Le ragioni della speranza e della fede nell'energica omelia del Cardinale
Criminalità, povertà, coscienza civile: nella sua omelia il cardinale Crescenzio Sepe affronta ancora una volta le emergenze della città: cominciando dall'allarme camorra. La città si è da poco svegliata con le notizie della strage criminale di immigrati a Castelvolturno. La camorra ha alzato ancora il tiro, mettendo il suo marchio su un fenomeno, quello dell'immigrazione, che nelle campagne a nord di Napoli ha assunto dimensioni preoccupanti. Un problema che la camorra cerca di risolvere a modo suo, dando vita, giovedì 18, a un massacro di immigrati (in questo caso africani) senza precedenti. E sul quale il Cardinale lancia il suo anatema. "Deponete le armi: ciò con cui oggi uccidete, domani ucciderà anche voi e le vostre famiglie". L'arcivescovo di Napoli si rivolge ai sicari della camorra - da lui paragonati a serpenti velenosi - dopo i due agguati nel Casertano: "Finché questi portatori di morte - dice - non saranno sconfitti avremo sempre un cimitero riempito dall'odio e dalla violenza". "Disperati che provocano la morte in nome del dio denaro, della droga. Diffondono una morte che costa tante vite, non solo dei giovani, ma spesso anche tra loro''. Pubblichiamo ampi stralci dell'omelia.
di Crescenzio Sepe
(...) A nulla servirebbe il prodigio del santo Patrono se noi non sapessimo rispondere con fede e con carica cristiana tanti bisogni spirituali e umani della nostra gente. Penso, in particolare, alle sofferenze delle famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese; alla solitudine degli anziani o all'abbandono dei malati; al grave disagio dei giovani che cercano con tutte le forze un lavoro e non lo trovano; ai tanti precari o sotto-occupati che vedono svanire le loro speranze; penso allo stuolo di ragazzi della strada, vittime della camorra o della delinquenza organizzata. Chi, poi, non prova sofferenza nel leggere gli impietosi dati statistici sull'evasione scolastica?
Sono sotto i nostri occhi le tante aree depresse dove i più deboli sono abbandonati ad un destino ingrato e dove il malaffare e le organizzazioni camorristiche trovano terreno fertile per impiantare e coltivare illegalità, soprusi, violenze e morte. Sono problemi terribili che riguardano tanti, troppi nostri fratelli e sorelle. (...)
Cosa dire a questa nostra bella e tormentata Città? Rispondiamo con il coraggio della nostra fede, come ci ha assicurato Cristo e come S. Gennaro ci ha testimoniato: Napoli non perdere la tua fede; non farti rubare la speranza; rialzati; rivestiti di luce; non puoi continuare a restare nascosta, ma fa che la tua bellezza risplenda davanti al mondo intero.
(...) E', invece, nostro dovere combattere uniti, con le armi della solidarietà e della comunione fraterna. E', certamente, un compito difficile ma, nello stesso tempo, grandioso quello che grava sulle spalle di ogni cristiano, di ogni uomo di buona volontà. Ma possiamo farcela! Questa terra non morirà! L'ho detto e lo ripeto con forza e convinzione perché il popolo napoletano ha in sé il coraggio delle sue radici e della sua identità; ha quella vivacità di fede e di pensiero, quell'inventiva che ha reso e rende grande la nostra storia religiosa, artistica e culturale; la capacità di adattarsi a qualsiasi fatica, di sorridere e di sentirsi famiglia sotto lo stesso cielo. La sensazione di trovarsi di fronte a un momento di svolta si avverte attraverso molti segni, forse non tutti chiaramente percepibili, ma non per questo meno reali. Ma per una soluzione definitiva e strutturale, bisogna che ognuno, nel proprio specifico campo di responsabilità e competenza, sia disposto a suonare il tasto dell'impegno personale e individuale. In altre parole, per brillare davanti agli uomini, questa nostra città deve diventare la casa comune dove ognuno, quasi fosse estensione del tetto domestico, svolge la sua propria esistenza, sentendola e vivendola come casa propria. Per raggiungere questo traguardo, bisogna che la città, splendida porzione di terra benedetta da Dio, sia costituita a misura d'uomo, costruita, cioè, sulla base delle esigenze che la dignità di ogni persona reclama: il lavoro, i servizi, la tutela della salute, la crescita culturale e civile. Una città, quindi, parametrata sulla base di una giustizia sociale che bandisce ogni privilegio, con unica eccezione: quella di mettere i poveri al primo posto e di declinare a loro favore tutti i verbi che nel vocabolario della solidarietà cristiana sono scritti in caratteri indelebili: accogliere, assistere, confortare, promuovere. In una parola amare, che è il dato costitutivo di riconoscersi seguaci di Cristo.
L'unico vero "alibi" che Napoli può e deve invocare è rappresentato proprio da chi è privo di mezzi e continua a restare ai margini: poveri di ogni genere e, accanto ad essi, i giovani in cerca di lavoro che hanno diritto a una difesa non "d'ufficio", ma reale e appassionata, dal momento che senza il loro apporto, sarà difficile parlare di città futura.
Schierarsi a fianco di chi si trova in difficoltà non fa parte, per la Chiesa, come ci ripete il Papa, di una strategia di impegno sociale o politico, ma è risposta al comandamento di amore per il prossimo. (...)
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