Raffaele Cantone da Il Mattino
Leggendo i quotidiani in edicola ieri balzano subito all'occhio due notizie. La prima riguarda un attentato avvenuto in Calabria, nella zona di Gioia Tauro, dove un noto imprenditore, che aveva avuto ruoli dirigenziali nella squadra di calcio del Catanzaro e che sembra avesse legami anche di parentela con esponenti di una cosca locale è stato fatto segno di un attentato con modalità peculiari; non appena si è avvicinato alla sua auto qualcuno, da lontano, ha azionato con il telecomando una carica di esplosivo posizionata sotto il paraurti. L'uomo è stato letteralmente dilaniato; è stata necessaria l'amputazione di entrambe le gambe e di un braccio ma i medici ritengono scarsissime le possibilità di salvarlo. Non sembra che l'uomo vivesse particolarmente blindato; è stato colpito mentre da solo saliva sull’auto parcheggiata per strada. Non bisogna certo essere un intenditore di cose di mafia per capire che il ricorso a un metodo «libanese» ha una ragione simbolica; è una manifestazione eclatante di potenza e di sfida non solo verso le cosche rivali ma soprattutto verso lo Stato. L'altro episodio pure è avvenuto in Calabria; nell'ufficio di uno dei magistrati più esperti della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, titolare di indagini importantissime tra cui quella sulla strage di Duisburg e anche autore di una saggio sulla Ndrangheta, «Fratelli di sangue», che ha spiegato all'Italia le logiche di questa organizzazione delinquenziale non molto nota, è stata trovata una microspia.
Ci sarebbe da ridere se il fatto non fosse, invece, drammatico; un p.m. che per lavoro intercetta viene egli stesso sottoposto a controllo. La vicenda assume toni ancora più inquietanti se si aggiunge che la tipologia di microspia trovata e sequestrata poteva trasmettere in un raggio alquanto breve, il che significa che vi era qualcuno che, all'interno dello stesso ufficio, seguiva le mosse del magistrato antimafia. E appare del tutto probabile che l'entità che aveva interesse a seguire l'attività del magistrato fosse proprio la Ndrangheta. Il primo commento è spontaneo: una stagione che sembrava superata definitivamente e cioè quella delle stragi e dei veleni negli uffici giudiziari e che aveva caratterizzato un momento drammatico della lotta alla mafia siciliana potrebbe ritornare. Ma vi è un'altra considerazione che si impone; la lettura congiunta dei due eventi dimostra in modo inequivoco e senza tema di smentite che esistono in Italia intere zone in cui il controllo del territorio non appartiene allo Stato ma alle organizzazioni criminali, tanto potenti da non avere remora rispetto a qualsivoglia tipo di azione. Se la Calabria, del resto, vive una situazione dal punto di vista criminale drammatica, non molto meglio stanno le altre regioni infestate da fenomeni criminali similari. Per la Campania basta ricordare quanto visto l'altro giorno nel corso della trasmissione «Anno Zero» sulla forza economica e militare di alcuni clan e quanto detto dal coordinatore della Dda partenopea, Franco Roberti, che ritiene, persino, possibili derive stragiste della camorra contro esponenti istituzionali. In Sicilia, dove regna la pax mafiosa, c'è qualcuno che si è preso la briga di effigiare, su molti muri dell'isola, il volto del superlatitante Matteo Messina Denaro quasi si trattasse di un'icona sacra; anche questa è una patente sfida alle istituzioni. Di questa eclatante emergenza che riguarda quasi mezza penisola e che sempre più si innerva come una purulenta metastasi in zone in passato ritenute sanissime dell'Italia centro settentrionale, ci si interessa, però, pochissimo. I provvedimenti sulla sicurezza di cui si discute in questi giorni non se ne occupano affatto; è clamoroso vedere come una parte dell'Italia si preoccupi di lavavetri, graffitari, immigrati clandestini che vendono prodotti contraffatti, del piccolo spaccio e invochi contro questi fenomeni misure draconiane e nulla, o quasi, dice di ciò che avviene ogni giorno in una parte della penisola e non certo per opera di soggetti marginali ma di uomini che hanno la disponibilità di ingenti somme di denaro, controllano le istituzioni pubbliche, le attività imprenditoriali non solo locali e operano senza alcun timore dell'autorità statale. È da folli pensare che il federalismo prossimo futuro, che si intende estendere anche alla sicurezza, potrà avere come drammatico effetto il definitivo abbandono delle regioni del Sud al loro destino, preoccupandosi di «blindare» soltanto l'apparente sicurezza dei cittadini dell'Italia opulenta? Attendiamo con fiducia una smentita ferma, con i fatti, di questo che è certamente soltanto un malevolo sospetto.
Raffaele Cantone
Leggendo i quotidiani in edicola ieri balzano subito all'occhio due notizie. La prima riguarda un attentato avvenuto in Calabria, nella zona di Gioia Tauro, dove un noto imprenditore, che aveva avuto ruoli dirigenziali nella squadra di calcio del Catanzaro e che sembra avesse legami anche di parentela con esponenti di una cosca locale è stato fatto segno di un attentato con modalità peculiari; non appena si è avvicinato alla sua auto qualcuno, da lontano, ha azionato con il telecomando una carica di esplosivo posizionata sotto il paraurti. L'uomo è stato letteralmente dilaniato; è stata necessaria l'amputazione di entrambe le gambe e di un braccio ma i medici ritengono scarsissime le possibilità di salvarlo. Non sembra che l'uomo vivesse particolarmente blindato; è stato colpito mentre da solo saliva sull’auto parcheggiata per strada. Non bisogna certo essere un intenditore di cose di mafia per capire che il ricorso a un metodo «libanese» ha una ragione simbolica; è una manifestazione eclatante di potenza e di sfida non solo verso le cosche rivali ma soprattutto verso lo Stato. L'altro episodio pure è avvenuto in Calabria; nell'ufficio di uno dei magistrati più esperti della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, titolare di indagini importantissime tra cui quella sulla strage di Duisburg e anche autore di una saggio sulla Ndrangheta, «Fratelli di sangue», che ha spiegato all'Italia le logiche di questa organizzazione delinquenziale non molto nota, è stata trovata una microspia.
Ci sarebbe da ridere se il fatto non fosse, invece, drammatico; un p.m. che per lavoro intercetta viene egli stesso sottoposto a controllo. La vicenda assume toni ancora più inquietanti se si aggiunge che la tipologia di microspia trovata e sequestrata poteva trasmettere in un raggio alquanto breve, il che significa che vi era qualcuno che, all'interno dello stesso ufficio, seguiva le mosse del magistrato antimafia. E appare del tutto probabile che l'entità che aveva interesse a seguire l'attività del magistrato fosse proprio la Ndrangheta. Il primo commento è spontaneo: una stagione che sembrava superata definitivamente e cioè quella delle stragi e dei veleni negli uffici giudiziari e che aveva caratterizzato un momento drammatico della lotta alla mafia siciliana potrebbe ritornare. Ma vi è un'altra considerazione che si impone; la lettura congiunta dei due eventi dimostra in modo inequivoco e senza tema di smentite che esistono in Italia intere zone in cui il controllo del territorio non appartiene allo Stato ma alle organizzazioni criminali, tanto potenti da non avere remora rispetto a qualsivoglia tipo di azione. Se la Calabria, del resto, vive una situazione dal punto di vista criminale drammatica, non molto meglio stanno le altre regioni infestate da fenomeni criminali similari. Per la Campania basta ricordare quanto visto l'altro giorno nel corso della trasmissione «Anno Zero» sulla forza economica e militare di alcuni clan e quanto detto dal coordinatore della Dda partenopea, Franco Roberti, che ritiene, persino, possibili derive stragiste della camorra contro esponenti istituzionali. In Sicilia, dove regna la pax mafiosa, c'è qualcuno che si è preso la briga di effigiare, su molti muri dell'isola, il volto del superlatitante Matteo Messina Denaro quasi si trattasse di un'icona sacra; anche questa è una patente sfida alle istituzioni. Di questa eclatante emergenza che riguarda quasi mezza penisola e che sempre più si innerva come una purulenta metastasi in zone in passato ritenute sanissime dell'Italia centro settentrionale, ci si interessa, però, pochissimo. I provvedimenti sulla sicurezza di cui si discute in questi giorni non se ne occupano affatto; è clamoroso vedere come una parte dell'Italia si preoccupi di lavavetri, graffitari, immigrati clandestini che vendono prodotti contraffatti, del piccolo spaccio e invochi contro questi fenomeni misure draconiane e nulla, o quasi, dice di ciò che avviene ogni giorno in una parte della penisola e non certo per opera di soggetti marginali ma di uomini che hanno la disponibilità di ingenti somme di denaro, controllano le istituzioni pubbliche, le attività imprenditoriali non solo locali e operano senza alcun timore dell'autorità statale. È da folli pensare che il federalismo prossimo futuro, che si intende estendere anche alla sicurezza, potrà avere come drammatico effetto il definitivo abbandono delle regioni del Sud al loro destino, preoccupandosi di «blindare» soltanto l'apparente sicurezza dei cittadini dell'Italia opulenta? Attendiamo con fiducia una smentita ferma, con i fatti, di questo che è certamente soltanto un malevolo sospetto.
Raffaele Cantone
3 commenti:
gran bell'articolo e giusta analisi buona giornata
grazie,ma napoli è napoli stamani mi sono vista 3 tube su napoli una delizia, buona giornata
mi dispiace essere pure straniero nella terra dove sono nato.MAFIA?CAMMORA?TRANGHITA?ETA?
BIN LADEN?
PECCATO CHE NON SONO CAPACE DI APRIRMI UN BLOG.TENGO TANTA VOGLIA DI FARVI CAPIRE DI PIU.
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