giovedì, ottobre 11, 2007

Iran, fuoco nella polveriera

I rischi di conflitto Usa/Iran vanno letti nel contesto mediorientale
di Ruggero Orfei
Nel mondo si parla di guerra. In Italia non se ne parla: si preferisce il pettegolezzo, oppure ci si affoga in una sottospecie di politica interna, per la quale dovremo pagare un conto salato. Sebbene il ministro francese Kouchner ne abbia parlato di recente come di un’eventualità concreta.

Il nemico da battere è l’Iran che non vuole rinunciare all’arma nucleare. Le sanzioni finora comminate a Teheran non sembrano avere scosso i dirigenti iraniani, i quali sostengono di lavorare solo per il nucleare civile.

Secondo il direttore generale dell’Aiea, El Baradei, il problema non c’è nei termini espressi dalla propaganda statunitense, più o meno come era il caso dell’Iraq, e se ci fosse non sarebbe grave. Non basta avere una bomba nucleare – che ancora gli iraniani non hanno – per terrorizzare il mondo. Un mondo dove la proliferazione nucleare è un’ovvietà. Usa, Russia, Gran Bretagna, Francia, Israele, Pakistan, India, Cina dispongono della bomba. Molti hanno acquisito le loro tecnologie dall’Occidente in tranquillità. L’accanimento contro l’Iran non ha spiegazioni tecnico-militari, perché nelle nuove strategie non conta sparare la prima bomba, ma la seconda, quella dell’immediata ritorsione.

Il pericolo iraniano viene sollevato per fare pressione sui governanti di Teheran che sanno benissimo che l’insuccesso americano in Iraq va a loro vantaggio. Gli iraniani sanno che gli Usa non avrebbero truppe proprie e che gli alleati non marcerebbero da soli, anche se fossero convinti.

Possono esserci le sanzioni economiche. Ma in una fase di innalzamento del prezzo del petrolio, fare a meno dell’Iran può diventare una questione seria per alcuni. E tra gli alcuni ci siamo noi.

Siamo in una situazione molto grave, perché il mantenere alta la tensione nell’area mediorientale è come tenere accesi dei fuochi in una polveriera.

Non si capisce bene il senso complessivo dei fatti. Gli Usa non avevano una politica già quando decisero l’intervento in Iraq. Adesso è universalmente ammesso che non avevano una linea da seguire per il dopo. Lo stesso scioglimento dell’esercito iracheno dopo la sconfitta è oggi considerato un vero atto di follia.

Non solo, ma la Commissione ufficiale Baker ha chiarito che c’è stato un errore di impostazione iniziale. Si è detto che senza intervenire in Iraq sarebbe stato meglio assicurare una vera pace in Afghanistan e in Palestina. Bush non ha una linea e si preoccupa solo di accendere ipoteche per il suo successore.

Ci sono poi altre vere stranezze. Ci si chiede, ad esempio, a chi abbia giovato e giovi la divisione politica tra Gaza (Hamas) e Ramallah (Al Fatah). E ci si deve chiedere a chi obbediscano i lanciatori di razzi Kassam in Israele senza scopo militare, ma solo terroristico. Se non totalmente cretini, si deve immaginare che lavorino per un “re di Prussia” che andrebbe cercato e denunciato.

Il disegno americano del “grande Medio oriente” democratizzato dai marines è fallito. Ora il compito non è di “capire” l’America e evitare un’impossibile guerra in Iran, ma elaborare un piano di pace complessivo e multilaterale alla politica insensata di Bush.

1 commento:

Unknown ha detto...

..."evitare un’impossibile guerra in Iran".... ottima chiave di lettura, complimenti. In questi giorni non capita molto spesso leggere analisi refrattarie da un lato alle isterie antiamericane- di color cioè che pur di criticare l'amm.ne Bush si lanciano in voli pindarici e ipotesi alquanto fantasiose- dall'altro alla propaganda a stelle e striscie interessata a mantenere alta la tensione e manipolabile l'opinione pubblica.

Alcune considerazioni in genere sottovalutate dagli uni e dagli altri che contraddicono l'eventualità di un attacco all'Iran: 1) riduzione delle truppe in Iraq (cosa peraltro annunciata ai 4 venti): difficle pensare di affrontare una guerra tagliando le truppe, tanto più che in caso di conflitto l'Iraq sarà il principale terreno di ritorsione dei militari iraniani, 2) Scadenza elettorale: l'anno prossimo si vota negli USA, il Pres. Bush è in un momento di particolare debolezza. Certo si potrebbe sempre levare il grido alla "guerra santa" contro il terrorismo ma, dopo la caccia armi chimiche irachene, l'opinione pubblica è molto più smaliziata di allora. Inoltre non dimentichiamo che gli USA sono comunque un paese anglosassone e mi sembra una forzatura pensare a una campagna elettorale sotto le bombe (a rigor di logica ci sarebbe un periodo finestra di 5-6 mesi durante il quale l'intervento sarebbe possibile). 3) la forza militare iraniana è ben diversa da quella irachena. Ricordo che l'esercito iracheno quattro anni fa era praticamente inesistente. 4) Diplomazia. A parte le dichiarazioni di facciata l'Iraq era un paese isolato diplomaticamente, non altrettanto può dirsi per l'Iran: gli interessi russi e cinesi (membri permanenti del Consiglio di Sicurezza) in primis, sono un fatto acclarato, essendo i due tra i principali fornitori dei materiali usati per la costruzione delle centrali nucleari. 6) In caso di attacco l'opzione più probabile potrebbe essere quella di un blitz israeliano.

In definitiva: non dico che l'ipotesi "americana" sia impossibile o da escludere, ma che sia molto più difficile da praticare, ora come ora, rispetto a quanto propagandato dagli uni e dagli altri.