L’Associazione presenta un documento sulla riforma della previdenza con l’invito a «uscire dalle posizioni tattiche e individuare soluzioni innovative». La proposta di una pensione base legata ad un’anzianità minima di lavoro. L’adeguamento delle pensioni 'basse' al costo della vita. L’esigenza di «razionalizzazione» degli istituti previdenziali
Roma, 5 aprile 2007 – Rivedere i coefficienti di trasformazione delle pensioni non può essere un tabù. Così pure l’innalzamento dell’età pensionabile, sia pure in maniera flessibile, va considerato un percorso ormai obbligato, in linea con gli altri Paesi europei. L’importante è «tenere insieme, allo stesso tempo, compatibilità economica e sostenibilità sociale, uscendo dalle posizioni tattiche e sapendo individuare soluzioni innovative». Le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani presentano in un documento approvato dalla direzione nazionale la propria ipotesi di riforma previdenziale, volta a «privilegiare le giovani generazioni di lavoratori».
Secondo le Acli i coefficienti di trasformazione vanno periodicamente rivisti per consentire la tenuta della spesa pensionistica alla luce dell’aumento del tempo medio di vita. Va superato però l’attuale meccanismo che operando revisioni ogni 10 anni finisce per creare situazioni di iniquità tra lavoratori che vanno in pensione a distanza di un solo mese l’uno dall’altro. In questo senso, la revisione può essere operata con frequenze più ravvicinate, in modo da temperare le inevitabili sperequazioni connesse alla condizioni anagrafiche dei singoli lavoratori, facendo salvo il principio della Riforma Dini, a suo tempo condiviso dalle Parti sociali, che voleva commisurare il trattamento pensionistico alla durata media del pensionamento.
È ragionevole altresì adeguare progressivamente l’età pensionabile all’allungamento della speranza di vita, premiando con coefficienti più favorevoli coloro che si rendono disponibili a ritardare l’età massima di pensionamento. Ragionamento simile per la pensione di vecchiaia delle donne, prevedendo però condizioni di miglior favore per coloro che hanno avuto percorsi lavorativi discontinui a causa di impegni connessi all’educazione dei figli. Occorre però ripristinare il meccanismo di flessibilità di accesso al pensionamento di vecchiaia. Per superare lo “scalone” in maniera indolore le Acli suggeriscono di introdurre il requisito di quota 95 con almeno 58 anni di età, che penalizza chi ha solo 35 anni di contributi (35+60) ma che può agevolare chi ne ha 36 (36+59) e ancora meglio chi ne ha 37 (37+58).
Sul piano della sostenibilità sociale le Acli avanzano la proposta di una pensione contributiva minima, vale a dire una pensione base legata ad un’anzianità minima di lavoro, conseguibile dopo un numero minimo di anni, 20 o 25, rapportata alla quantità di contribuzione accumulata, ma favorita da coefficienti di trasformazione più vantaggiosi, e supportata da contribuzioni figurative, volontarie o da riscatto. L’obiettivo è quello di poter coinvolgere con risultati tangibili nel sistema pensionistico pubblico una platea più ampia di lavoratori, anche precari, che abbiano retribuzioni ridotte o che difficilmente possano raggiungere anzianità contributive elevate. Più in generale, l’Associazione ritiene necessario riaffermare il ruolo della contribuzione figurativa come sistema solidaristico che riconosca coperture assicurative per l’impegno del proprio tempo in funzioni sociali che richiedono l’abbandono temporaneo ovvero la riduzione dell’attività lavorativa: dunque i periodi di cura familiare, di formazione professionale ma anche i periodi di disoccupazione. Per il medesimo scopo le Acli chiedono che sia reso effettivo il diritto alla totalizzazione dei contributi versati nei diversi regimi previdenziali, onde evitare che vadano persi spezzoni di contribuzione non cumulabile, e sia facilitata la portabilità degli accantonamenti da un fondo pensione ad un altro, nel contesto di un decollo effettivo delle forme di previdenza complementare, «elemento fondamentale per rendere sostenibili gli esiti della Riforma Dini».
Nell’immediato, le Acli chiedono di attivare percorsi di tutela sociale per le prestazioni liquidate esclusivamente con il sistema contributivo che producano situazioni di estrema debolezza, perfino fuori dai diritti elementari sanciti dall’articolo 38 della Costituzione, legate a casi di invalidità o reversibilità. Più in generale, appare doveroso rivedere il meccanismo di adeguamento delle pensioni al costo della vita valorizzando maggiormente le pensioni basse fino a cristallizzare gli aumenti per quelle alte.
A fronte delle diverse esigenze, per non produrre squilibri indebiti nel sistema pensionistico contributivo, le Acli invitano a riconsiderare con decisione il tema della separazione della previdenza dall’assistenza, in modo da rendere evidenti gli apporti della fiscalità generale dovuti a scelte legislative di tipo solidaristico. Contestualmente risulta necessario procedere ad un’attenta verifica dell’efficienza degli enti previdenziali, allo scopo di eliminare apparati burocratici inutili e dispendiosi, anche prevedendo interventi radicali di adeguamento organizzativo o l’accorpamento di enti che non giustificano una specifica autonomia gestionale.
Roma, 5 aprile 2007 – Rivedere i coefficienti di trasformazione delle pensioni non può essere un tabù. Così pure l’innalzamento dell’età pensionabile, sia pure in maniera flessibile, va considerato un percorso ormai obbligato, in linea con gli altri Paesi europei. L’importante è «tenere insieme, allo stesso tempo, compatibilità economica e sostenibilità sociale, uscendo dalle posizioni tattiche e sapendo individuare soluzioni innovative». Le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani presentano in un documento approvato dalla direzione nazionale la propria ipotesi di riforma previdenziale, volta a «privilegiare le giovani generazioni di lavoratori».
Secondo le Acli i coefficienti di trasformazione vanno periodicamente rivisti per consentire la tenuta della spesa pensionistica alla luce dell’aumento del tempo medio di vita. Va superato però l’attuale meccanismo che operando revisioni ogni 10 anni finisce per creare situazioni di iniquità tra lavoratori che vanno in pensione a distanza di un solo mese l’uno dall’altro. In questo senso, la revisione può essere operata con frequenze più ravvicinate, in modo da temperare le inevitabili sperequazioni connesse alla condizioni anagrafiche dei singoli lavoratori, facendo salvo il principio della Riforma Dini, a suo tempo condiviso dalle Parti sociali, che voleva commisurare il trattamento pensionistico alla durata media del pensionamento.
È ragionevole altresì adeguare progressivamente l’età pensionabile all’allungamento della speranza di vita, premiando con coefficienti più favorevoli coloro che si rendono disponibili a ritardare l’età massima di pensionamento. Ragionamento simile per la pensione di vecchiaia delle donne, prevedendo però condizioni di miglior favore per coloro che hanno avuto percorsi lavorativi discontinui a causa di impegni connessi all’educazione dei figli. Occorre però ripristinare il meccanismo di flessibilità di accesso al pensionamento di vecchiaia. Per superare lo “scalone” in maniera indolore le Acli suggeriscono di introdurre il requisito di quota 95 con almeno 58 anni di età, che penalizza chi ha solo 35 anni di contributi (35+60) ma che può agevolare chi ne ha 36 (36+59) e ancora meglio chi ne ha 37 (37+58).
Sul piano della sostenibilità sociale le Acli avanzano la proposta di una pensione contributiva minima, vale a dire una pensione base legata ad un’anzianità minima di lavoro, conseguibile dopo un numero minimo di anni, 20 o 25, rapportata alla quantità di contribuzione accumulata, ma favorita da coefficienti di trasformazione più vantaggiosi, e supportata da contribuzioni figurative, volontarie o da riscatto. L’obiettivo è quello di poter coinvolgere con risultati tangibili nel sistema pensionistico pubblico una platea più ampia di lavoratori, anche precari, che abbiano retribuzioni ridotte o che difficilmente possano raggiungere anzianità contributive elevate. Più in generale, l’Associazione ritiene necessario riaffermare il ruolo della contribuzione figurativa come sistema solidaristico che riconosca coperture assicurative per l’impegno del proprio tempo in funzioni sociali che richiedono l’abbandono temporaneo ovvero la riduzione dell’attività lavorativa: dunque i periodi di cura familiare, di formazione professionale ma anche i periodi di disoccupazione. Per il medesimo scopo le Acli chiedono che sia reso effettivo il diritto alla totalizzazione dei contributi versati nei diversi regimi previdenziali, onde evitare che vadano persi spezzoni di contribuzione non cumulabile, e sia facilitata la portabilità degli accantonamenti da un fondo pensione ad un altro, nel contesto di un decollo effettivo delle forme di previdenza complementare, «elemento fondamentale per rendere sostenibili gli esiti della Riforma Dini».
Nell’immediato, le Acli chiedono di attivare percorsi di tutela sociale per le prestazioni liquidate esclusivamente con il sistema contributivo che producano situazioni di estrema debolezza, perfino fuori dai diritti elementari sanciti dall’articolo 38 della Costituzione, legate a casi di invalidità o reversibilità. Più in generale, appare doveroso rivedere il meccanismo di adeguamento delle pensioni al costo della vita valorizzando maggiormente le pensioni basse fino a cristallizzare gli aumenti per quelle alte.
A fronte delle diverse esigenze, per non produrre squilibri indebiti nel sistema pensionistico contributivo, le Acli invitano a riconsiderare con decisione il tema della separazione della previdenza dall’assistenza, in modo da rendere evidenti gli apporti della fiscalità generale dovuti a scelte legislative di tipo solidaristico. Contestualmente risulta necessario procedere ad un’attenta verifica dell’efficienza degli enti previdenziali, allo scopo di eliminare apparati burocratici inutili e dispendiosi, anche prevedendo interventi radicali di adeguamento organizzativo o l’accorpamento di enti che non giustificano una specifica autonomia gestionale.
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