martedì, maggio 06, 2008

Acli: una ricetta per il PD da Luigi Bobba

23° CONGRESSO NAZIONALE DELLE ACLI (Roma, 3 maggio 2008). INTERVENTO DELL'ON. LUIGI BOBBA.


C’è un punto nella bella relazione di Andrea Olivero che mi sollecita a prendere parola per dare un contributo a questa grande associazione, capace ancora di generare opere e presenza, ma anche legami, amicizie e valori in cui credere e da trasmettere a chi viene dopo di noi.
Il punto è quello dove il presidente si domanda – e l’interrogativo non è affatto retorico –se la scelta dell’autonomia,scelta chiave per l’identità e il ruolo delle ACLI, “non abbia al contempo generato degli” effetti collaterali” e se con il tempo non si sia creato uno scollamento tra le Acli- esperienza privilegiata di azione sociale- e la politica. Da troppo tempo l’incontro tra le Acli e la politica è saltuario e occasionale. Ci siamo preoccupati di salvare noi stessi,evitando di immergerci in acque che apparivano poco sicure. Forse era un bene,ma la stagione è cambiata.”
Non saprei dire meglio un pensiero che condivido pienamente e dentro al quale c’è insieme una lunga continuità e un’innovazione. La continuità è in quello straordinario intreccio che il fondatore- Achille Grandi- incarna nella sua persona. Leader sindacale, fondatore delle Acli e insieme vicepresidente dell’Assemblea Costituente. Azione sociale,sindacale e politica riassunte in un’unica esperienza di vita nonché in una coerente testimonianza di fede.
Ma anche di innovazione, perché proprio questo tempo chiede all’associazione di osare oltre il proprio vissuto, di accompagnare una mutazione che è già nelle cose e per la quale non siamo ancora riusciti a dare una forma compiuta. Una forma che Olivero evoca nella nascita di una Fondazione intitolata ad Achille Grandi e schierata per il bene comune. Penso che questo sia uno dei passaggi cruciali della relazione nonché una delle migrazioni da compiere dal ‘9oo, evitando che le ombre lunghe della stagione delle ideologie continuino ad imprigionare i nostri passi dentro sentieri che non incontrano più il sentire del tempo.
C’è un dato che accomuna i principali cambiamenti politici degli ultimi anni: sono apparsi come sorprese, spesso sgradite. Così è accaduto nel 2005 con il risultato del referendum sulla fecondazione assistita; nel 2007 con la rimonta di Berlusconi; nel 2008 con il ritorno della Lega
Tonnellate di sondaggi e centinaia di editoriali non hanno saputo cogliere ciò che andava cambiando nei sentimenti profondi del Paese.
E’ come se ci fosse ormai una frattura profonda tra opinione pubblica e Paese reale,tra rappresentazione e rappresentanza,tra il sentire dei cittadini e le risposte delle istituzioni.
E ’questa la stagione cambiata di cui parla Olivero. E’ lì che nasce l’urgenza di un nuovo compito.
Questa frattura interroga a fondo, seppur in una prospettiva diversa, anche chi, come me ha scelto di fare politica dentro il Partito Democratico. Anche per il PD viene il tempo, non dei lunghi coltelli per dividersi le spoglie di un risultato elettorale insoddisfacente, ma della chiarezza dell’identità, della semplicità della proposta e del radicamento territoriale.
Mentre solo ciò che accade nelle grandi aree urbane sembra essere degno di entrare nei Tg, è la “provincia” quella che ha deciso il risultato di queste elezioni. E’ la infinita provincia italiana, invisibile ma reale, dove vivono più dei due terzi degli italiani,che ha creato le sorprese che prima ricordavo. E poi, mentre gli illuminati professori dello staff di Visco ridisegnavano aliquote,deduzioni,detrazioni e assegni familiari rivoluzionando il sistema fiscale, giungeva a compimento una imponente ridistribuzione del reddito a sfavore dei lavoratori dipendenti, in particolar modo per i lavoratori manuali e le famiglie con un solo reddito
Loro, i professori, spiegavano con astrusi diagrammi sul Sole24ore le loro riforme; ai lavoratori bastava semplicemente leggere l’ultima riga della busta paga o andare al mattino al mercato.
Ancora, le famiglie. Quei 10 milione di famiglie con figli minori e quasi quattro con anziani non del tutto autosufficienti. Loro , le famiglie italiane lanciano un segnale forte ,inequivocabile –il Family day- ma il segnale non viene raccolto e le famiglie restano senza rappresentanza. Non è un caso che uno studio recentissimo del Censis dica che coloro che ritengono le famiglie meritevoli di un particolare sostegno da parte delle istituzioni, sia passato ,dalle scorse elezioni ad oggi,dal 51% al 72%.
E, infine, i credenti quel terzo di italiani che si dichiara praticante e che è variamente impegnato nelle associazioni e nella vita della chiesa. Molti di questi erano stati positivamente colpiti dalla novità di Veltroni. Lo stile pacato del leader, la scelta di correre da soli, la proposta di un programma credibile avevano fatto breccia. Ma l’ affrettata alleanza con i radicali ha fatto appassire quel potenziale che Veltroni ben rappresentava e che ,poi, non si è tradotto in un voto nell’urna elettorale.
Ho indicato quattro snodi critici – la provincia italiana,il lavoro manuale,le famiglie, i cattolici praticanti – che sono decisivi per chiunque ambisca a governare il Paese. Dunque anche per
il PD. Ma sono importanti anche per le Acli. Un ‘organizzazione particolarmente insediata nella “provincia” italiana; che si alimenta dalla radice del lavoro; che guarda alla famiglia con occhi attenti e nuovi – la cittadinanza familiare e il Punto Famiglia proposti da Olivero; che riflette continuamente su ciò accade nel mondo dei credenti perché si sente parte integrante della chiesa che è in Italia.
Dunque le Acli sono nelle condizioni di poter affrontare il nuovo compito, che il Presidente ha delineato, non in modo astratto o velleitario, ma concreto e realistico. E svolgere un servizio che può diventare più grande di come oggi appare.
Alla paura, alla chiusura, ai muri noi continuiamo ad opporre la speranza,l’apertura ,i ponti.Se il discrimine tra destra e sinistra non è più cosi chiaro, il discrimine tra chi sceglie non di alzare muri, ma di costruire ponti è netto e limpido. E capace di costituire il nucleo di un’ identità sociale.
Forse anche politica. Non bisogna avere fretta, non bisogna lasciarsi sopraffare dalle contingenze. Bisogna credere in una prospettiva.
Bisogna avere l’audacia della speranza.

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