato sempre molto e, spesso, sono stati essi per primi a pagare i prezzi che la mancanza di lavoro, la sopraffazione della violenza organizzata, la rete di clientele, che li ha esclusi da ogni processo produttivo, ha imposto in modo sistematico e talvolta crudele.
Proprio al Sud è capitato spesso di dover scoprire il valore dei nostri giovani nel momento in ci si sono fieramente opposti all’insorgere della malavita e non hanno esitato a scendere in piazza per far sentire la loro voce. Abbiano ammirato il loro coraggio, e vorremmo che non andasse disperso, ma che si trasformasse in una risorsa permanente di fiducia e di coraggio da mettere al servizio di una nuova stagione di riscatto. I giovani devono ritornare a essere il volto e l’anima di un meridione che non può fare a meno né della loro intelligenza, né delle loro braccia. E, soprattutto, non può fare a meno della loro speranza. I giovani sono chiamati a essere le vere della rinascita del Mezzogiorno.
Vent’anni fa, l’assise dei Vescovi si chiuse con la consapevolezza che non ci saremmo salvati se non insieme, che non ci saremmo rialzati se non avessimo fatto uno sforzo comune. “Il Paese, dissero i Vescovi, non crescerà se non insieme”.
Quel grido oggi è ancora più attuale di allora. Allora la Chiesa italiana si faceva carico delle attese del Sud, senza dimenticare le responsabilità che la nostra gente avrebbe dovuto assumersi per il proprio riscatto. Oggi siamo chiamati ad uno sforzo maggiore, ad un’assunzione più netta e decisa di responsabilità. Se le Chiese nel Sud, la gente del Meridione devono riappropriarsi del proprio destino e del proprio futuro, allora bisogna correggere lo strabismo che ci ha portato a guardare altrove, sperando e credendo che l’unica possibilità di salvezza potesse arrivare solo dai ricchi nord del mondo; ritenendo che quei modelli fossero i soli da inseguire; dimenticando che bisogna guardare nella direzione più congeniale alla identità e alla specificità dei nostri popoli.
Partire dal Sud per riscattare il Sud.
Bisogna riscoprire la parola Sud, liberandola dalle negatività che le sono state gettate addosso. Sud, certo, ma non Sud semplicemente come metafora di abbandono e di declassamento; Sud anche come bellezza, come calore, come spontaneità, come generosità, come capacità di affetti; Sud come patrimonio umano, culturale e religioso, come intelligenza e vivacità, come terra di integrazione e di accoglienza; Sud come parola nuova, significativa per dare speranza ed esemplarità a una terra dove il nostro vissuto può diventare patrimonio e risorsa per il Paese e per il mondo intero. Ed è per questo che, guardando a Sud, noi dobbiamo recuperare le vie che ci sono proprie: la via della bellezza per raccontare, con nuovi linguaggi, all’uomo, sperduto nel deserto di proposte vuote e insignificanti, il Vangelo della speranza; dare concretezza all’ annuncio perché diventi strumento efficace di volontà decisa e di ottimismo per un futuro concreto, fondato sulla realizzazione di progetti sostenibili. Per questo, con maggior forza, spianeremo la via della solidarietà, dell’accoglienza, la via della partecipazione e, soprattutto, la via della vicinanza, privilegiando gli oppressi e gli ultimi che noi non lasceremo mai soli, che non abbandoneremo mai.
Cari amici,
siamo tutti consapevoli - chierici, consacrati, laici - che il compito della Chiesa non è quello di individuare soluzioni tecniche, politiche o economiche, che consentono alla comunità tutta di affrontare i nodi di una questione così rilevante, ma riteniamo che spetta ai credenti sentirsi tutti responsabili della propria storia, cogliendo i problemi nel loro aspetto reale, mettendo a disposizione competenze, capacità, condivisione delle condizioni di indigenza, sensibilità affinata dalla ricerca di conformarsi all’insegnamento di Gesù Cristo e alla particolare tenerezza verso i bisogni essenziali degli uomini.
In questa prospettiva vogliamo rilanciare la fiducia nelle capacità dei meridionali troppo spesso vanificate dalla indifferenza, dalle omissioni, dalla mancanza di impegno e dalla rassegnata indulgenza di molti. Vogliamo riorganizzare la speranza nel futuro, al quale i credenti intendono responsabilmente e senza illusioni guardare.
Ogni forma di scoraggiamento è sfida alla speranza, che è invece la scommessa più grande per il nostro Mezzogiorno.
Contro i condizionamenti perversi della criminalità organizzata, contro la diffusione di comportamenti asociali, di fronte alla nuova e aggravata incidenza delle “illegalità” diffuse, contro l’impoverimento del capitale umano, costretto a emigrare e a rivolgere altrove le proprie attese e le proprie capacità, il nostro grido si fa ancora più forte, oggi, in questa circostanza: Non rubate la speranza!
Dio ce l’ha data; Dio l’ha posta nei nostri cuori: guai a chi pensa di togliercela!
Napoli oggi accoglie questo avvenimento e, con tutte le Chiese sorelle del Meridione, vuole gridare la gioia dell’appartenenza al Vangelo di Cristo, Parola indissolubile da cui deve derivare ogni possibile impegno per la trasformazione del nostro territorio nella certezza che, uniti nella nostra differenza, vivremo il Sud come ricchezza e non come povertà.
Il Signore ha posto nelle nostre mani il futuro della nostra gente, dei nostri giovani, di tutti i figli di questa nostra terra. Noi abbiamo il dovere e la responsabilità di guardare con coraggio a un futuro rassicurante e luminoso, senza cadere nella trappola del disfattismo!
Questa è la nostra missione, che non è supplenza, ma è esercizio di carità che ci spinge a incarnare il Vangelo di Cristo nell’oggi della Chiesa che ci ha affidato le sorti, le gioie e i dolori di tutti gli uomini e le donne delle nostre comunità.
Genti del Sud, alziamoci e incamminiamoci sui sentieri della speranza, sospinti dall’amore di Cristo!

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