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venerdì, gennaio 08, 2010

L’economia del 2009: i due fatti principali. di Leonardo Becchetti

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Leonardo Becchetti - da Benecomune.net

Due sono le fotografie essenziali dell’economia italiana che ci portiamo dietro dall’ultimo degli anni zero (il 2009). Quella positiva ci dice che da fanalino di coda del debito pubblico e del mondo bancario siamo stati, e di gran lunga, superati in peggio dai campioni anglosassoni e oggi possiamo vantare uno dei sistemi migliori in virtù della nostra prudenza e capacità di risparmio. Quella negativa ci ricorda che l’impatto della crisi sull’economia reale ha esasperato i limiti tradizionali del nostro mercato del lavoro e della distribuzione del reddito tra nuove e vecchie generazioni creando una fascia di precariato e di marginalità nei trentenni che non ha eguali in Europa.

Entrambe queste novità dipendono dalla gravissima crisi finanziaria mondiale che abbiamo affrontato. Per capire, relativamente al primo punto, come essa abbia trasformato il panorama bancario e finanziario basti ricordare che prima del cataclisma tutto veniva visto attraverso la lente del debito pubblico (trascurando il problema dei debiti delle famiglie e delle imprese) e della capacità del sistema bancario di creare valore per gli azionisti. Sulla base di questi criteri di giudizio eravamo gli ultimi della classe con un debito oltre il 100 percento del PIL (solo Grecia e Giappone peggio di noi) e con l’anomalia della presenza rilevante delle banche popolari, cooperative ed etiche che con la regola “una persona un voto” violavano il dogma capitalista che le persone contano in proporzione ai soldi che hanno e non per se stesse. Se prima della crisi la principale preoccupazione a livello europeo sembrava quella di sanare quest’anomalia, la crisi ha messo a nudo gli elementi perversi e ben più pericolosi del cortocircuito di avidità del modello anglosassone capovolgendo classifiche e giudizi di valore. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti la cattura dei regolatori, gli incentivi mal costruiti, l’eccesso di prestiti senza attenzione alle capacità di restituzione dei clienti e l’allontanamento del prestatario dal rischio di fallimento del debitore hanno portato al tracollo centinaia di banche e fatto schizzare i debiti pubblici (gonfiati dagli interventi di salvataggio dei governi) ben oltre il livello italiano, con tendenza ad ulteriore peggioramento per via di deficit molto superiori ai nostri (come avevamo già previsto in un articolo di quasi un anno fa su Bene Comune). Al contrario il nostro sistema ha retto, nessuna banca è fallita grazie alla qualità dei regolatori, agli anticorpi solidali e all’approccio non unicamente orientato alla creazione di valore per gli azionisti delle banche.

Se questa è la buona notizia dobbiamo purtroppo constatare che la crisi, con le sue conseguenze reali sull’export , sul sistema delle piccole e medie imprese e sul mercato del lavoro, ha acuito alcuni difetti tipici della nostra economia. Da sempre il nostro sistema ha premiato gli insiders (chi già lavora) rispetto agli outsider (chi è disoccupato o è un giovane in cerca di prima occupazione), ha fatto affidamento per quanto riguarda il welfare sui trasferimenti interni alla famiglia e ha spostato una quota eccessiva delle risorse disponibili sulle pensioni, aumentando il divario tra nuove e vecchie generazioni. Con la crisi finanziaria e le difficoltà dell’economia reale, le condizioni degli outsiders o dei quasi-outsiders (i lavoratori precari) si sono aggravate. Chi ha avuto la peggio sono coloro che, trovandosi in condizioni di difficoltà, non hanno potuto godere né degli ammortizzatori tipici delle grandi imprese, né della solidarietà interna alla famiglia con la sua capacità di assicurare i singoli membri dagli shock subiti. Non è un caso che una quota elevata di nuovi poveri è rappresentata da coniugi separati che hanno perso il lavoro o hanno un’occupazione temporanea o precaria che non consente di far fronte a tutte le necessità economiche per una vita dignitosa.

Quali sono le vie d’uscita e come utilizzare i nostri punti di forza per combattere le debolezze? La prima ricetta è quella di incentivare e promuovere la capacità delle banche di erogare credito alle piccole e medie imprese e la costruzione di regole discriminanti che favoriscano la creazione di una serie di istituzioni finanziarie solidali (la cui offerta potenziale è già presente ed articolata sul territorio) in grado di soddisfare le esigenze di chi è a rischio povertà evitando la caduta nei circuiti dell’usura o delle “finanziarie facili”. Nel campo del lavoro è necessario creare un sistema di ammortizzatori equo che non privilegi soltanto chi perde il lavoro nelle grandi imprese. Ci vogliono poi misure in grado di correggere lo squilibrio tra nuove e vecchie generazioni creando opportunità affinché i giovani possano costruire gradualmente percorsi di stabilità professionale fondamentali anche per le scelte di vita affettive.

Il discorso complessivo sul welfare e sul rapporto con la famiglia e la società civile è più complesso. La riflessione più recente dimostra che il modo migliore di utilizzare risorse finanziarie è quello di favorire la costruzione di relazioni e di reti di solidarietà all’interno delle quali circolino doni, gratuità, fiducia e responsabilità. Usare risorse senza tener conto di questo, o addirittura peggiorando il quadro delle relazioni e reti di solidarietà, è sia inefficiente dal punto di vista economico che dannoso per la soddisfazione di vita personale e il bene comune. La famiglia, le comunità, la vitalità delle associazioni della società civile non sono ferri vecchi ma esattamente quello che ci vuole per rendere vivo il principio di sussidiarietà e costruire una società solidale nella quale la vivacità e la partecipazione di tutti riducono il fabbisogno di risorse monetarie pubbliche necessarie per erogare un certo servizio sociale.

E’ dall’approfondimento di questa intuizione fondamentale che dipenderà il successo nel perseguimento nel bene comune in società nelle quali le risorse pubbliche saranno sempre più scarse e preziose, perché necessariamente orientate a servire il debito e a curare gli errori finanziari del passato.


venerdì, novembre 27, 2009

“Senza agricoltura si muore”: oggi 500 agricoltori consegneranno le chiavi delle loro aziende agli onorevoli Russo e Andria


Oggi alle 16 all’Hotel Ramada di Napoli Confagricoltura Campania lancerà la mobilitazione generale del settore per chiedere l'intervento delle Istituzioni

Napoli, 27 novembre 2009 - “Senza agricoltura si muore”. Con questo slogan Confagricoltura Campania lancia la mobilitazione generale del settore per chiedere alle Istituzioni di fare di più in questo periodo di grave crisi. Oggi, venerdì 27 novembre alle ore 16, a Napoli, presso l’Hotel Ramada, in via Galileo Ferraris, circa 500 imprenditori agricoli provenienti da tutta la Campania consegneranno le chiavi delle loro aziende, ormai al collasso, al presidente della Commissione Agricoltura della Camera Paolo Russo ed al vicepresidente della Commissione al Senato, Alfonso Andria. Si tratterà di un gesto simbolico con cui gli agricoltori investiranno il Parlamento dei loro problemi e chiederanno agli onorevoli Russo ed Andria, nell’occasione rappresentanti di maggioranza ed opposizione, di farsene portavoce.

La consegna delle chiavi avrà luogo nel corso di una manifestazione regionale che inizierà alle 16.30, con l’introduzione del presidente di Confagricoltura Napoli Arturo Nucci e l’intervento del presidente di Confagricoltura Campania Michele Pannullo. Concluderà Giandomenico Consalvo, componente della giunta nazionale dell’organizzazione dei datori di lavoro agricoli.

“L’agricoltura campana è in ginocchio. – afferma Pannullo - Se non verranno varati seri provvedimenti e se continuerà a non esistere una politica economica per il settore, molte aziende rischieranno di chiudere, strette nella morsa di una crisi generalizzata che è partita da molto lontano.”

Pannullo snocciola, poi, alcuni dati: “Le imprese sono strette da un aumento dei costi e da un calo delle quotazioni all’origine che determinano una riduzione di redditività. I prezzi all’origine sono scesi in media del 13% circa rispetto al 2008. I costi sono lievemente diminuiti nel 2008 ma sono aumentati del 28% rispetto al 2000. Per alcune filiere la situazione delle quotazioni è anche peggiore. I prezzi all’origine negli ultimi mesi si sono ridotti del 26% per i cereali; del 22% per la frutta; di quasi il 20% per i vini e del 15% per i lattiero caseari. Anche le filiere della qualità certificata (Dop e Igp) mostrano segnali di cedimento sul fronte dei consumi interni e della domanda estera. Non stupisce che il reddito per addetto degli agricoltori italiani, dal 2000 ad oggi, sia sceso di quasi il 20%.”

“Chiediamo – prosegue Pannullo - urgenti provvedimenti di natura fiscale e previdenziale per garantire crescita ed occupazione nelle campagne. Tra le richieste avanzate da Confagricoltura a Governo e Parlamento vorrei sottolineare quella relativa alla conferma delle agevolazioni contributive per le zone svantaggiate e montane il cui mancato accoglimento potrebbe avere un impatto disastroso anche sulla agricoltura campana che occupa 35.000 dipendenti per un numero di giornate lavorate che superano i 9 milioni. Altrettanto importante è il rifinanziamento del Fondo di Solidarietà Nazionale,uno strumento per prevenire ed aiutare le imprese agricole in difficoltà economiche quando si verificano calamità naturali o avversità atmosferiche eccezionali, e la proroga delle agevolazioni per il gasolio agricolo, fondamentale per l’agricoltura campana che si distingue per produzioni intensive e sotto serra.. Accanto a questi interventi urgenti occorre intervenire sulla sburocratizzazione degli adempimenti e sulla razionalizzazione della spesa pubblica.”

giovedì, maggio 28, 2009

Ad Afragola si parla della crisi economica



VII CONFERENZA JPV

Ad Afragola si parla della crisi economica

Si è tenuta nei giorni scorsi nello splendido scenario chiostro della Basilica di S. Antonio di Afragola, l’annuale conferenza organizzata dalla Commissione Giustizia, Pace e Integrità del Creato (JPV) dell’Ordine Francescano Secolare e della Gioventù Francescana di Afragola. Il tema affrontato quest’anno è stato quello della crisi economica, dei suoi riflessi sulla vita delle famiglie e delle modalità per superarla con uno stile di vita più sobrio.

La manifestazione ha avuto inizio fin dal mattino con l’esposizione, sul sagrato della Basilica, dei fumetti realizzati dalle scuole e associazioni afragolesi. Alla conferenza era legato un concorso “Lauda Francescana”, che vedeva la partecipazione di scuole pubbliche, medie e medie superiori, ed associazioni del territorio, per la realizzazione di un fumetto sul tema della conferenza. La giornata ha riscosso un notevole successo di pubblico con l’attenta partecipazione di rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni e dei cittadini.

La conferenza serale ha visto l’intervento di autorevoli relatori che hanno stimolato la riflessione del pubblico presente. Ad aprire i lavori, i saluti del vice sindaco di Afragola, Antonio Pannone. Il rappresentante istituzionale ha incoraggiato le iniziative della Commissione JPV, che si è fatta promotrice in questi anni di diverse iniziative di sensibilizzazione per la città. Si è augurato una sempre più ampia collaborazione tra i soggetti che lavorano sul territorio e per il territorio, anche se con proprie peculiarità e vocazioni. Riprendendo, poi, il Magistero della Chiesa, ha invitato a ricercare uno stile di vita più sobrio. A rappresentare la diocesi di Napoli, Don Tonino Palmese, Direttore dell’Ufficio giustizia, pace ed integrità del Creato, che ha affermato che la crisi economica non può non essere collegata all’attuale crisi dei valori ed ha quindi esortato i cristiani a vivere costantemente gli uni per gli altri.

I lavori sono proseguiti con l’intervento di Franco Frazzarin. Sociologo e consigliere internazionale dell’Ordine Francescano Secolare, Frazzarin, ha fatto un’attenta analisi della situazione italiana e ha messo in evidenza come divario tra chi vive una situazione di assoluta povertà e chi detiene la ricchezza è sempre più ampio. Per diminuire tale divario e intervenire in favore delle fasce più deboli, occorre che siano messe in campo già dagli amministratori locali serie politiche di sviluppo, ma si devono anche sostenere iniziative sovranazionali che mirino al rilancio dell’economia. Da francescano secolare, Frazzarin suggerisce che la soluzione della crisi passa necessariamente per “processi di cambiamento connotati da lente metamorfosi” che portino tutti i grandi attori ad agire avendo come riferimento il bene comune e la costruzione di una società più giusta e fraterna.

A seguire ha preso la parola Pasquale Orlando, presidente delle ACLI di Napoli, il quale ha incentrato il proprio intervento sull’importanza delle scelte personali “perché sono esse a cambiare il mondo”. Oggi si sta constatando che quegli atteggiamenti che una volta venivano etichettati come moralistici, come ad esempio l’attenzione ad evitare gli sprechi, sono invece virtuosi. Bisogna passare infatti, secondo il Presidente ACLI, dalla cultura del cowboy, che va alla ricerca delle risorse illimitate, a quella dell’astronauta, che utilizza poche cose. Ridurre gli sprechi con un atteggiamento virtuoso, acquistare beni direttamente da chi li produce, incentivare all’utilizzo delle fonti rinnovabili di energia, scegliere un turismo responsabile rispettoso delle popolazioni, sono alcuni dei suggerimenti proposti che possiamo mettere in pratica per diminuire gli effetti della crisi.

Riccardo Milano, economista e responsabile delle relazioni culturali di Banca Popolare Etica, ha incentrato il proprio intervento sull’analisi economica della crisi.

La crisi che stiamo vivendo è caratterizzata dalla completa assenza di norme etiche che la disciplinino e dalla mancanza di “amministratori adeguati” e “capaci di fronteggiarla”.

Cosa bisogna fare, continua Milano, affinché perché questo periodo difficile possa divenire un’opportunità e quali attività bisogna intraprendere. Detto in altro modo, bisogna porsi nuovamente la domanda socratica:” Come bisogna vivere?”

La ricerca e la pratica di una nuova economia rispettosa della persona e dell'ambiente devono quindi essere, anche alla luce della crisi che stiamo vivendo, un must obbligato, così come la pratica della sobrietà e della ricerca di una felicità di vita collettiva e comune.

La riscoperta di una finanza etica, solidale, civile, sociale e il suo successo rendono possibili nuove vie economiche che puntano non solo alla riduzione della povertà e dell'ingiustizia sociale, ma appunto a creare armonia tra persona e persona, persona e stati/società, persona ed economia, persona ed ambiente. Il tutto anche con il ben-essere fisico ed economico e non solo di un vago benessere. Occorre, quindi - e come da più parti si richiama - più etica e più responsabilità sia personale che sociale.

A chiudere gli interventi, Padre Eduardo Parlato ofm, già parroco di Sant’Antonio e attualmente Direttore dell’Ufficio Beni Culturali della diocesi di Napoli, che con un intervento molto accorato e ricordando i suoi trascorsi afragolesi, ha confermato il pieno appoggio ad iniziative del genere che hanno l’obiettivo di coinvolgere le persone, incentivare il dialogo sui i temi portanti della società di oggi e promuovere una cultura francescana che faccia apparire “un arcobaleno tra le nuvole della tempesta” come preludio di giustizia, pace e fratellanza universale.

A concludere la giornata, la premiazione del concorso “Lauda Francescana” che ha visto la vittoria per la Giuria Popolare, della Scuola Media “Ciaramella”, dell’ITG “Dalla Chiesa” e, per le associazioni, della Pro-Loco.

La Pro Loco si è aggiudicata anche il Premio della Giuria di Qualità. Presieduta da Mario Punzo, direttore della scuola italiana di Comix, la giuria ha inteso premiare l’originalità e il tratto dell’opera. Il premio è un mese di stage gratuito presso la prestigiosa Scuola di fumetto.

Al termine della serata, Rita Lucido, a nome della Commissione JPV, ha ringraziato gli intervenuti, le scuole e le associazioni che hanno partecipato al concorso Lauda Francescana. Il risultato ottenuto conforta che la via intrapresa della collaborazione è giusta e da perseguire con costanza ed impegno da parte di tutti.

Un particolare ringraziamento è andato a chi ha contribuito alla riuscita della giornata, l’associazione onlus Gocce di Fraternità, l’associazione culturale L’artefatta, per il fondamentale contributo offerto, la Scuola Italiana di Comix, per la presenza alla manifestazione e il premio offerto. Infine, un ultimo ringraziamento all’Ordine dei Frati Minori di Napoli, che ha fortemente sostenuto l’iniziativa, e al Comune di Afragola che ha concesso il proprio patrocinio.

giovedì, marzo 12, 2009

L'economia in bianco e nero e quella "a colori"

Leonardo Becchetti - 09/03/2009
La crisi finanziaria globale potrebbe finalmente segnare il passaggio dall’economia in bianco e nero ad un’economia a colori. Da una visione profondamente dicotomica e insanabilmente dualista ad una integrata. Per intenderci meglio, in una certa cultura economica tutto ciò che si trova a metà tra la massimizzazione del profitto e la filantropia viene visto con sospetto, o come una sorta di sotterfugio che finisce per sprecare i soldi degli azionisti.
Esiste un’altra dicotomia dalla quale non sembra si riesca ad uscire nel dibattito sul modello di banca post-crisi che domina i giornali. Da una parte la banca privata che ha assunto come unico criterio la massimizzazione della ricchezza per gli azionisti, si è allontanata dalla tradizionale attività creditizia per cercare rendimenti superiori finendo per restare vittima della propria avidità e generando i problemi cui stiamo cercando di porre argine. Dall’altra la banca pubblica, una specie di porto delle nebbie nel quale le strategie si fanno meno trasparenti, il rischio di commistione tra interessi politici ed economici più forte e la mancanza di un vincolo di bilancio stringente rischia di creare a breve e medio termine perdite per i contribuenti.
Eppure esiste un terzo modello, al quale si ispira una parte significativa del sistema bancario, cui dovremmo pur attribuire il merito di non aver costretto sino ad oggi il nostro governo ad intervenire con onerosi interventi di salvataggio come avvenuto in altri paesi.
Si tratta della banca sociale soggetta alla disciplina di mercato (modello che quasi tutte le banche italiane di oggi hanno assunto alla loro nascita e che molte di esse continuano ad incarnare).
Ovvero di una banca che non assume come criterio unico e dominante quello della soddisfazione di una sola categoria di portatori d’interesse (gli azionisti) rischiando di divenire vittima di avidità, asimmetrie informative ed opportunismi interni che minano alle fondamenta la sopravvivenza della propria organizzazione. E allo stesso tempo non presenta i difetti della banca pubblica rimanendo pienamente soggetta alla disciplina di mercato. E’ il mondo delle banche etiche, delle istituzioni di microfinanza, delle banche popolari, dei crediti cooperativi in forte crescita a livello mondiale anche in quest’annus orribilis e capaci di intervenire finanziando piccole e medie imprese nel momento in cui le difficoltà a la paralisi delle grandi banche produce una crisi di liquidità nel sistema.
Ma torniamo per un attimo al primo tipo di dualismo (o la massimizzazione di profitto o la filantropia) e cerchiamo di spiegare perché non ha funzionato e non può funzionare. Il presupposto implicito per il suo successo è infatti l’efficienza della mano invisibile o del regolatore. La prima trasforma magicamente il desiderio di arricchimento personale in virtù pubblica, la seconda è in grado di costruire regole ottimali che evitano opportunismi, superano conflitti d’interesse impedendo agli interessi personali di poter arrecare danni alla collettività.
Questi due meccanismi hanno fallito e sono insanabilmente fallibili perché le eccezioni al funzionamento della mano invisibile sono così numerose da rappresentare in realtà la regola. Inoltre sappiamo benissimo che non esiste regola perfetta che ci esime dalle nostre responsabilità, il mercato delle agenzie di rating che dovrebbe dare le giuste informazioni ai risparmiatori è un monopolio con barriere all’entrata, dilaniato anch’esso da conflitti d’interesse, e il regolatore è catturato dagli interessi dei regolati.
In questa difficile situazione, in attesa di un miglioramento delle regole assolutamente necessario, è dunque il terzo modello di banca e di impresa a svolgere un ruolo fondamentale: quello di fare economia creando al contempo quei valori fondamentali (responsabilità e fiducia tra e negli attori del mercato) di cui il mercato ha maledettamente bisogno per poter funzionare.
Insomma, la “biodiversità” organizzativa, vista prima della crisi come una pericolosa minaccia all’uniformità dogmatica del modello di impresa (nei mesi precedenti la crisi sembrava che l’unico serio problema dei mercati finanziari fosse quello della non omologazione delle imprese sociali di mercato al modello dominante e la loro resistenza alla dittatura degli azionisti), è quella che ci salverà.
Le autorità politiche ed economiche in cerca di soluzioni farebbero bene a capire che lo sguardo benevolente può combattere gli effetti dello sguardo avvilente e l’economia della cura e della mano visibile può aiutare il mercato a crescere in dignità fornendo un supporto fondamentale all’azione oggi in crisi della mano invisibile.

giovedì, marzo 05, 2009

Decalogo per famiglie in tempo di crisi


Dopo il decreto anticrisi, dieci consigli “pratici” per resistere con creatività

(da Aesse 2 2009)

Non tutto il male vien sempre per nuocere e l’attuale fase di crisi è anche un’opportunità per modificare i nostri comportamenti e dedicare più attenzione all’economia familiare.
In primo luogo è fondamentale far tesoro di un detto giapponese che recita “caduto 7 volte, rialzato 8 volte”: cadere è spesso inevitabile, ed è tanto più spiacevole quando ciò non avviene per responsabilità propria. Ciò che è fondamentale, però, è trovare sempre la volontà di rialzarsi e guardare avanti e lontano. Qualche suggerimento di comportamento, per non essere usurati dalla crisi, può essere utile, come occasione per rafforzarsi e, perché no, provare a migliorare la qualità della vita.

1. Stare insieme: perché nelle fasi avverse i “gruppi”, siano esse famiglie allargate o gruppi di amici, assorbono meglio le conseguenze dell’incertezza e del rischio crescente, e la dilagante incertezza è il segno distintivo della crisi in corso. Creare gruppi di acquisto o ritrovare un gruppo di amici restituisce un po’ di certezze e permette qualche risparmio.
2. Migliorarsi sul piano professionale: non è mai troppo tardi per acquisire nuove conoscenze o rafforzare quelle esistenti e l’occasione di più tempo libero è un’opportunità per occasioni professionali future e in ogni caso uno spazio ignoto di soddisfazione e realizzazione.
3. Scoprire occasioni nuove di convenienza per la spesa quotidiana: accurate analisi condotte negli Stati Uniti dimostrano che il risparmio (almeno il 10%) dipende dal tempo dedicato alla ricerca dei prezzi più bassi, con acquisti più frequenti per sfruttare al meglio le promozioni.
4. Eliminare gli sprechi nei consumi quotidiani: da un’indagine in Gran Bretagna emerge che le famiglie inglesi sprecano circa un terzo di ciò che acquistano e circa un quinto di ciò sarebbe riutilizzabile. Patate, mele, pomodori, pane, uva, yogurt, cioccolato, sono esempi di alcuni beni che vengono spesso gettati via interi, ma ancora utilizzabili.
5. Vivere verde, nel senso di utilizzare al meglio le opportunità di energie alternativa, ridurre i consumi energetici, usare di più i mezzi pubblici e meno quelli privati, camminare, usare la bicicletta (e migliorare la salute). Berlino o Copenaghen sono città certamente più fredde di Milano, Roma o Napoli, ma piene di biciclette anziché di auto o motorini.
6. Controllare i costi come le fatture, le bollette, gli estratti conti delle banche. L’aumento si annida nei dettagli di piccole spese aggiuntive, spesso di difficile comprensione, negli addebiti automatici, che spesso arrivano a sommare centinaia di euro all’anno. Non esitare mai nel chiedere spiegazioni e non accontentarsi di spiegazioni spesso non convincenti.
7. Usare internet in modo sistematico: i costi di comunicazione telefonica possono essere ridimensionati attraverso l’uso gratuito del computer come telefono. Inoltre, il web consente di ridurre i costi di acquisto dei giornali e di trovare con maggiore facilità le opportunità di acquisto o scambio a vantaggioso.
8. Chiedere più pareri sulle questioni di rilevanza economica che si devono affrontare: l’informazione diffusa rappresenta una sorta di mercato delle idee, fra le quali poter scegliere la soluzione più conveniente e congeniale, dal medico o il dentista, all’elettrodomestico da cambiare;
9. Dare il buon esempio con i figli sul come affrontare con energia e dignità le difficoltà del vivere quotidiano: le ricerche ci dicono che soprattutto sui bambini più piccoli ciò esercita un’influenza duratura che influenza i comportamenti di una vita. È sufficiente ascoltare la nonna o il nonno che erano bambine o bambini durante la crisi degli anni ’30.
10. Pensare diverso: aiuta a identificare meglio i problemi e le loro possibili soluzioni. Se qualcosa sta insegnando questa crisi è quanto possa essere epidemico il pensiero unico e negativo sul futuro. L’economia si alimenta di aspettative positive sul futuro: per davvero l’economia migliora se tutti pensano positivo, ma se anche solo uno pensa positivo quell’unico ne uscirà prima.

Non è certo un decalogo dei miracoli, ma forse un esempio del come le virtù del coraggio e della tenacia possono aiutare a riemergere dalla crisi, con una qualità della vita più sobria e migliore.

Luigi Campiglio

lunedì, dicembre 15, 2008

Le cure alla crisi finanziaria. E' possibile togliere il veleno dai titoli tossici ?


Leonardo Becchetti - 15/12/2008

La crisi finanziaria globale nasce da un evento locale (la crisi dei mutui negli Stati Uniti) e diventa sistemica per via dei meccanismi di amplificazione del credito generati dalla cartolarizzazione. Negli Stati Uniti vengono erogati mutui per la casa a persone “non bancabili” (per un volume totale superiore agli 1,3 trilioni di dollari "How severe is subprime mess?", msnbc.com, Associated Press (2007-03-13).)

fidando sull’azzardo di prezzi immobiliari stabili o crescenti, che avrebbero mantenuto elevato il valore della parte dell’immobile già posseduta dai mutuatari e posta a garanzia. Le banche vendono i propri mutui ad un’istituzione finanziaria terza assicuratrice trasferendo su di essa il rischio di fallimento del cliente. Questo intermediario si trova in possesso di un gran numero di mutui e li “cartolarizza” creando attività derivate (mortgage based securities o MBS) apparentemente più sicure. La diversificazione, si ritiene, dovrebbe funzionare perchè il rischio di un singolo mutuatario viene considerato incorrelato col rischio degli altri e quindi non in grado di incidere sul valore dell’MBS. L’errore tecnico è l’aver ignorato una fonte di rischio sistematico non diversificabile rappresentata dal livello dei prezzi degli immobili: se questo crolla tutti i mutuatari vanno in difficoltà e il valore del titolo derivato precipita. Esattamente quello che succederà poi. Gli intermediari finanziari intanto comprano a man bassa gli MBS. Si sviluppa contemporaneamente un ampio mercato di CDS (credit default swap) con i quali una controparte assicura un possessore di MBS dal rischio di fallimento.

Le agenzie di rating benedicono l’operazione degli MBS (nei quali mutui subprime sono mescolati a mutui meno rischiosi) con il massimo dello standing creditizio innescando processi di amplificazione delle masse in circolazione. Alcune cifre ci aiutano a capire. A fronte del valore dei mutui sopra citato i valori di mercato dei due tipi di derivati sono superiori. Il mercato degli MBS triplica di valore dal 1997 al 2006 arrivando a 7,3 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari. Il valore dei CDS arriva a 47 trilioni di dollari nel 2008. La regolamentazione è minima. Non esiste una stanza di compensazione dove qualcuno possa onorare l’obbligo di pagare chi si assicura dal rischio di fallimento dei mutuatari (comprando i CDS) se l’assicuratore (che vende i CDS) non è in grado di assolverlo.

Senza i titoli derivati (MBS e CDS) il crollo del settore dei mutui avrebbe determinato una crisi grave ma locale. Con il castello dei derivati la crisi si trasmette a tutto il sistema creando enormi perdite in conto capitale per i possessori di MBS (il cui valore crolla per l’improvviso deterioramento del merito di credito dei mutuatari) e di CDS (che sono chiamati a ingenti esborsi per compensare i possessori di MBS in caso di fallimento di questi titoli).

Le soluzioni proposte finora sono orientate a curare le conseguenze e non le cause. Nel migliore dei casi, il loro obiettivo è ridare fiducia al mercato con un sistema di fondi di garanzia (che si spera non saranno interamente consumati) o, nel peggiore dei casi, quello di salvare questo o quell’altro attore coinvolto. Il secondo tipo di operazioni pone oneri ingenti sulle finanze pubbliche mentre le Banche Centrali si trasformano in banche ordinarie e sono costrette ad accettare una parte dei “titoli tossici” posseduti dagli intermediari finanziari pur di ridare liquidità al sistema. Intanto la paura paralizza tutti: i depositanti che si fidano a stento delle banche e le banche stesse che non si prestano più i soldi tra di loro e sono renitenti a prestare soldi alle imprese temendo il deterioramento del proprio portafoglio crediti in un’economia ormai in recessione.

Tra le varie soluzioni proposte ne è stata dimenticata forse una potenzialmente efficace: rendere nuovamente solvibili i mutuatari.

A questo proposito è necessario che una parte delle risorse messe in campo sia utilizzata per creare un fondo da utilizzare all’uopo. Chi non è ancora fallito - secondo stime attendibili il 20 percento del totale (Bernanke, Ben S. "Mortgage Delinquencies and Foreclosures" Columbia Business School's 32nd Annual Dinner, New York, New York (2008-05-05)) - deve essere messo in condizione di pagare (riducendo la rata del mutuo o coprendo con soldi pubblici la parte di interessi che il soggetto non è in grado di pagare). Che fare con i clienti falliti le cui abitazioni sono diventate di proprietà delle banche o messe all’asta e vendute a terzi (la parte più difficile dell’operazione) ? Si potrebbero riacquistare le seconde e darle in affitto ai vari mutuatari a prezzi calmierati. La spesa in questo caso sarebbe ingente ma rappresenterebbe un investimento che potrebbe consentire guadagni in conto capitale quando il mercato si riprenderà e i valori saranno superiori a quelli odierni.

Il risultato complessivo di questa operazione dovrebbe ridurre drasticamente il rischio di fallimento dei singoli mutuatari ridando valore agli MBS su mercato secondario e disinnescando il problema degli esborsi dei venditori di CDS.

Una volta tanto equità ed efficienza potrebbero andare di pari passo. Non dimentichiamo infatti le grandezze in gioco (il valore totale dei mutui molto inferiore a quello di MBS e CDS) e la correlazione positiva tra merito di credito dei mutuatari e valori dei titoli derivati. Invece del salvataggio diretto delle banche con l’acquisto dei titoli tossici (un intervento tappabuchi che comporta l’esborso di somme ingenti e che costringe ad inseguire una o l’altra situazione di dissesto) molto più efficace e corretto andare all’origine e rimettere in piedi i mutuatari “riavvolgendo il nastro” della crisi.

Il mercato ha bisogno di segnali per invertire la rotta. Quale miglior segnale del fatto che il problema del merito di credito dei mutuatari non c’è più ?

Ad evitare il problema di azzardo morale, ovvero di coazione a riproporre la situazione attuale in futuro contando sul salvataggio pubblico, basterebbe sancire l’eccezionalità dell’intervento attraverso l’applicazione graduale dei due cambiamenti di governance necessari per evitare in futuro crisi di questo tipo. Ovvero ridurre la leva delle banche d’affari e degli intermediari finanziari non bancari e sottoporre a requisiti patrimoniali le attività che gli stessi detengono in portafoglio. Con Basilea III dovremmo evitare che macchine di grossa cilindrata possano sfrecciare ad alta velocità nei centri abitati senza rispettare i semafori. Con l’entrata in vigore delle nuove regole che sorveglino i meccanismi di amplificazione e di trasmissione dal livello locale a quello sistemico non dovrebbe essere più necessario salvare chi sbaglia per evitare crisi globali.

venerdì, dicembre 12, 2008

Appello del Papa: la crisi alimentare colpa delle speculazioni dei paesi ricchi

CITTÀ DEL VATICANO (11 dicembre) -Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace. Monito contro la logica del profitto a breve termine. E poi: «Milioni di aborti non hanno eliminato il sottosviluppo». Una finanza del brevissimo termine «diviene pericolosa per tutti» anche per chi riesce a beneficiarne durante la «euforia finanziaria». La crisi alimentare nasce non tanto dal poco cibo quanto da «fenomeni speculativi» e da «carenza di un assetto di istituzioni politiche ed economiche» capaci di fronteggiare le necessità e le emergenze».

C'è un cuore di grande attualità, e fortemente sociale, nel messaggio del Papa per la 42.ma giornata mondiale per la pace, intitolato «Combattere la povertà, costruire la pace» tanto che si ipotizza che la parte più originale del testo, collegata ai temi finanziari e della crisi economica mondiale, anticipi parti significative della enciclica sociale di Benedetto XVI che, auspica il cardinale Renato Martino, arriverà «agli inizi del 2009».

Il dramma della miseria, - ricorda papa Ratzinger nel messaggio, rivolto ai cattolici, alle persone di buona volontà e che per tradizione viene inviato ai capi di Stato - calpesta i diritti di centinaia di milioni di persone, favorendo o aggravando i conflitti. È un dramma che si impone alla coscienza dell'umanità per cui si costruisce la pace solo combattendo la povertà mondiale. Ma per farlo bisogna cambiare «gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono la società».

È necessario «abbandonare la mentalità che considera i poveri ... come un fardello e come fastidiosi importuni che pretendono di consumare quanto altri hanno prodotto». Del resto, «l'avidità e la ristrettezza di orizzonti creano quei sistemi ingiusti che prima o poi presentano il conto a tutti. Solo la stoltezza può indurre il mondo globalizzato a costruire una casa dorata, ma con attorno il deserto o il degrado»

Tra le idee portanti del documento c'è quella che l'aumento della popolazione non sia necessariamente un fattore di povertà, ma possa invece esserlo di sviluppo. Benedetto XVI lo afferma a proposito delle «implicazioni morali della povertà, laddove critica le politiche di controllo delle nascite - con lo sterminio di milioni di bambini non nati nel nome della lotta alla povertà - e i "ricatti" ai Paesi poveri, per le cure contro Aids e pandemie, ricatti che condizionano gli aiuti economici alla attuazione di politiche contrarie alla vita».

Nel messaggio c'è una rinnovata e denuncia dei fondi spesi in armi, distogliendoli dai progetti di sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri e bisognosi di aiuto. «Quasi la metà di coloro che vivono in povertà assoluta oggi è rappresentata da bambini», denuncia ancora papa Ratzinger, chiedendo vaccini, cura per le madri, politiche per le famiglie.

Il Papa invita gli Stati a una severa riflessione e una coraggiosa autocritica sia sul riarmo che sul commercio internazionale, con un appello perchè tutti i Paesi abbiano le stesse possibilità di accesso al mercato mondiale.

mercoledì, dicembre 10, 2008

Perché gli economisti non hanno previsto lo scoppio della crisi ?


Leonardo Becchetti - 09/12/2008

Si dibatte molto in questi giorni difficili sull’incapacità degli economisti di risolvere il problema della crisi. La causa è molto semplice e va riscontrata nell’iperspecializzazione funzionale che ci ha reso esperti del frammento e incapaci di una visione d’insieme.

Per poter anticipare questa crisi e per curarne le conseguenze è necessario avere nozioni di finanza derivata, di funzionamento dei mercati finanziari e della loro governance e di macroeconomia. Ma quasi tutti i macroeconomisti sono a digiuno di finanza derivata e gli esperti di finanza derivata, quelli veri che conoscono nei minimi particolari i meccanismi di determinazione del valore di queste attività, sono dei supertecnici che assai raramente sono in grado di cogliere il rapporto tra le stesse e gli aspetti sistemici e macroeconomici.

E’ subito dopo il rinascimento che avviene il grande bang e spariscono i geni universali alla Leonardo. Il progresso della scienza richiede una forte specializzazione che consente all’umanità di fare incredibili passi in avanti in tutte le discipline. Dopo il big bang dei saperi disciplinari, data la complessità e l’estensione degli universi della conoscenza settoriale ai nostri giorni, il ricercatore deve fare grandi sforzi per poter arrivare alla frontiera e, se vuole pubblicare e non perire, deve dedicare quasi tutte le sue attenzioni ad un solo campo circoscritto di interessi per gran parte della propria vita. Se l’iperspecializzazione ci consente grandi avanzamenti dal punto di vista “positivo” (ovvero nella conoscenza dei meccanismi di funzionamento dell’economia) essa ci rende sempre meno capaci di sviluppare ragionamenti sensati dal punto di vista normativo (quello delle politiche economiche). In questo ambito le predizioni che scaturiscono dall’esperienza del frammento non hanno nessuna capacità di risolvere i problemi dell’insieme. E’ come se la conoscenza dell’automobile fosse divisa tra esperti dei pneumatici, esperti del motore ed esperti del sistema dei freni che però non sono in grado di andare oltre la propria specializzazione. Molto difficile sarebbe in questo caso per il singolo esperto dare consigli sulla stabilità e sulla gestione ottimale complessiva della vettura.

Un cambiamento di rotta può venire dalla stessa comunità scientifica aumentando la dignità e la reputazione del sapere intersettoriale ed interdisciplinare invertendo un percorso che ha portato la politica economica a diventare quasi una disciplina di serie B.

Ma se molti si chiedono perché gli economisti non hanno previsto è ancora più inquietante rilevare che l’intero mercato (piccoli investitori, comunità degli analisti, insiders) non è stato capace di farlo. Se così fosse stato i rischi e il rischio di crisi sistemica sarebbero stati incorporati già da molto tempo nel valore delle azioni delle società coinvolte. Anche in questo caso dunque, come durante ogni bolla finanziaria, il mercato ha fallito nel trasmettere attraverso il sistema dei prezzi le informazioni corrette.

sabato, ottobre 25, 2008

Welfare: il Libro Verde di Sacconi è 'ingiallito' in fretta


Welfare: il Libro Verde è 'ingiallito' in fretta
Le osservazioni delle Acli al documento del ministro Sacconi sul futuro del welfare. Domani il termine di consegna per i contributi delle parti socialiRoma, 24 ottobre 2008 - Doveva essere un Libro sul futuro, ma rischia di rimanere legato al passato, «superato dagli eventi». Il Libro Verde sul welfare del ministro Sacconi, presentato appena tre mesi fa, appare 'ingiallito' in fretta alle Acli, che hanno inviato oggi al ministero le proprie osservazioni in un documento di 15 pagine. Scade infatti domani il termine per le parti sociali per presentare commenti e suggerimenti alla proposta del governo. «Le vicende internazionali delle ultime settimane - spiega il presidente nazionale Andrea Olivero - ne hanno messo in discussione molti dei presupposti. La tendenza alla privatizzazione, la fiducia nella finanziarizzazione del welfare, alla luce del terremoto mondiale dei mercati e delle sue ripercussioni, appaiono oggi anacronistici, vanno ripensati profondamente». Le Acli portano l'esempio della previdenza complementare: i fondi aperti hanno perso nell'ultimo anno dal 3 al 12%; quelli negoziali lo 0,5%; il Tfr invece viaggia su una media di rivalutazione superiore al 3%.Un nuovo patto socialeLe Associazioni cristiane dei lavoratori italiani chiedono al ministro un «nuovo patto sociale» per ridisegnare il futuro del welfare. Un patto che leghi insieme «le responsabilità di ogni persona, della società civile organizzata e delle Istituzioni variamente articolate»; espressione di una «democrazia autenticamente partecipativa»; realizzabile solo all'interno di un «modello sociale integrato». «Condividiamo senz'altro - dice Olivero - l'idea del ministro di investire sul protagonismo delle persone e sulla loro 'vita attiva', ma questo può essere fatto solo investendo contemporaneamente sullo sviluppo delle reti sociali, perché la persona non è l'individuo, ma il soggetto nella concretezza delle sue relazioni familiari e sociali; e la vita attiva non è solo quella 'produttiva', o 'produttivistica', ma anche quella che si esprime attraverso la cura degli affetti e delle relazioni, o l'esercizio di una cittadinanza responsabile e solidale: l'impegno sociale, il volontariato». Il modello è quello di «un welfare mix fondato sulla solidarietà e sulla collaborazione tra istituzioni e non profit, capace di mutare le condizioni che generano bisogno e povertà ma anche in grado di promuovere responsabilità personale e sociale senza abbandonare chi è in difficoltà».No all'ulteriore de-regolamentazione del mercato del lavoroLa tesi centrale del Libro Verde afferma che 'una società attiva è insieme più competitiva' e 'più giusta e inclusiva'. Secondo le Acli «l'assunto va trasformato in un interrogativo: come rendere una società competitiva più giusta e inclusiva?» Per questo, contrariamente a ciò che propone il documento del ministero, «l'ulteriore de-regolamentazione del lavoro non è la strada giusta per consentire di vivere una vita buona e dignitosa». «Semmai è opportuno - scrivono le Acli - ri-adeguare leggi e strumenti esistenti per garantire una continuità di cittadinanza del lavoro e una stabilità nella discontinuità dei tragitti lavorativi, anche per evitare che la flessibilità lavorativa si trasformi in precarietà professionale e di vita».Tra le proposte delle Acli: «una legislazione che riconosca la formazione permanente come diritto civico, realmente esigibile lungo tutto l'arco della vita»; «un sistema nazionale di certificazione delle competenze» allo scopo di garantire la portabilità dei percorsi formativi nel mercato del lavoro e del percorso di vita; un ripensamento degli ammortizzatori sociali, con particolare attenzione alla fase d'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e prevedendo «un intervento di base esteso ai lavoratori atipici, fino ad oggi esclusi». Le Acli propongono di adottare «il conto individuale di sicurezza sociale» sul modello francese, come forma di aiuto economico per integrare il reddito dei lavoratori che non riescono a raggiungere soglie minime di retribuzione annua. E di riformulare la proposta di reddito minimo di cittadinanza, come reddito minimo garantito condizionato, legato cioè a precisi requisiti (di reddito, di situazione di bisogno ecc.) e connesso alla definizione di piani individuali di inserimento lavorativo. Sul piano della sicurezza del lavoro, infine, l'invito a predisporre un piano di tutela sociale a sostegno delle famiglie delle vittime di morti bianche e per i lavoratori che rimangono invalidi.Il protagonismo delle famiglie, anche quelle immigrateLa proposta contenuta nel Libro Verde della 'centralità della persona, in sé e nelle sue proiezioni relazionali a partire dalla famiglia', è «fondamentale» per le Acli: «La famiglia è il punto di partenza e il metro di giudizio per promuovere l'inclusione sociale». «Ma il protagonismo della famiglia - aggiungono le associazioni cristiane dei lavoratori - va sostenuto sia nella sua capacità di auto-promozione e auto-tutela, che nelle sue difficoltà, attraverso politiche integrate e mirate, che superino la logica emergenziale e assistenziale». «Non tutte le famiglie sono uguali - spiega Olivero - per opportunità, risorse, competenze. La logica della sussidiarietà non può essere separata dalla solidarietà».Le Acli chiedono una riforma del welfare misurata sul «parametro familiare»: a partire dall'investimento sul lavoro femminile (riduzione del cuneo fiscale); l'aumento dei servizi materno-infantili; la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; l'agevolazione nell'acquisto della casa, il pagamento dei mutui e l'affitto per le giovani coppie; il sostegno per la cura dei malati e degli anziani (il Fondo per la non-autosufficienza); l'adozione di un nuovo regime fiscale a misura di famiglia (deduzioni e quoziente familiare).Anche le famigliare immigrate - affermano le Acli - sono «un investimento da promuovere», in quanto «costruttrici di una immigrazione più integrata e quindi più sicura». Nel Libro Verde non se ne parla, come non si parla mai del tema dell'immigrazione e dell'integrazione. Le Acli propongono nel loro documento una serie di misure specifiche: dall'accesso alla casa ai diritti previdenziali, dalla sicurezza sul lavoro all'apprendimento della lingua e della cultura italiana.La sostenibilità«Non sono i costi il vero elemento di criticità del nostro sistema di welfare - affermano le Acli - ma la debolezza della rete territoriale dei servizi, con evidenti disparità tra nord e sud del Paese». Le Acli propongono il rilancio della legge 328 del 2000 che prevedeva lo sviluppo di sistemi territoriali integrati di servizi ed interventi con il coinvolgimento a pieno titolo del terzo settore nella fase di progettazione e gestione, non di mera esecuzione. Ma nel Libro Verde non c'è riferimento alcuno a questa normativa.«Riformare il welfare riducendo le risorse a disposizione del pubblico, significa porlo in liquidazione» affermano invece le Acli, che ricordano alcuni dati Eurostat. La spesa italiana per prestazioni agli invalidi e inabili assorbe l'1,5% del Pil, contro il 2,1% dell'Europa; la spesa per prestazioni in favore delle famiglie, della maternità e dei figli a carico è la metà della media europea (1,1% del Pil contro il 2,1% europeo), la spesa per promuovere l'inclusione e la partecipazione sociale è vicina allo zero, mentre in Europa assorbe lo 0,4% del Pil. Stesso discorso per la spesa di sostegno all'accesso o alla conduzione della casa di abitazione. «Concordiamo - afferma il presidente Andrea Olivero - con l'idea del Libro Verde di un welfare propositivo e non difensivo, ma questo non si può fare se si continua a pensare le politiche sociali solo per difetto come crisi e come costo, anziché come promotrici di sviluppo umano, sociale ed anche economico».
Allegati - [Clicca sul link per il download]:- Il contributo delle Acli (169.14 Kbytes)

domenica, ottobre 05, 2008

Capitalismo di rapina: Emma Marcegaglia vuole i nostri soldi!

marcegagllai02g Ascoltavo i telegiornali e pensavo: guarda un pò i nostri imprenditori tentano di far soldi con la crisi alle spalle dell'erario. E' assurdo e pensavo di scriverlo su questo blog. Poi ho trovato il post di Gennaro Carotenuto e come spesso succede l'ho riprodotto qui di seguito, lanciando la pietra e in parte nascondendo la mano.

La Presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia (in ottima compagnia) ricorda le vecchie testate di Cuore: “Hanno la faccia come il culo”. Dopo 30 anni a sbraitare “giù le mani dello Stato dall’Economia”, “viva la mano invisibile del mercato”, “abbasso i lacci e lacciuoli” ecco il giro di valzer da 180 gradi: “ci vuole l’intervento dello Stato. E’ l’unica soluzione possibile in una fase di emergenza”.

E perché, di grazia? Non può fallire una banca in Italia? Perché adesso i soldi pubblici li vuole lei? E quando li vogliono gli anziani con la pensione minima non è l’unica soluzione? E quando servono per la scuola o per l’università? E quando bisogna pagare 70 Euro per un’ecografia?

Gridiamolo forte e chiaro: EMMA CREPA!

mercoledì, ottobre 01, 2008

Il trionfo dell’ottusità e la divulgazione ignorante

Il trionfo dell’ottusità e la divulgazione ignorante
di Leonardo Becchetti

Siamo di fronte ad una crisi finanziaria gravissima (da cui per fortuna l’Italia è per il momento immune grazie ai suoi anticorpi personalisti e solidaristi) le cui soluzioni sono ostacolate da un gruppo di ignoranti (cui si aggiungono oggi i peones repubblicani che hanno bloccato il piano di salvataggio USA alla camera) che continua a dibattere su questioni simboliche prive di senso.

La situazione ricorda quella di quel tale che incontra una persona in fin di vita abbandonata sul ciglio di una strada che chiede aiuto. Fa per dirigersi verso di lei ma poi si ritrae dicendo “non posso è socialismo”.
Lo scenario virtuoso possibile, già realizzato in scala minore nella crisi bancaria svedese del ’92, prevede la costruzione di un fondo pubblico che compra a sconto nel periodo di massima crisi e massimo ribasso i titoli oggetto della crisi (in questo caso i multiname credit derivatives) mentre contemporaneamente vengono adottate una serie di misure che eliminano alla radice la possibilità di nuove crisi (riduzione della leva finanziaria, requisiti patrimoniali anticiclici imposti anche su operazioni oggi fuori controllo e sul mercato OTC, organismi di vigilanza internazionali). Queste misure sono già state sollecitate dal Financial Stability Forum guidato da Mario Draghi. L’intervento, accompagnato alla riforma della regolamentazione, modifica le aspettative di mercato e, nel giro di un po’ di tempo, la crisi di fiducia viene superata, il tasso interbancario scende e i titoli “tossici” recuperano il loro valore. In Svezia il calcolo iniziale dei costi della manovra parlava di intervento corrispondente a vari punti del PIL con aggravio del debito pubblico e conseguenze per i contribuenti. Alla distanza invece la soluzione della crisi ha consentito allo stato di realizzare dei guadagni in conto capitale che hanno quasi del tutto annullato quei costi. E’ un po’ come se un investitore (in questo caso lo stato) acquistasse i titoli al momento del massimo ribasso avendo allo stesso tempo il potere di modificare le aspettative del mercato ed invertire la sua direzione con la possibilità di conseguire successivamente a causa della sua stessa manovra dei capital gains.
Questa che è l’unica via di uscita dalla crisi rischia di saltare per l’ottusità di chi non sa neanche cosa sia l’economia e il mercato ma difende a spada tratta un’ideologia pessimamente divulgata. Il mercato è un’istituzione molto delicata, d’importanza fondamentale per il sistema economico, la cui funzionalità va difesa con opportune regole. Il mercato senza regole non esiste in nessun paese. Esistono solo le regole buone e le regole cattive.
A chi dice che le crisi devono fare il suo corso dicendo che ci si evolve attraverso tentativi ed errori, rivelando una visione deterministica e disumana della storia, chiediamo se non si è accorto che chi fa i tentativi (guadagnando anche nei momenti di crisi) e chi paga gli errori sono due categorie di persone diverse. La più grande crisi finanziaria della storia contrastata solo tardivamente dalla giusta natura di intervento, quella del ’29, ha generato milioni di disoccupati e una crisi di iperinflazione in Germania che, unita al problema del servizio del debito imposto dai vincitori della prima guerra mondiale, ha portato il paese al nazismo e condotto alla seconda guerra mondiale.