giovedì, ottobre 11, 2007

Istat. In Italia 5 milioni e mezzo di ‘bamboccioni'

Stando ai dati diffusi dall'Istat, i "bamboccioni", per definirli alla maniera adottata dal ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa, in Italia sono circa 5,5 milioni. ll riferimento è ai giovani di età compresa tra i 20 e i 30 anni che vivono ancora in casa con i genitori. Essi rappresenterebbero il 69,7% del totale dei giovani della fascia di età presa come riferimento, mentre la quota di quanti riescono ad uscire di casa per crearsi una vita più o meno indipendente ammonterebbero al 30,3%, rappresentando così 2 milioni e 432 mila giovani.


Questi dati, comunicati dal presidente dell'Istat Luigi Biggeri, nel corso di un'audizione sulla Finanziaria in Senato, si riferiscono al 2005.


Il rapporto presentato dall'istituto di statistica non ha mancato di porre l'accento sulle oggettive difficoltà che impediscono ai giovani di affrancarsi dall'aiuto di mamma e papà, difficoltà tra le quali, neanche a dirlo, svetta la mancanza di lavoro, anche se il dato più interessante è che sono in 2 milioni e 900 mila quelli che, pur avendo un impiego, continuano a vivere con i genitori perché non riuscirebbero, dovendo magari pagare un affitto, arrivare all'ultima settimana del mese.


Di questi poco meno di 3 milioni di cittadini, circa 2 milioni percepiscono stipendi che non arrivano a 1000 euro, mentre il restante milione deve accontentarsi di cifre nell'ordine dei 500 euro mensili.

Il problema degli affitti, in realtà, è di più ampio respiro, riguardando il 32,4% delle famiglie con un figlio sotto i 30 anni a carico, contro un valore medio nazionale del 18,4%.


In ogni caso l'incidenza media del costo dell'abitazione incide sul nucleo famigliare per un terzo della spesa mensile, dato particolarmente gravoso nelle aree metropolitane.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Diciamo pure che ai giovani piace spendersi tutto lo stipendio in belle auto, telefonini, vestiti griffati e divertimenti vari. La maggior parte parassita i genitori senza portare a casa neanche un euro per le spese mensili. Dividiamo le colpe in equa parte. La maggior parte di questi giovani non sopravvivrebbero fuori dalla famiglia un solo giorno. Naturalmente ci sono le dovute eccezioni di quelli che hanno la testa sulle spalle e riescono a maturare la loro autonomia.

Anonimo ha detto...

Bamboccioni miei

di Vincenzo Cicala

Già nei primi anni settan! ta, a ridosso dell’apertura all’università di tutti i tipi di maturità, vi fu una crisi di appetibilità dei titoli di studio, che non davano più l’attesa promozione sociale a compenso dei sacrifici delle famiglie. Diplomi e lauree hanno subita una sempre maggiore dequalificazione. I tentativi di riforme hanno procurata una effettiva grave penalizzazione della preparazione degli studenti, con una forte strumentalizzazione e una accresciuta incidenza di privilegi e di spazi ed occasioni chiuse e riservate. La presidenza della Confedertecnica assume che “la magistratura, quando si tratta dell’università, sembra non intervenire con la sollecitudine dovuta”. Si propone sempre la Magistratura come deus ex machina della giustizia sociale, cosa manifestamente assurda perché essa non può che punire gli illeciti, ma la moralizzazione di un costume compete alla società, a chi la dirige perché legiferi ed amministri a vantaggio dei cittadini ed alla comunità perché controlli l’oper! a della classe dirigente, essa soggetta alla volontà popolare ! e non il popolo ad essa soggetto, oggi a rischio di essere trattato assai peggio della gleba medioevale.

Scrive Iaccarino (Orfani e figli di): “I concorsi sono acquisizione di valori non scritti, costruiti dall’interno, attraverso i vissuti professionali, le leadership e le pratiche informali di sopraffazione. Ne sono piene le storie della criminalità del Mezzogiorno: dalla camorra alla mafia, alla ‘ndrangheta,ma sono anche il presupposto delle moderne organizzazioni. Non è azzardato sostenere che lo stesso management nasce per garantire la riproduzione dei presupposti aziendali.” E più avanti:” Il problema è che si procede privatizzando la sfera pubblica, privilegiando canali primordiali di trasmissione dei saperi ai danni di quelli impersonali e potenzialmente aperti a tutti”.

A metà tra l’ingenuo e la pervasione moralizzatrice la reazione di chi assume le normali e logiche linee processuali come capaci di riportare ordine e giustizia. Purtroppo non è così e non è il! grido di “Giustizia Giustizia!” che possa sanare un ambiente con una corruzione consolidata. Le tante denunzie provenienti dall’interno dello stesso mondo accademico, la sofferenza straziante e dolorosa di tante giovani menti, di così numerose genialità bloccate nella loro volontà di esprimersi e maturare, di avere un meritato successo, indicano senza possibilità di smentita che si tratta di una corruzione diffusa ed abituale. Fosse possibile sanare l’ambiente con la severità della giustizia, sarebbe facile ottenere, in generale, una società giusta ed equa- ammesso che la giustizia italiana fosse in condizione di essere tempestiva, dato che i tempi nella giustizia sociale contano in maniera essenziale.

L’esperienza italiana ha dimostrato il contrario perché la nazione non si è ancora ripresa da tangentopoli. Occorre, piuttosto,che alla classe dirigente si imponga finalmente la coscienza della necessità di una distribuzione equa e corretta delle risorse, la coscienz! a che questa società di dannati, che si sta costruendo, non gi! ova nean che ai privilegiati, neanche –si fa per dire- agli stessi pubblici amministratori, neanche – si fa per dire- ai capi dei tanti clan napoletani. La democrazia è – oggi – l’unica maniera di uscire da una situazione creata dalla crisi del comunismo e del populismo cattolico, che consente a tutti i prevaricatori di spadroneggiare in effetti senza efficacia di repressione. Se in Campania la torta delle risorse per più di un terzo è della camorra, per un altro terzo dei politici, per un altro ancora di persone ricche che moltiplicano gli averi con speculazioni che hanno scarsa valenza sociale, la riscossa può avvenire solo da una mobilitazione civica che si fondi su valori di un cattolicesimo napoletano che si proponga come fine di ridare una identità alle comunità campane.

Chi rischia di più oggi è la Chiesa, ma è la nostra unica possibilità. Sarebbe un’occasione felice se gli eredi della tradizione marxista si scrollassero del permissivismo radicale e del liberismo e! conomico,occasione di arricchimento per tanti loro dirigenti, esasperazione dell’autoreferenzialità fino ad adottare per le primarie la legge Acerbo nella versione di Calderoli. Sarebbe un’occasione felice se affiancassero a quella cattolica la loro opera scavando dalle antiche vestigia la voglia di spezzare le catene e di educare il popolo a vivere nella casa comune, con disciplina e con equità “un poco per tutti e non molto per i pochi dirigenti”. Dal Nuovo Catechismo parte 3° cap. II par. 406:” L’autorità è esercitata in modo legittimo quando agisce per il bene comune e per conseguirlo usa mezzi moralmente leciti. Perciò i regimi politici devono essere determinati dalla libera decisione dei cittadini e devono rispettare il principio dello Stato di Diritto, nel quale è sovrana la legge, e non la volontà arbitraria degli uomini. Le leggi ingiuste e ,le misure contrarie all’ordine morale non sono obbliganti per le coscienze.” (E’ a dire che se mettono un altro carrozzone p! er i RSU consolidando la catena Pubblica Amministrazione –sopr! affazion e- appalti- camorra, noi cattolici potremmo rifiutarci di pagare la sovrattassa).

E’ un fatto che, in questa società meridionale la democrazia deve nascere dal basso e dal basso devono nascere le indicazioni di riforme. Noi cittadini siamo le vittime della cattiva amministrazione e della malavita, in particolare maniera della corruzione del mondo universitario.
Infatti:
1) i nostri migliori figli, i più volenterosi, intelligenti e preparati ,vedono le loro vocazioni, i loro ideali, la loro fatica, i loro studi impediti ed annullati dalla corruzione del mondo universitario , di una turpitudine e di una nocività non inferiore a quella della malavita;
2) la nostra comunità non ha i frutti di progresso, di onorata affermazione in campo nazionale ed internazionale a causa della mancata valorizzazione della intelligenza dell’inventiva della genialità dei propri figli migliori;
3) il progresso nella scala sociale non avviene per meriti e capacità lec! ite, certificate da una adeguata preparazione ma attraverso la formazione di una borghesia mafiosa.

Da noi gli stessi ordini professionali non curano il contatto con i laureati né curano i rapporti tra liberi professionisti ed aziende pubbliche e private. Gli studi professionali sono chiusi in maniera ostinata e perversa al tirocinio dei nuovi laureati, tutelando per i loro parenti ed amici il privilegio dell’esercizio delle attività liberali.

Occorre una rivoluzione culturale cattolica, una applicazione sentita, efficace ed operante, della dottrina sociale cristiana, una emarginazione ed un esilio definitivo dall’esercizio delle dignità pubblica e dell’imprenditoria privata degli indegni, di chi si considera possessore assoluto e non sanzionabile degli averi suoi e di quelli altrui, di chi dedica la propria abilità professionale o commerciale ad un eccessivo profitto personale, esonerandosi da ogni considerazione di valenza sociale delle proprie ricch! ezze e capacità.

Quest’ anno quanti bamboccioni si sono! affacci ati sul mondo del lavoro e degli studi e della ricerca campani? Forse più di trentamila. L’azienda che ha offerto maggiori occasioni di lavoro è certo la camorra, in maniera diretta nel proprio organico, in maniera indiretta nel proprio indotto. Perché questo non avvenga più occorre aggregare le testimonianze omogenee e ridare la legittima rappresentanza alla voce popolare. Noi siamo terra di missione . Per la sopravvivenza abbiamo bisogno del Vangelo e della cacciata degli indegni dal contesto sociale.