La crisi economica non è alle nostre spalle, come con eccesso di superficialità si è sostenuto nelle ultime settimane. Infatti, nel suo bollettino di maggio, la Banca Centrale Europea ha messo in evidenza che l’economia globale, compresa quella dell’area dell’euro, si trova ancora in condizioni di “forte rallentamento” ed è connotata da una prospettiva di “continuo marcato ristagno” della domanda. Il quadro è complicato, secondo gli esperti della BCE, dal deterioramento delle aspettative di crescita per Eurolandia, da un ulteriore peggioramento del mercato del lavoro e dalla previsione di un incremento significativo del rapporto tra il debito e il PIL nei paesi europei, dovuto all’incidenza sui conti pubblici delle misure di sostengo ai settori in crisi. Di fronte a questo scenario, sicuramente poco confortante, l’interrogativo sul futuro dell’Italia e, in particolare, sul destino della sua macro-area più debole, il Mezzogiorno, si fa quanto mai insistente. Vedremo a luglio le valutazioni sulla crisi economica che la SVIMEZ farà scaturire dal “Rapporto sull’economia del Mezzogiorno”, la sua opera fondamentale, che raccoglie, ogni anno, i principali indicatori e gli andamenti dell’economia meridionale in numerosi settori chiave. Il focus di questa indagine riguarderà proprio la capacità del Mezzogiorno di affrontare, in un quadro comparativo globale, questi eventi estremamente sfavorevoli dal punto di vista strutturale, che rischiano di aggravarne per molti anni le condizioni e di allontanare sempre più una prospettiva di convergenza verso stadi di sviluppo avanzati. Tuttavia, la crisi economica permette anche una considerazione di altro tipo. Infatti, proprio a causa del suo divario, ma anche di alcune sue caratteristiche peculiari, il Mezzogiorno può giocare una partita significativa nei settori dell’economia legata a Internet e all’innovazione. L’open innovation è un termine coniato da Henry Chesbrough, per indicare un nuovo paradigma dell’innovazione industriale, ma, più in generale, una visione aggiornata della diffusione e gestione della conoscenza a livello globale. In un mondo sempre più aperto, grazie alla generalizzazione delle reti e delle connessioni in tempo reale, diventa possibile non solo la fruizione senza limitazioni delle fonti universali della conoscenza, ma anche l’avvio di un processo di partecipazione alla costruzione del sapere, che veda coinvolti contemporaneamente gli utenti di Internet, gli esperti e gli interessati ad una determinata tematica. In sintesi, quello che viene definito come crowdsourcing - una parola che non ha ancora un corrispettivo nella lingua italiana e che sta a indicare un modello di attività, nel quale un’azienda o un’istituzione richiede lo sviluppo di un progetto, di un servizio o di un prodotto ad un insieme decentrato di persone, attraverso lo strumento del web - rappresenta la frontiera più avanzata e, allo stesso tempo, semplice dello sviluppo dei collegamenti telematici. I creatori e i realizzatori di un’idea, di un’innovazione o anche di uno scambio di conoscenze non sono più un numero molto ristretto di ricercatori, chiusi in un ufficio aziendale, magari denominato di “ricerca e sviluppo”, ma diviene la popolazione di Internet, ovvero le competenze e i cervelli diffusi su territori reali molto ampi, che nel sistema virtuale possono essere facilmente raccolti, connessi tra loro e messi in grado di interagire per la soluzione di problemi o, quanto meno, per la loro individuazione. Il Mezzogiorno, in questo nuovo e sempre più vasto contesto, può fare di alcuni punti strutturali di debolezza - come la mancanza di una capitalizzazione e di un sistema di imprese adeguati o la frammentazione del mercato - e di alcuni elementi caratterizzanti di vantaggio - come la presenza di creatività e talenti diffusi, soprattutto tra i giovani - le premesse essenziali per un cambio di passo. Infatti, in una situazione di crisi, che determinerà inevitabilmente una profonda trasformazione degli assetti economici, è possibile cogliere l’occasione, forse unica, per realizzare un’innovazione dal basso (bottom up, come si dice). Se, allo stato, vi è poco da sperare in nuove politiche di tipo macroeconomico, in grado di spingere le regioni meridionali verso una fase di ripresa e al graduale recupero del divario, tuttavia, la “nuova frontiera” del Sud potrebbe essere costituita proprio dal dispiegamento dell’economia della rete e della conoscenza. Il momento è quello attuale, sia perché vi sono condizioni favorevoli per l’avvio di iniziative di valorizzazione dei saperi e delle competenze meridionali, sia perché il progressivo superamento del mercato di massa e l’affermazione sempre più palpabile di un’economia della “coda lunga” - ovvero, la crescita di un sistema basato su un’insieme di mercati di piccole dimensioni - può permettere anche agli svantaggi delle aree meridionali di convertirsi in opportunità e benefici. Si tratta di puntare alla realizzazione di un’aggregazione delle capacità creative, degli ingegni e delle conoscenze del Mezzogiorno, che sia in grado di portare a sistema una delle caratteristiche peculiari e, finora, disperse di questa parte del paese. In questo modo, le esigenze di acquisizione del sapere, all’interno della produzione, nelle istituzioni e, perfino, a livello individuale, potrebbero trovare una potente connessione e un moltiplicatore di convenienze, smuovendo il Sud dal torpore e facendolo tornare protagonista del suo destino.
Amedeo Lepore, 18 maggio 2009
Amedeo Lepore, 18 maggio 2009
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