venerdì, febbraio 18, 2011

Social Card: Un sistema paternalistico e datato non aiuta chi ha davvero bisogno


di CHIARA SARACENO


Nel decreto Milleproroghe ha trovato posto anche la conferma della social card, ovvero di una carta acquisti per un importo di 40 euro mensili, destinata a anziani ultrasessantacinquenni e bambini sotto i tre anni che si trovano al di sotto di una determinata soglia di reddito famigliare e sono cittadini italiani. Molti osservatori avevano a suo tempo segnalato che il doppio vincolo della età e della cittadinanza avrebbe escluso dal beneficio, per altro di importo troppo basso per fare davvero differenza, la grande maggioranza dei poveri, oltre ad esporre l'Italia (per l'esclusione degli stranieri legalmente residenti) al rischio di una procedura di infrazione da parte dell'Unione Europea. La povertà, in Italia, è infatti concentrata, oltre che tra gli anziani, nelle famiglie con tre o più figli minori, a prescindere dalla età di questi ultimi. Senza contare che un bambino non diventa meno povero per il fatto di compiere tre anni. Uno strumento, quindi, doppiamente limitato: nell'importo e nella platea dei potenziali beneficiari. Il risultato paradossale della seconda limitazione è che il fondo destinato alla social card è rimasto largamente non speso, nonostante l'incidenza della povertà continui ad essere consistente: 5% circa delle famiglie italiane se si parla di povertà assoluta, l'11% se si parla di povertà relativa.Nel riconfermare la social card ed il suo importo, utilizzando i fondi non spesi, il decreto milleproroghe introduce tuttavia due novità "sperimentali". La prima, più importante, è l'affidamento, nei comuni sopra i 250.000 abitanti, della sua erogazione agli "enti caritativi" (sic). E' escluso l'Inps. E i comuni sono solo chiamati ad individuare gli enti caritativi e ad integrarne le prestazioni, con un paradossale rovesciamento del rapporto tra pubblico e terzo settore. Una scelta sorprendente da parte di un governo che si dichiara federalista. Non solo, la definizione ottocentesca di "enti caritativi" chiaramente individua una fattispecie ristretta di soggetti, per lo più esclusivamente di matrice religiosa (cattolica). Il risultato è che viene così negata, anche nel linguaggio, ogni idea che dare sostegno ai poveri sia un obbligo civico di solidarietà e riceverlo un diritto. Diviene un atto discrezionale e paternalistico, che legittima l'ente erogatore (privato) mentre squalifica il beneficiario. La seconda novità, in astratto positiva, è che viene rimandata ad un futuro decreto l'individuazione delle caratteristiche, auspicabilmente meno restrittive in termini di età e cittadinanza, che devono avere i potenziali beneficiari. Non è chiaro tuttavia perché un eventuale allargamento della platea debba riguardare solo i comuni sopra i 250.000 abitanti e i beneficiari della social card erogata dagli "enti caritativi".

A fronte di questa scelta politica fortemente problematica, appare invece di grande interesse la proposta - idealmente "bipartisan" - delle ACLI, presentata in questi giorni, di sperimentazione di una "Carta acquisti" che copra, almeno in parte, la differenza tra soglia di povertà assoluta e reddito disponibile, tenendo conto del costo della vita nelle varie aree del paese. Titolare dell'erogazione sarebbe l'INPS. Come avvenne nella sperimentazione del RMI, questa misura dovrebbe essere accompagnata da servizi di accompagnamento e integrazione sociale, sotto la responsabilità dei comuni singoli o associati e con la collaborazione sia dei Centri per l'impiego che delle varie associazioni di terzo settore che operano nel capo della inclusione sociale. Si può discutere dell'immagine paternalistica sottostante lo strumento carta acquisti al posto dell'erogazione diretta di denaro. I poveri sono sempre soggetti al sospetto di essere incapaci di spendere bene il poco denaro che hanno. Tuttavia è apprezzabile un modello di politica di sostegno al reddito dei poveri a responsabilità pubblica, con criteri universalistici e non categoriali o discrezionali, che coinvolga tutti gli attori locali rilevanti, e che miri non ad erogare carità, ma a sviluppare competenze e diritti insieme a responsabilità.

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