La domanda percorre questo piccolo libro, onesto, sereno e intelligente di Luigi Bobba. E’ un libro in cui si respira un’aria nuova, mentre l’autore cerca di proporre una cultura dove collocare l’agire politico dei cattolici. E lo fa senza le angosce apocalittiche e gladiatorie di chi difende una fede assediata a rischio di fine (con atteggiamento pugnace, ma subalterno a un’opinione pubblica che gioca con le minoranze vocianti e le deconsidera). Lo fa anche senza il minimalismo di chi si sente moderno perché la fede ha sempre meno spazio nella vita e nella storia.
Infatti non è così: il credere non ha sempre meno spazio nella vita degli italiani. Siamo nei tempi definiti da Gilles Kepel come revanche de Dieu. Oggi il problema dell’identità personale e collettiva è fatto decisivo, mentre si ripropone il problema della fede a tutte le latitudini e nei diversi mondi religiosi.
In Italia. Bobba sa che i cattolici hanno un posto nel nostro paese. Dio ha un posto tra tanta gente. La nostra geografia umana è caratterizzata non poco dal popolo cattolico e dalla Chiesa, che fanno l’identità e la qualità del paese. Dopo la secolarizzazione e dentro di essa, il cristianesimo italiano (dai santuari al papa) è realtà rilevante e risorsa: risorsa nel pensare il futuro di un paese che sente di avere davanti a sé un orizzonte poco illuminato; risorsa di fede e di umana compagnia nella vita quotidiana, non sempre facile, degli italiani. Questo è il cristianesimo italiano: intimo e quotidiano con le gioie e le angosce della gente, come le Madonne dei santuari che ascoltano le preghiere di tutti o le porte aperte delle nostre comunità.
Così bisogna ricordarsi che la Chiesa non è parte o partito. Non ha mai accettato di farlo anche quando era più schierata. E’ Mater et Magistra, diceva Giovanni XXIII. Non è certo un genitore imbelle, che crea figli deboli senza insegnare niente. Ma lo fa da mater. Questa maternità è un patrimonio che va coltivato e rilanciato di generazione in generazione. L’italiano lo ha scoperto nelle ore di dolore, nella seconda guerra mondiale, nel ’78 in Laterano con la morte di Moro, per fare due esempi. Ed è una caratteristica delle fiducia e della simpatia con cui gli italiani guardano alla Chiesa.
Per questo, la “simpatia” tra la Chiesa e gli italiani è importante: nel senso profondo del termine greco. Non dimentico la prima descrizione della Chiesa (quella del capitolo 2 degli Atti): “godevano la simpatia di tutto il popolo”. Stavano dicendo tutta la verità del Vangelo, sarebbero stati perseguitati. La simpatia conta per una Chiesa che vuole parlare a tutti. Non è un caso che la prima enciclica di Benedetto XVI sia sull’amore. E la gente va volentieri ad ascoltare questo papa.
Mi colpisce che nel 1887, 120 anni fa, nelle sue istruzioni al Segretario di Stato, card. Rampolla, Leone XIII, il papa all’origine della collocazione della Chiesa nel Novecento, il secolo più secolarizzato della storia, scriva in un momento di crisi: per combattere i nemici che vogliono togliere alla Chiesa ogni influenza sociale bisogna -cito- “riamicare gli animi di tutti alla Chiesa e al papato”.
E’ la simpatia. La Chiesa è mater di tutti e materna con tutti. Ma è magistra: insegna, discute, sa che quel che dice non è condiviso da tutti, ma non vi rinuncia per tema di impopolarità, accetta anche di essere parte. Questo è il grande modello paterno costruito da Giovanni Paolo II, che resta un riferimento di pastoralità.
Ma è solo questione di papa e di vescovi? Quale posto dei laici, dopo che la DC non c’è più? -si chiede Bobba.
I laici sono stati i democristiani, altra classe dirigente cattolica accanto ai vescovi dal 1945 al 1990. Molto laica e autonoma, nonostante quel che si diceva. E’ però ormai una storia passata, su cui bisognerà scrivere. Ma oggi?
E’ un’impressione che spesso la stampa dà: cercare solo quello che dicono i vescovi.
C’è un posto dei cattolici nel paese. Ci sono cattolici che pensano; che operano nella vita del paese. Non meno di ieri. Originali anche. Spesso molto gratuiti. Risorse notevoli, anche in un tempo in cui si sono sfilacciate tante reti, come quelle dei partiti. La Chiesa è una rete di popolo in mezzo al nostro paese.
E in politica? Per Bobba c’è un posto dei cattolici in politica. Ed è significativo che, a meno di un anno dalla sua elezione, abbia sentito di scrivere per darne ragione. Il posto in politica è anche un fatto culturale. Perché in questa Italia del bipolarismo c’è una crisi di culture politiche capaci di ispirare visioni di lungo periodo. Mentre, invece, credo che la nostra cultura politica deve provare a riflettere sulla prospettiva di lungo periodo: dire insomma a che serve l’Italia in un’Europa che si dovrebbe fare, in un mondo dove sono emersi nuovi protagonisti asiatici, come l’India e la Cina, nuove civiltà che sono poi antiche. Qui c’è un posto dei cattolici anche nel partecipare alla ricerca delle visioni per un’Italia di domani.
La fede e la vita religiosa non sono un fatto residuale. Un modello è stato smentito nella storia del nostro tempo: il futuro sarebbe stato secondo il dogma: “più modernità, sempre meno religione”, con l’inarrestabile avanzata della secolarizzazione. Restava solo un posto privato alla fede. In realtà da quindici anni, Dio ritorna nella vita della gente e anche in pubblico. La globalizzazione pone a tutti il problema dell’identità, come Bobba nota. Si è nudi senza identità in un mondo globalizzato. E la riscoperta dell’identità è un fenomeno trasversale e globale. Identità vuol dire anche tradizione, tradizione di fede.
Il modello imperante nella cultura degli ultimi due secoli, a partire dalla Rivoluzione Francese, è stato: il nuovo, il moderno, il progresso si pensavano spesso o si costruivano con l’emancipazione dal mondo della tradizione. Sempre meno tradizione. Fino al ’68, estesa rivoluzione antropologica, “frattura instauratrice” per usare l’espressione di de Certeau, cioè congedo dalla tradizione a livello di massa e di giovani. Così sicuri del futuro da non aver bisogno di tradizione.
Ma oggi si scopre il dramma di quello che Todorov chiama “l’uomo spaesato”. C’è bisogno di riprendere il filo della tradizione, l’audacia del nuovo richiede un filo di Arianna nel percorso labirintico del futuro. Il futuro, la globalizzazione, la proiezione in un mondo così vasto, richiedono a tutti di muoversi dalla sponda della tradizione verso il domani.
Per i cattolici, il Vaticano II non è stato forse la riproposizione dell’essenza della traditio fidei? La tradizione ridotta all’essenziale ed esaltata in esso: la tradizione e le tradizioni -avrebbe detto il padre Congar. Il Vaticano II non è stato l’affermazione di un’emancipazione dalla tradizione, ma il filtro sapiente di un profondo ressourcement. Non è un caso che abbia parlato di Bibbia, liturgia… Senza ressourcement non c’è futuro. Le grandi civiltà orientali: penso all’India con un’impressionante continuità nel coniugare innovazione e grande tradizione, ma anche alla Cina malgrado le tante fratture con il mito dell’armonia.
Tradizione non è conservazione. Abbiamo un tradizionalismo spaventato che prende mondi religiosi, angoli di società. Ben altro è la tradizione, come radice profonda di una fede che viene da lontano, come trasmissione di generazione in generazione.
E’ qualcosa che una cultura di sinistra spesso non capisce o su cui si lavora poco. Mentre il rapporto tra la destra e i cattolici sembra inquadrarsi sull’orizzonte quasi naturale dei valori (ma ci sono altri problemi). Qui c’è il problema del rapporto tra il centro-sinistra e il mondo dei cattolici, che non è solo un problema di politica, ma di cultura: non solo tattico ed elettorale (anche se su questo si dovrebbe riflettere, ma non è compito mio), ma di rapporto con un pezzo importante dell’identità italiana. Mi chiedo: si può costruire il futuro del paese alla spagnola, prescindendo da questo tratto saliente, come un resto del passato? Così si costruisce il futuro a strappi, non per sintesi e sviluppi.
Bobba cita Barack Obama: “Dire che uomini e donne non dovrebbero far rifluire la loro morale personale nei dibattiti pubblici è un assurdo pratico”. Lui si muove in questa linea, che non si spiega come dipendenza o indipendenza dalla gerarchia, ma come radicamento in un terreno religioso ed etico, risorsa per la politica.
E’ superato -a mio avviso- il modello di costruzione del futuro come emancipazione della tradizione. Abbiamo bisogno di ressourcement, di spiritualità per affrontare un tempo difficile. Nei prossimi decenni la navicella Italia, fragile, anche se ricca, dovrà affrontare sfide ignote al passato: grandi orizzonti del mondo, ridimensionamento del suo posto nel mondo, nuove generazioni che salgono, confronto con gli immigrati, crisi demografica, ecc.
Bobba parla di una fase ulteriore alla cultura cattolico democratica, che non è stata la mediazione tra l’autorità ecclesiastica e la politica per De Gasperi e Moro (e io ho scritto la storia segreta di De Gasperi: cioè i suoi rapporti con Pio XII). E’ consistita nel far rifluire l’apporto dei cattolici e della loro visione alla costruzione della democrazia come identità della nuova Italia. Il grande problema oggi non è quello della mediazione o della presenza, ma della costruzione di una grande cultura politica, radicata e aperta.
Le riflessioni di Bobba sulla libertà si collocano oltre un modello emancipazionista di libertà (libertà da...), per essere libertà per. A p. 128 l’autore presenta dieci punti per cui spendere questa libertà, una specie di carta dei valori: “dall’unicità del nostro destino -scrive- con quello dei popoli poveri del Sud del mondo a una visione della famiglia come legame fondamentale per il vivere sociale; dal ridefinirsi del concetto di cittadinanza di fronte a una società sempre più mescolata alla necessità di assumere l’equità generazionale…”. L’ho già detto: è venuto il momento di discutere di idee su cui far crescere il paese. Infatti c’è un’eclissi del paese contro cui impegnarsi, come è sorte di non pochi paesi europei che sono stati grandi e ora sopravvivono. Qui sta il posto dei cattolici: dar anima, un supplemento d’anima, a questa ricerca.
di Prof. ANDREA RICCARDI
Infatti non è così: il credere non ha sempre meno spazio nella vita degli italiani. Siamo nei tempi definiti da Gilles Kepel come revanche de Dieu. Oggi il problema dell’identità personale e collettiva è fatto decisivo, mentre si ripropone il problema della fede a tutte le latitudini e nei diversi mondi religiosi.
In Italia. Bobba sa che i cattolici hanno un posto nel nostro paese. Dio ha un posto tra tanta gente. La nostra geografia umana è caratterizzata non poco dal popolo cattolico e dalla Chiesa, che fanno l’identità e la qualità del paese. Dopo la secolarizzazione e dentro di essa, il cristianesimo italiano (dai santuari al papa) è realtà rilevante e risorsa: risorsa nel pensare il futuro di un paese che sente di avere davanti a sé un orizzonte poco illuminato; risorsa di fede e di umana compagnia nella vita quotidiana, non sempre facile, degli italiani. Questo è il cristianesimo italiano: intimo e quotidiano con le gioie e le angosce della gente, come le Madonne dei santuari che ascoltano le preghiere di tutti o le porte aperte delle nostre comunità.
Così bisogna ricordarsi che la Chiesa non è parte o partito. Non ha mai accettato di farlo anche quando era più schierata. E’ Mater et Magistra, diceva Giovanni XXIII. Non è certo un genitore imbelle, che crea figli deboli senza insegnare niente. Ma lo fa da mater. Questa maternità è un patrimonio che va coltivato e rilanciato di generazione in generazione. L’italiano lo ha scoperto nelle ore di dolore, nella seconda guerra mondiale, nel ’78 in Laterano con la morte di Moro, per fare due esempi. Ed è una caratteristica delle fiducia e della simpatia con cui gli italiani guardano alla Chiesa.
Per questo, la “simpatia” tra la Chiesa e gli italiani è importante: nel senso profondo del termine greco. Non dimentico la prima descrizione della Chiesa (quella del capitolo 2 degli Atti): “godevano la simpatia di tutto il popolo”. Stavano dicendo tutta la verità del Vangelo, sarebbero stati perseguitati. La simpatia conta per una Chiesa che vuole parlare a tutti. Non è un caso che la prima enciclica di Benedetto XVI sia sull’amore. E la gente va volentieri ad ascoltare questo papa.
Mi colpisce che nel 1887, 120 anni fa, nelle sue istruzioni al Segretario di Stato, card. Rampolla, Leone XIII, il papa all’origine della collocazione della Chiesa nel Novecento, il secolo più secolarizzato della storia, scriva in un momento di crisi: per combattere i nemici che vogliono togliere alla Chiesa ogni influenza sociale bisogna -cito- “riamicare gli animi di tutti alla Chiesa e al papato”.
E’ la simpatia. La Chiesa è mater di tutti e materna con tutti. Ma è magistra: insegna, discute, sa che quel che dice non è condiviso da tutti, ma non vi rinuncia per tema di impopolarità, accetta anche di essere parte. Questo è il grande modello paterno costruito da Giovanni Paolo II, che resta un riferimento di pastoralità.
Ma è solo questione di papa e di vescovi? Quale posto dei laici, dopo che la DC non c’è più? -si chiede Bobba.
I laici sono stati i democristiani, altra classe dirigente cattolica accanto ai vescovi dal 1945 al 1990. Molto laica e autonoma, nonostante quel che si diceva. E’ però ormai una storia passata, su cui bisognerà scrivere. Ma oggi?
E’ un’impressione che spesso la stampa dà: cercare solo quello che dicono i vescovi.
C’è un posto dei cattolici nel paese. Ci sono cattolici che pensano; che operano nella vita del paese. Non meno di ieri. Originali anche. Spesso molto gratuiti. Risorse notevoli, anche in un tempo in cui si sono sfilacciate tante reti, come quelle dei partiti. La Chiesa è una rete di popolo in mezzo al nostro paese.
E in politica? Per Bobba c’è un posto dei cattolici in politica. Ed è significativo che, a meno di un anno dalla sua elezione, abbia sentito di scrivere per darne ragione. Il posto in politica è anche un fatto culturale. Perché in questa Italia del bipolarismo c’è una crisi di culture politiche capaci di ispirare visioni di lungo periodo. Mentre, invece, credo che la nostra cultura politica deve provare a riflettere sulla prospettiva di lungo periodo: dire insomma a che serve l’Italia in un’Europa che si dovrebbe fare, in un mondo dove sono emersi nuovi protagonisti asiatici, come l’India e la Cina, nuove civiltà che sono poi antiche. Qui c’è un posto dei cattolici anche nel partecipare alla ricerca delle visioni per un’Italia di domani.
La fede e la vita religiosa non sono un fatto residuale. Un modello è stato smentito nella storia del nostro tempo: il futuro sarebbe stato secondo il dogma: “più modernità, sempre meno religione”, con l’inarrestabile avanzata della secolarizzazione. Restava solo un posto privato alla fede. In realtà da quindici anni, Dio ritorna nella vita della gente e anche in pubblico. La globalizzazione pone a tutti il problema dell’identità, come Bobba nota. Si è nudi senza identità in un mondo globalizzato. E la riscoperta dell’identità è un fenomeno trasversale e globale. Identità vuol dire anche tradizione, tradizione di fede.
Il modello imperante nella cultura degli ultimi due secoli, a partire dalla Rivoluzione Francese, è stato: il nuovo, il moderno, il progresso si pensavano spesso o si costruivano con l’emancipazione dal mondo della tradizione. Sempre meno tradizione. Fino al ’68, estesa rivoluzione antropologica, “frattura instauratrice” per usare l’espressione di de Certeau, cioè congedo dalla tradizione a livello di massa e di giovani. Così sicuri del futuro da non aver bisogno di tradizione.
Ma oggi si scopre il dramma di quello che Todorov chiama “l’uomo spaesato”. C’è bisogno di riprendere il filo della tradizione, l’audacia del nuovo richiede un filo di Arianna nel percorso labirintico del futuro. Il futuro, la globalizzazione, la proiezione in un mondo così vasto, richiedono a tutti di muoversi dalla sponda della tradizione verso il domani.
Per i cattolici, il Vaticano II non è stato forse la riproposizione dell’essenza della traditio fidei? La tradizione ridotta all’essenziale ed esaltata in esso: la tradizione e le tradizioni -avrebbe detto il padre Congar. Il Vaticano II non è stato l’affermazione di un’emancipazione dalla tradizione, ma il filtro sapiente di un profondo ressourcement. Non è un caso che abbia parlato di Bibbia, liturgia… Senza ressourcement non c’è futuro. Le grandi civiltà orientali: penso all’India con un’impressionante continuità nel coniugare innovazione e grande tradizione, ma anche alla Cina malgrado le tante fratture con il mito dell’armonia.
Tradizione non è conservazione. Abbiamo un tradizionalismo spaventato che prende mondi religiosi, angoli di società. Ben altro è la tradizione, come radice profonda di una fede che viene da lontano, come trasmissione di generazione in generazione.
E’ qualcosa che una cultura di sinistra spesso non capisce o su cui si lavora poco. Mentre il rapporto tra la destra e i cattolici sembra inquadrarsi sull’orizzonte quasi naturale dei valori (ma ci sono altri problemi). Qui c’è il problema del rapporto tra il centro-sinistra e il mondo dei cattolici, che non è solo un problema di politica, ma di cultura: non solo tattico ed elettorale (anche se su questo si dovrebbe riflettere, ma non è compito mio), ma di rapporto con un pezzo importante dell’identità italiana. Mi chiedo: si può costruire il futuro del paese alla spagnola, prescindendo da questo tratto saliente, come un resto del passato? Così si costruisce il futuro a strappi, non per sintesi e sviluppi.
Bobba cita Barack Obama: “Dire che uomini e donne non dovrebbero far rifluire la loro morale personale nei dibattiti pubblici è un assurdo pratico”. Lui si muove in questa linea, che non si spiega come dipendenza o indipendenza dalla gerarchia, ma come radicamento in un terreno religioso ed etico, risorsa per la politica.
E’ superato -a mio avviso- il modello di costruzione del futuro come emancipazione della tradizione. Abbiamo bisogno di ressourcement, di spiritualità per affrontare un tempo difficile. Nei prossimi decenni la navicella Italia, fragile, anche se ricca, dovrà affrontare sfide ignote al passato: grandi orizzonti del mondo, ridimensionamento del suo posto nel mondo, nuove generazioni che salgono, confronto con gli immigrati, crisi demografica, ecc.
Bobba parla di una fase ulteriore alla cultura cattolico democratica, che non è stata la mediazione tra l’autorità ecclesiastica e la politica per De Gasperi e Moro (e io ho scritto la storia segreta di De Gasperi: cioè i suoi rapporti con Pio XII). E’ consistita nel far rifluire l’apporto dei cattolici e della loro visione alla costruzione della democrazia come identità della nuova Italia. Il grande problema oggi non è quello della mediazione o della presenza, ma della costruzione di una grande cultura politica, radicata e aperta.
Le riflessioni di Bobba sulla libertà si collocano oltre un modello emancipazionista di libertà (libertà da...), per essere libertà per. A p. 128 l’autore presenta dieci punti per cui spendere questa libertà, una specie di carta dei valori: “dall’unicità del nostro destino -scrive- con quello dei popoli poveri del Sud del mondo a una visione della famiglia come legame fondamentale per il vivere sociale; dal ridefinirsi del concetto di cittadinanza di fronte a una società sempre più mescolata alla necessità di assumere l’equità generazionale…”. L’ho già detto: è venuto il momento di discutere di idee su cui far crescere il paese. Infatti c’è un’eclissi del paese contro cui impegnarsi, come è sorte di non pochi paesi europei che sono stati grandi e ora sopravvivono. Qui sta il posto dei cattolici: dar anima, un supplemento d’anima, a questa ricerca.
di Prof. ANDREA RICCARDI
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