dal blog di Andrea Sarubbi
Domenica scorsa, nella mia parrocchia, si sono battezzati tre bambini: Marco, Simone e Jerusha. Jerusha è nata a Roma, dove probabilmente passerà il resto della sua vita, da due genitori indiani: indiani del Kerala, per la precisione, uno Stato del sud a maggioranza cristiana. L’invasione islamica minacciata da parte del Centrodestra, insomma, non è colpa sua, e nemmeno degli altri figli di immigrati iscritti al catechismo per la comunione o per la cresima: sono una decina abbondante su circa 200, ossia il 5% del totale, e la percentuale cresce di anno in anno. Gli immigrati residenti in Italia, lo ricordo, sono il 6%. Dove voglio arrivare mi pare abbastanza chiaro: per quanto le cifre di una parrocchia romana non rappresentino da sole un campione esaustivo, i dati dei bambini stranieri iscritti al catechismo (sarebbe interessante averli su scala nazionale: se qualcuno può, mi aiuti) mostrano da soli la strumentalità dell’insistenza sull’invasione islamica. La politica torna ad occuparsi di cittadinanza agli immigrati, con una proposta di legge che rischia di rompere gli schemi? La risposta più facile per mettere tutto a tacere è appunto quella dell’invasione islamica, possibilmente condita da una campagna anti-burqa che – leggo or ora sui siti dei principali quotidiani – anche il ministro delle Pari Opportunità ha deciso di fare propria. “Via il burqa dalle scuole”, ha annunciato Mara Carfagna, ed allora ho iniziato un rapido giro di telefonate per sapere dai miei amici di varie latitudini se qualcuno di loro ne abbia mai visto uno: niente da fare. Non che il mio sondaggio abbia valore statistico – come i dati parrocchiali del Santissimo Crocifisso, appunto – ma pure questo è un segnale: se la presenza dirompente del burqa fosse un problema serio per l’Italia, qualcuno se ne sarebbe accorto. Il che non esclude che magari, nel profondo Veneto, ci sia pure qualche donna che lo indossi, ma da qui ad annunciare una legge in tempi rapidi come se fosse un’emergenza nazionale ce ne passa: tra l’altro, gli intellettuali islamici ci hanno chiarito che la religione c’entra poco, ed il nostro ordinamento contiene già una norma che impone a tutti di essere riconoscibili. “Via il burqa dalle scuole”, insomma, è uno slogan con poco contenuto: è una manovra mediatica per dire alla pancia degli italiani che l’integrazione è una battaglia persa, per risvegliare in ognuno la paura di un’invasione che – stavolta lo dicono le statistiche serie, non i calcoli casarecci di Sarubbi – non trova riscontro nella nostra realtà. Il tutto, amici miei, mentre in Commissione Affari Costituzionali si sta cercando di addomesticare una partita molto importante sulla legge per la cittadinanza: il comitato ristretto che deve scegliere il testo base avrebbe dovuto riunirsi già due settimane fa, ma ogni volta – per un motivo o per un altro – si è deciso di rimandare. Sul tavolo, come spiegavo in altre occasioni, ci sono parecchie proposte di legge, tutte con la stessa caratteristica: quella di essere proposte di parte. Tutte, tranne una: la 2670, promossa da me insieme a Fabio Granata e sottoscritta da 50 deputati di diversi gruppi parlamentari (Pd, Pdl, Udc, Idv, delegazione radicale e gruppo misto). Rispetto ai canoni vigenti, il nostro testo ha l’imperdonabile difetto di non essere riconducibile in via esclusiva a nessun partito: il Pd ha le sue proposte ufficiali, il Pdl le sue, l’Udc e l’Idv ne avevano già presentate alcune prima della nostra iniziativa bipartisan. In un clima costruttivo, proprio questa potrebbe essere la sua forza: per quanto lo si possa migliorare, insomma, è un testo che parte già da un minimo comun denominatore, e non ci vuole uno scienziato per capire che potrebbe essere un ottimo testo base. Ma se si continua a rinviare il confronto, dirottando l’attenzione sul burqa, la vedo abbastanza brutta.
1 commento:
La ringrazio per Blog intiresny
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