Disoccupazione, problema centrale
francesco fracasso da Il Denaro
Il tasso di disoccupazione nel nostro Paese nel 2009 è arrivato all'8,6 per cento, il più alto dall'inizio del Duemila.E' vero che esso è inferiore a quello di altri Paesi dell'Ue, ma da noi è la cassa integrazione ordinaria e straordinaria che ci fa fronteggiare un po' meglio la situazione. E nei primi mesi del 2010 il ricorso alla cassa integrazione straordinaria (cigs) è aumentata del 358 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009. La disoccupazione è comunque in ascesa e di recente l'Istat, aggiornando i dati a marzo, ci informa che siamo arrivati all'8,8 per cento, ai massimi dal 2002.
Insomma è proprio questo l'autentico problema che ci accompagnerà ancora per qualche anno. E ciò che deve più preoccupare è la disoccupazione giovanile: i giovani senza lavoro sono arrivati alla soglia del 27,7 per cento. Un fatto di assoluta gravità anche raffrontato con la media europea che si ferma al 20,6. Ed in sei regioni il tasso supera il 30 per cento: in Sardegna si arriva al 44,7, in Sicilia al 38,5, in Basilicata al 38,3, in Campania al 38,1, in Puglia al 33,6, in Calabria al 31,8 e nel Lazio al 30,6.
Forse la fase più acuta della crisi è davvero alle nostre spalle(come affermano alcuni analisti) ma le imprese non sono ancora in grado di riaprire il discorso con l'occupazione. L'Inps, proprio in questi giorni, comunica che ad aprile c'è stata una contrazione delle richieste di cassa integrazione straordinaria. Rispetto a marzo si è verificato un calo del 5,7 per cento(da 122,6 a 115,6 milioni di ore autorizzate). Più marcata la flessione per le autorizzazioni delle ore di cassa integrazione ordinaria, pari a -22,5 per cento rispetti a marzo. E qualcuno già parla di un'inversione di tendenza, ma è ragionevole pensare che si tratta purtroppo solo di un calo congiunturale. Secondo la Cgil il 2010, al contrario, può diventare – così come stanno andando le cose- un nuovo anno record per la cassa integrazione.
Al di là di questi dati, l'unico fatto concreto a cui bisogna riferirsi è evidente: se non arriva una crescita veramente corposa rispetto alla situazione attuale le cose continueranno a restare come sono o forse peggioreranno. E' veramente stucchevole ascoltare ogni giorno gli inni all'ottimismo che provengono dalle varie fonti governative. Che senso ha sbandierare ai quattro venti i 300 milioni di agevolazioni per l'acquisto di lavastoviglie, motorini e addirittura barche da diporto? Queste "banalità" fanno a cazzotti con lo stato veramente precario dell'intero sistema produttivo. E il recente dato(Istat)dell'aumento della produzione industriale(+6,4 per cento calcolata sull'anno marzo 2009-10) è solo in apparenza positivo in quanto nel marzo 2009 si verificò una caduta verticale(-20 per cento). Come viene correttamente rilevato dalla Cisl "siamo ancora ben lontani dai livelli pre-crisi, perché occorre recuperare più di 22 punti di produzione industriale persi".Lo stesso discorso va esteso all'aumento nei primi tre mesi dell'anno dello 0,5 per cento(Istat) del Pil(+0,6 sullo stesso trimestre 2009), visto che bisogna recuperare un -6,3 per cento formatosi nel 2008-09. E nel contempo,come informa la Banca d'Italia, il debito pubblico è aumentato(+3,1 a marzo) e le entrate fiscali sono diminuite(in tre mesi la perdita ha superato un miliardo di euro). La crescita italiana è da troppi anni bloccata. Si vive alla giornata, è cioè assente una visione di lungo periodo sulle "modalità" di sviluppo del Paese. Mancano gli investimenti necessari per una decisa "modernizzazione" delle infrastrutture e nel contempo sono latitanti idee che determinino una diversa impostazione dello sviluppo rispetto al passato. Una situazione determinata dall'assoluta mancanza di quel dinamismo che produsse il famoso "miracolo" economico italiano del dopoguerra. E' per questo che gli indicatori della crescita del Paese sono sempre modesti o si avvertono appena. In conclusione,è quindi ovvio che le ripercussioni di questo stato di indeterminatezza –ed al di là della crisi finanziaria ed economica di questi ultimi anni- si facciano sentire in primo luogo e pesantemente sull'occupazione .Una recente ricerca delle Acli e della Caritas italiana indica che il 66 per cento dei nuclei familiari teme che almeno un componente possa perdere in futuro il posto di lavoro.
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