Ha ragione Mario Di Costanzo a proposito dei cattolici che a Napoli affrontano concretamente i problemi della città con riflessioni, proposte e azioni concrete.
Tanto più dovremmo riflettere in generale sulla complessiva politicità del sociale che, a ben guardare, è l’unica speranza per una rigenerazione della partecipazione civile a Napoli e in Campania dove la transizione in atto non può essere affidata solo ad un rimescolamento del ceto politico. Immaginare cioè che basta espellere dal campo De Mita, Mastella e Bassolino per continuare lo stesso gioco è francamente insoddisfacente. Non serve far avanzare le seconde file, non bastano gli scatti automatici di carriera che pure nel pubblico impiego sono superati.
Serve piuttosto utilizzare un anno per favorire una vera e propria rinascita del dibattito politico a partire dalle esigenze della città, censendo le mille esperienze positive che sono in atto e spingendole ad un passo avanti nella responsabilità pubblica.
In genere nei momenti di crisi c'è la tentazione di distinguersi, di appartarsi, di aspettare tempi migliori per evitare di contaminarsi. E' necessario il contrario affrontando i problemi aprendo un dialogo a tutto campo. La porta della politica però, deve spalancarsi e non ancora è così. Lo vediamo nella composizione delle liste e nella definizione dei percorsi.
L’emergenza rifiuti spinge molti a chiedere un corto circuito. Io credo che una riflessione collettiva sia indispensabile in una fase in cui è opportuno costruire il futuro su basi solide. In questo senso è segno di responsabilità garantire la gestione dell’emergenza tenendo in vita le istituzioni locali che i cittadini hanno scelto. Emergenza e prospettiva vanno coniugate evitando di pensare che la situazione del problema sia il commissariamento generale. Dai rifiuti, agli enti locali, all’economia.
Del resto i nostri problemi vanno purtroppo oltre l’emergenza rifiuti e il fuggi fuggi generale metterebbe in crisi lo stesso ordine pubblico insieme alla programmazione dei fondi comunitari in corso.
Giustamente Di Costanzo cita il Cardinale che afferma : «Senza indulgere al lamento o al vittimismo, senza aspettare che altri prendano a cuore le sorti del Sud (...) è tempo che i napoletani si riapproprino della loro terra... Abbiamo le energie per farlo!» (Il sangue e la speranza, 19 settembre 2006). Ebbene sarebbe miope non notare che sono nati cento fiori di partecipazione matura e responsabile: dai comuni ricicloni, alla diffusa esperienza della cooperazione sociale oggi stretta nella morsa di un welfare residuale, all’associazionismo di promozione sociale che tiene aperte migliaia di sedi come presidi di educazione civica e popolare senza dimenticare il lavoro quotidiano di centinaia di parrocchie.
A Napoli e in Campania dovremmo riflettere sullo stesso concetto di società civile su cui spesso si è equivocato. C’è un’idea di società civile fatta da singoli (intellettuali, imprenditori, professionisti) che di volta in volta vengono cooptati o espulsi dal ceto politico per motivi di consenso o interesse.
Io tornei a valorizzare i corpi intermedi della nostra società, quei soggetti organizzati in grado di esprimere con continuità un ruolo determinante di coesione sociale oggi messo in crisi dalla perdita di peso della politica.
Un anno fa le ACLI di Napoli proponevano una pista di lavoro sintetizzata nel trittico: Legami associativi, risorse territoriali, classe dirigente diffusa; lo riproponiamo venerdì con un congresso regionale preparato da duecento assemblee di base e cinque congressi provinciali che hanno coinvolto i circa cinquantamila soci campani.
Si può fare anche in Campania, cambiando mentalità e costruendo il futuro abitando responsabilmente il presente.
Tanto più dovremmo riflettere in generale sulla complessiva politicità del sociale che, a ben guardare, è l’unica speranza per una rigenerazione della partecipazione civile a Napoli e in Campania dove la transizione in atto non può essere affidata solo ad un rimescolamento del ceto politico. Immaginare cioè che basta espellere dal campo De Mita, Mastella e Bassolino per continuare lo stesso gioco è francamente insoddisfacente. Non serve far avanzare le seconde file, non bastano gli scatti automatici di carriera che pure nel pubblico impiego sono superati.
Serve piuttosto utilizzare un anno per favorire una vera e propria rinascita del dibattito politico a partire dalle esigenze della città, censendo le mille esperienze positive che sono in atto e spingendole ad un passo avanti nella responsabilità pubblica.
In genere nei momenti di crisi c'è la tentazione di distinguersi, di appartarsi, di aspettare tempi migliori per evitare di contaminarsi. E' necessario il contrario affrontando i problemi aprendo un dialogo a tutto campo. La porta della politica però, deve spalancarsi e non ancora è così. Lo vediamo nella composizione delle liste e nella definizione dei percorsi.
L’emergenza rifiuti spinge molti a chiedere un corto circuito. Io credo che una riflessione collettiva sia indispensabile in una fase in cui è opportuno costruire il futuro su basi solide. In questo senso è segno di responsabilità garantire la gestione dell’emergenza tenendo in vita le istituzioni locali che i cittadini hanno scelto. Emergenza e prospettiva vanno coniugate evitando di pensare che la situazione del problema sia il commissariamento generale. Dai rifiuti, agli enti locali, all’economia.
Del resto i nostri problemi vanno purtroppo oltre l’emergenza rifiuti e il fuggi fuggi generale metterebbe in crisi lo stesso ordine pubblico insieme alla programmazione dei fondi comunitari in corso.
Giustamente Di Costanzo cita il Cardinale che afferma : «Senza indulgere al lamento o al vittimismo, senza aspettare che altri prendano a cuore le sorti del Sud (...) è tempo che i napoletani si riapproprino della loro terra... Abbiamo le energie per farlo!» (Il sangue e la speranza, 19 settembre 2006). Ebbene sarebbe miope non notare che sono nati cento fiori di partecipazione matura e responsabile: dai comuni ricicloni, alla diffusa esperienza della cooperazione sociale oggi stretta nella morsa di un welfare residuale, all’associazionismo di promozione sociale che tiene aperte migliaia di sedi come presidi di educazione civica e popolare senza dimenticare il lavoro quotidiano di centinaia di parrocchie.
A Napoli e in Campania dovremmo riflettere sullo stesso concetto di società civile su cui spesso si è equivocato. C’è un’idea di società civile fatta da singoli (intellettuali, imprenditori, professionisti) che di volta in volta vengono cooptati o espulsi dal ceto politico per motivi di consenso o interesse.
Io tornei a valorizzare i corpi intermedi della nostra società, quei soggetti organizzati in grado di esprimere con continuità un ruolo determinante di coesione sociale oggi messo in crisi dalla perdita di peso della politica.
Un anno fa le ACLI di Napoli proponevano una pista di lavoro sintetizzata nel trittico: Legami associativi, risorse territoriali, classe dirigente diffusa; lo riproponiamo venerdì con un congresso regionale preparato da duecento assemblee di base e cinque congressi provinciali che hanno coinvolto i circa cinquantamila soci campani.
Si può fare anche in Campania, cambiando mentalità e costruendo il futuro abitando responsabilmente il presente.
Iniziativa ACLI Campania: Venerdì 14 marzo dalle 9,30 alle 19,30 presso l'Hotel Ramada di Napoli
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