NEW YORK - L'inizio della fine dello 'Stato che uccide' è scattato alle 11:45 ora di New York: sui tabelloni gemelli dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite 104 pallini verdi hanno segnato la vittoria della risoluzione sulla moratoria universale della pena di morte. "Un successo superiore alle aspettative", ha commentato il ministro degli Esteri Massimo D'Alema arrivato nella notte a New York e che ha partecipato al voto. In novembre, quando la moratoria era stata approvata in Terza Commissione, i sì erano stati 99 su 192 Paesi dell'Onu: sono entrati oggi nel 'club anti-pena di morte' Congo Brazzaville, Kiribati, Palau, Nauru e Madagascar. Ai 104 sì hanno fatto riscontro 54 no e 29 astensioni (i no erano stati 52 il 15 novembre, le astensioni 33).
Il successo è stata una vittoria per l'Italia in una grande battaglia di civiltà:
"Una decisione coraggiosa della comunità internazionale", ha reso omaggio al risultato il segretario generale Ban Ki-moon che la risoluzione incarica di far rapporto tra un anno all'Assemblea Generale. Un rapporto dal forte peso morale e dalle implicazioni concrete perché - ha commentato D'Alema - punterà i riflettori sul tema della pena di morte "facendo diventare la moratoria un tema assunto da una organizzazione internazionale quale l'Onu".
Secondo Ban il voto sulla moratoria "é un altro segno di una tendenza verso l'abolizione, alla fine, della pena di morte", anche a causa del sostegno espresso per l'iniziativa "da parte di tante regioni del mondo". Perfino gli Stati Uniti, fino a pochi mesi fa decisamente anti-abolizione, ci stanno ripensando: proprio ieri il New Jersey ha approvato per legge la fine delle esecuzioni. Il voto di oggi segna il superamento di un tabù politico: due volte in passato, sempre su input italiano, una risoluzione sulla pena di morte era approdata al Palazzo di Vetro e per due volte era finita su un binario morto.
Stavolta, dopo il voto del 15 novembre in Terza Commissione, non c'erano dubbi sul fatto che il testo sarebbe stato approvato dall'Assemblea: quando hanno aperto bocca in Aula oggi, per esprimere il loro dissenso, i rappresentanti delle isole caraibiche di Antigua e Barbados, di Singapore e della Nigeria, hanno parlato con la voce degli sconfitti. Il 18 dicembre passerà agli annali delle campagne contro la pena di morte come uno spartiacque: "Un voto di significato storico", ha detto D'Alema che in una conferenza stampa presso la missione italiana all'Onu ha indossato il nastrino di Nessuno Tocchi Caino che il campione olimpico Stefano Baldini aveva portato in novembre al traguardo della maratona di New York. Alla missione italiana è arrivato il tabulato del risultato del voto: i diplomatici italiani che hanno guidato a tutto campo la campagna affiancati da Nuova Zelanda, Francia, Messico, Brasile e alcuni Paesi africani hanno salutato con soddisfazione spostamenti come quello del Malawi dal partito del no a quello delle astensioni. "Alcune astensioni adesso potrebbero diventare sì", ha auspicato l'ambasciatore Marcello Spatafora che ha coordinato al Palazzo di Vetro il successo dell'iniziativa. Nessuno ha intenzione di riposare sugli allori: Sergio D'Elia, che ha partecipato alla conferenza stampa per Nessuno Tocchi Caino, ha guardato ai prossimi mesi come mesi di mobilitazione per arrivare al prossimo rapporto di Ban Ki-moon "con una serie di risultati positivi sul fronte delle moratorie e delle abolizioni".
La vittoria corona una campagna costruita su un lavoro a tappeto per creare una coalizione maggioritaria che ha tra Paesi in ogni area geografica: "In Nuova Zelanda il primo ministro Helen Clark ne ha fatto una priorità della politica estera del suo governo", ha detto il sottosegretario agli esteri Gianni Vernetti, notando anche che in Asia Centrale cinque repubbliche ex Urss - tutti Paesi islamici - hanno fatto del no ala pena di morte un fiore di democratizzazione". Al successo della risoluzione ha contribuito il fatto che nelle ultime settimane il partito del no si è sfaldato: se Singapore è ancora visceralmente pro-esecuzioni, la posizione dell'Egitto è più moderata. Il Cairo non ha preso la parola nel breve dibattito che ha preceduto il voto e c'é chi non esclude che il prossimo anno, quando l'Assemblea generale tornerà a contarsi sulla moratoria, gli egiziani potrebbero smarcarsi.
di Alessandra Baldini
Il testo della risoluzione al voto
La lunga battaglia per la moratoria
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