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martedì, gennaio 30, 2007

Dopo il porcellum: Riforma elettorale e amministrative di primavera.

La storia ci dice che il Parlamento non è stato mai in grado di varare da solo una legge elettorale se si eccettua la scorsa legislatura quando, in modo unilaterale, il centrodestra ha approvato il cosiddetto “porcellum”, come l’ha definita, ma non in latino, il suo stesso artefice, l’allora ministro Calderoli. La legge elettorale oggi in vigore infatti è nata essenzialmente per impedire o ridurre al minimo la vittoria del centro-sinistra e di fatto ha reso instabile la maggioranza e ingovernabile il Paese. L’ipotesi referendaria sembra rappresentare una spinta, uno stimolo per cambiare le regole e per aprire processi di riaggregazione politica sia a destra che a sinistra. Prova ne è il fatto che il referendum è un approdo che grandi e piccole forze vogliono evitare. Ma i tempi sono molto stretti. A breve il comitato promotore dei referendum per cambiare la legge Calderoli avvierà la raccolta delle firme.
Ma il referendum non è sicuramente la soluzione ottimale. Il primo quesito così come è congegnato tende ad eliminare il premio di maggioranza alla coalizione per sostituirlo con quello di lista mantenendo lo sbarramento del 4% alla Camera e dell’8% al Senato. Si tratterebbe di un rimedio transitorio, di un palliativo. Il secondo quesito invece punta ad abrogare la norma sulle candidature plurime.
Come si vede i quesiti referendari non modificherebbero i difetti più gravi della legge Calderoli, ossia la scelta dei candidati realizzata solo dai partiti e la mancanza di un rapporto tra eletti e territorio. Nonostante questi limiti, qualora il governo non riuscisse nel tentativo di presentare in Parlamento una nuova legge elettorale, cui sta lavorando il ministro Chiti, le Acli - ha dichiarato il loro presidente nazionale Andrea Olivero- entrerebbero nel comitato referendario, ma solo ad alcune condizioni.
Anzitutto, bisognerebbe riprendere il nucleo essenziale della proposta Amato, l’idea di una “convenzione” largamente rappresentativa delle istanze presenti nella società, che una rappresentanza solamente partitica non può più intercettare od esprimere, come ha dimostrato la stessa bocciatura di questa proposta da parte dei partiti della maggioranza. Non siamo del resto entrati nel comitato elettorale proprio perché abbiamo visto il rischio reale che fosse “ostaggio” dei partiti, come puntualmente abbiamo verificato in queste settimane.
La disponibilità è subordinata dunque alla garanzia che il ruolo della società civile vada ben oltre la mobilitazione per la raccolta delle firme, ma si esplichi anche nel percorso verso una politica di ampio disegno riformatore. Insomma, il referendum non può essere la soluzione di tutti i problemi e l’approdo finale non può coincidere con un bipartitismo che sostituisca il bipolarismo.

Altro importante appuntamento politico è quello delle amministrative che si terranno nella prossima primavera. Si tratta di un banco di prova delicato per il governo che i sondaggi, di cui, in verità, più nessuno di noi ha fiducia, danno in continua perdita di consensi.
Saranno poco meno di 12 milioni, quasi un quarto dell'intero corpo elettorale, i cittadini chiamati alle urne. Alle provinciali voteranno oltre 3 milioni e mezzo di elettori (3.647.803 elettori) mentre alle comunali si recheranno alle urne più di 9 milioni di elettori (9.379.654 elettori).
Si vota in otto province (Vercelli, Como, Varese, Vicenza, Genova, La Spezia, Ancona, Ragusa) e in 934 comuni, 163 dei quali con popolazione superiore a 15 mila abitanti. Tra i 27 capoluoghi di provincia interessati alla consultazione ci sono città importanti del Sud (Reggio Calabria, Lecce, Taranto, Trapani, Agrigento, Oristano) del Nord (Verona, Asti, Cuneo, Alessandria, Parma, Gorizia) e del centro (L’Aquila, Latina, Lucca, Pistoia). Ma i luoghi dove è maggiormente concentrata l’attesa sono Genova al Nord e Palermo al Sud.
Per le prossime amministrative, l’Unione ha scelto la formula dell’“election day”, che si svolgerà domenica 4 febbraio, ossia di realizzare le Primarie di coalizione in quelle località dove si deve individuare il nuovo Sindaco o il nuovo Presidente della Provincia. E’ una strategia che condividiamo-dicono alle ACLI - perché è un metodo per la scelta delle candidature che punta a coinvolgere i cittadini, a renderli più partecipi della vita politica.

mercoledì, dicembre 27, 2006

Pensioni, bonus per chi resta

L'idea sarebbe di continuare a permettere di andare in pensione a 58 anni, ma con un trattamento un po' più basso, 3,5% in meno per ogni anno di anticipo rispetto ai 60. Sono queste le prime ipotesi dei tecnici del ministeri del Lavoro e dell'Economia; e qui si rischia, all'interno di una coalizione di governo nella quale l'ala sinistra non vuole i disincentivi. Più semplice la questione degli incentivi, l'altro caposaldo della riforma previdenziale che si sta cominciando a progettare: chi resterà al lavoro dopo i 60, avrebbe una pensione maggiorata di almeno l'1,5% ogni anno. Il risultato finale dovrà uscire da una trattativa con i sindacati, di cui non è ancora fissato l'inizio, ma che dovrebbe concludersi entro marzo. Le ipotesi di cui sopra, da indiscrezioni raccolte dall'Agi ieri, sono riferite ai lavori «non usuranti»; mentre soluzioni diverse si adotteranno per i lavori «usuranti» tra i quali è certo che saranno compresi gli operai delle linee di montaggio. Lo scopo sarebbe di aumentare l'età media effettiva di pensionamento grazie a scelte volontarie; mentre finora è stato sempre smentito un aumento obbligatorio dell'età pensionabile di legge per le donne.
E’ un doppio problema, quello che il governo Prodi 2 si trova di fronte. In prospettiva, occorre evitare - provvedendo per tempo - che dopo il 2015 un progressivo aumento della spesa previdenziale, culminante nel 2038, costringa i futuri governi a pesanti aumenti delle tasse. In un arco più breve, si intende sostituire la riforma Maroni del centrodestra, che dal 2008 impedirà a tutti di andare a riposo prima dei 60 anni (modifica dei criteri per le pensioni di anzianità).
Le critiche alla Maroni
La Maroni - criticata tecnicamente da molti economisti, ma comunque efficace - ridurrà la spesa di poco nel 2008, 320 milioni di euro, di somme crescenti negli anni successivi, 2,6 miliardi nel 2009, 4,7 miliardi nel 2010, 6,2 miliardi nel 2011, e stabili sui 7 miliardi negli anni ancora seguenti. Per disfarla, la posizione ufficiale del governo è che si dovranno trovare risparmi equivalenti. Ma l’ala sinistra della maggioranza non è d’accordo, perché, secondo i calcoli dell’Inps, per l’equivalenza non basterebbero nemmeno i disincentivi e occorrerebbe intervenire anche sulle regole obbligatorie (età per le donne).
«Basta parlare di innalzamento dell’età pensionabile e di riforma delle pensioni» ha infatti dichiarato ieri il capogruppo alla Camera del Pdci, Pino Sgobio, sostenendo che così «si tradirebbe il patto con gli elettori». E’ il Pdci il più duro; in parte disposta a discutere è Rifondazione comunista, il cui capogruppo al Senato Giovanni Russo Spena dice «sì agli incentivi volontari» e no ai disincentivi. Cosicché è proprio Roberto Maroni, della Lega, a notare che l’Unione «è divisa su tutto».
I lavori usuranti
Il programma elettorale dell’Unione, in realtà, prospetta «l’allungamento graduale della carriera lavorativa, tenendo conto del diverso grado di usura provocato dal lavoro».
Il memorandum di intesa tra governo e Cgil-Cisl-Uil, firmato il 26 settembre, prevede «flessibilità dell’età di pensionamento» attraverso «misure che favoriscano l’allungamento della permanenza nel mercato del lavoro»; non esclude dunque i disincentivi. Ma le confederazioni sindacali, la Cgil in particolare, temono di essere scavalcate a sinistra dai partiti e insistono che il governo deve «formulare una proposta unitaria».
L’ala riformista della maggioranza, come hanno ripetuto il segretario dei Ds, Piero Fassino, e il vicepremier Francesco Rutelli, invece intende andare avanti. Il radicale Daniele Capezzone invita il governo a «non accettare il veto del Pdci». Per accettare misure impopolari molto conterà il «do ut des»: nel memorandum governo-sindacati si prevede anche di migliorare le pensioni minime e di «superare» il divieto di cumulo pensione-lavoro.
da: "La Stampa. STEFANO LEPRI"