giovedì, aprile 03, 2008

Perché i ragazzi non amano la scienza

Perché i ragazzi non amano la scienza

Alessandro Giuliani - 02/04/2008

Uno dei luoghi comuni più pervicaci, che troviamo ripetuto in varie salse e forme nei mezzi di comunicazione e nei proclami delle agenzie internazionali, è quello della crescente disaffezione di giovani dei paesi occidentali per le materie scientifiche.

In Italia questo fenomeno è accompagnato da sconfortanti statistiche sullo scarsissimo punteggio ottenuto dai giovani delle scuole superiori nei test che saggiano la loro preparazione in ‘materie scientifiche’.

Questo fenomeno di progressiva disaffezione per le scienze si accompagna alla crescente occupazione dei posti di ricercatore nelle università americane di giovani provenienti da paesi emergenti come l’ India, la Cina e soprattutto Singapore che tra l’altro risulta sempre al primo posto per l’abilità matematica dei suoi studenti. Le risposte che si cercano di dare a questo problema (che comunque come vedremo è difficilmente considerabile come un fenomeno unitario) sono le più varie e vanno da una piuttosto vacua spettacolarizzazione della scienza (festival della matematica e delle scienze, musei della scienza..) all’ abbattimento delle tasse universitarie nelle facoltà scientifiche, alla costruzione di comitati ad hoc della Unione Europea per ricucire il rapporto tra scienza e società e per migliorare l’immagine della scienza (e degli scienziati) nella popolazione.

Credo che l’unico modo onesto di parlare di questo problema sia quello di rifuggire da banalità del tipo ‘l’ Italia non ha mai avuto una solida tradizione scientifica a causa della sua cultura idealista di stampo Crociano’ o ancora peggio ‘per colpa della tradizione Cattolica’. Si tratta di cose assolutamente false per vari ed evidenti motivi, primo fra tutti il semplice fatto che questa disaffezione è fenomeno di questi ultimi dieci anni, e quindi difficilmente ascrivibile a tradizioni di lunga storia, per non parlare poi del fatto che gli scienziati italiani sono unanimemente stimati e rispettati in tutto il mondo e che la tradizione Cattolica (in special modo con le scuole dei gesuiti) ha sempre dato alla formazione scientifica un posto preminente (molto maggiore di quello a lei assegnato nella scuola laica). Il problema comunque esiste e non è di poco conto, vale per questo sicuramente la pena di affrontarlo con serietà. Intanto iniziamo dalle definizioni, siamo sicuri di sapere di cosa stiamo parlando quando parliamo di ‘materie scientifiche’ ? E’ lecito accomunarle sotto un'unica denominazione e quindi implicitamente considerare che le abilità utili ad un giovane che si iscrive al corso di laurea in matematica siano assimilabili a quelle che spingono un altro a voler intraprendere lo studio della biologia oppure ad iscriversi ad ingegneria ?

La mia risposta è ‘sicuramente no’, si tratta di studi differenti, che implicano abilità e sensibilità molto diverse fra di loro, anzi (parlo per esperienza personale) chi nutrisse (come accadde a me) delle velleità transdisciplinari deve lottare molto e scegliere dei sentieri eterodossi di solito osteggiati dal mondo accademico per costruirsi un curriculum scientifico ‘generalista’ rinunciando alla specializzazione estrema a favore di uno sguardo più ampio. A quasi cinquanta anni devo dire che la scelta ‘generalista’ mi ha molto favorito nel lavoro ma a venti anni la cosa non era altrettanto chiara e questa via mi è stata resa possibile paradossalmente dalla grande confusione che regnava nel remoto 1977 nell’ Università ‘La Sapienza’ e non senza opposizioni da parte della maggioranza del corpo docente.

Non è facile cercare un denominatore comune che renda plausibile la categorizzazione ‘materia scientifica’ : immaginare che le facoltà scientifiche siano quelle ‘dove si studia molta matematica’ è una palese assurdità, il grado di sofisticazione matematica del 90% dei biologi è sicuramente inferiore a quello di un buon liceo scientifico, a medicina (ma medicina è una facoltà scientifica ? Alcuni direbbero di sì, altri di no) la matematica proprio non si studia, laddove un economista ha nel suo curriculum dosi di matematica sicuramente maggiori di quelle di un biologo e paragonabili a quelle di un laureato in chimica (anche se di una matematica di tipo molto diverso). D’altro canto la matematica ‘pura’ (aldilà dei proclami scritti sui manifesti dei festival) non è una scienza ma un insieme di metodiche ed una forma mentis che in molti problemi scientifici risulta di grande aiuto, ma il suo stesso carattere deduttivo (date certe premesse un ragionamento corretto porta a delle conseguenze uniche e necessarie, l’intero processo avviene all’interno di un universo di simboli con nessuna relazione obbligatoria con il mondo esterno) la rende molto diversa dallo schema base della scienza che è essenzialmente induttivo (una serie di osservazioni sul mondo esterno, apparentemente eterogenee , vengono riunite in un modello approssimato che le riassume in maniera plausibile, fermo restando che il modello resta per definizione falsificabile e superabile da ulteriori osservazioni). Ma allora di che cosa stiamo parlando ?

In realtà rimane assolutamente lecito parlare in modo unitario di scienza se consideriamo tre dimensioni fondamentali, comuni a tutte le discipline, del ‘mestiere di scienziato’:

a) La dimensione ‘ludica’ ed anarchica.

b) Lo sforzo collettivo.

c) Il primato della cultura materiale sulla cultura togata.

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