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lunedì, febbraio 15, 2010

LA TORRE DI BABELE

Giovedì 18 e giovedì 25 febbraio, doppio appuntamento a Castelvenere (BN) e a Salerno, per la presentazione del libro “La Torre di Babele”. Storie (e paure) di un reporter di guerra (Halley Editrice) di Pino Scaccia, Inviato speciale Tg1.

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"La Torre di Babele è, insieme, un progetto e un luogo fisico. Il progetto è quello di ospitare tutte le lingue del mondo, tutte le idee, dare voce a chiunque, così da arrivare per paradosso a una parola “unica”, insomma a capirsi. (…) Il luogo fisico è la torre vera, così come l’ho conosciuta a Samarra, in Iraq. Lì la chiamano “malwiya”, la spirale, splendida metafora architettonica dove è faticosissimo, sul serio, arrampicarsi in vetta superando passaggi tortuosi. L’hanno anche colpita, di recente: e sono stati i miliziani, cioè irakeni, perché l’affronto degli americani in cima alla torre era più forte del rispetto per un proprio patrimonio. Dove porta l’odio. Dunque, la torre di Babele mi sembrava che potesse rappresentare il senso di questo libro, dedicato principalmente alle mie esperienze (forti) in quella terra insanguinata, perché non solo racconto i fatti ma soprattutto mi dedico alle emozioni. Un diario in continuo movimento dove anche le verità, appunto, spesso si sovrappongono, si sostituiscono, si smentiscono, si alterano. Lì e altrove, come troverete nei racconti su altre terre e su altri popoli. Le lingue sono tante, cioè sono in molti a parlare: la mia speranza è che comunque riescano, alla fine, a capirsi." (testo tratto dal sito della casa editrice Halley).

Il libro “La Terra di Babele” sarà presentato, alla presenza dell’autore, in Campania in un doppio appuntamento, organizzato e promosso dall’Associazione Culturale e di Promozione Sociale “i Meridiani”.


Giovedì 18 Febbraio (ore 18,30) a Castelvenere (Bn) presso il Salone Ipssar, Piazza San Barbato, introduce Luca Della Corte, Direttore Generale dell’Associazione “i Meridiani”. Ai saluti istituzionali di Mario Scetta, Sindaco della Città di Castelvenere, seguiranno gli interventi del Gen. D. Giuseppe Festa, Ufficiale dell’Esercito Italiano e di Carmine Nardone, Presidente dell’Associazione Futuridea. A coordinare i lavori il giornalista Marzio Di Mezza.

Giovedì 25 Febbraio (ore 17,30) a Salerno presso il Salone Bottiglieri della Provincia di Salerno, introduce Michele Giannattasio, Presidente dell’Associazione “i Meridiani”. Ai saluti istituzionali di Edmondo Cirielli, Presidente della Provincia di Salerno e di Sabatino Marchione, Prefetto di Salerno, seguiranno gli interventi del Gen. B. Giuseppenicola Tota, Comandante della Brigata Bersaglieri “Garibaldi” e Giuseppe Scanni, Politologo ed Esperto in Relazioni Internazionali. A coordinare i lavori Franco Esposito, Direttore di Telecolore.

Nel corso degli incontri sarà consegnata una Targa alla Carriera a Pino Scaccia, Inviato speciale Tg1 e sarà allestita, presso la Provincia di Salerno, una mostra fotografica a cura della Brigata Bersaglieri “Garibaldi”.

domenica, giugno 22, 2008

Il petrolio iracheno nelle mani delle “sette sorelle” di Big Oil

Petrolio

Via libera alle trivelle. L’Iraq aprirà i propri pozzi e riserve alle multinazionali occidentali del petrolio, quelle che una volta si chiamavano le “sette sorelle” e ora vengono accomunate sotto il nome di “Big Oil“. Il 30 giugno, rivela il New York Times, la compagnia statale irachena, non in grado di sfruttare le proprie risorse, aprirà le concessioni a Exxon Mobil, Shell, Total, Bp, Chevron. Tornano così a Baghdad, dove le prime quattro formavano l’originale “Iraq petroleum company“. Dal paese erano state cacciate 37 anni fa con la dittatura di Saddam Hussein, che aveva nazionalizzato il petrolio iracheno. La decisione è stata presa dal ministero del Petrolio, dove una buona parte dei consiglieri è di nazionalità americana. I contratti sono stati assegnati su chiamata nominativa, senza asta. Scartate le richieste di tutte le grandi compagnie statali russe e cinesi. Si tratta del primo accordo commerciale sul petrolio dall’inizio dell’ occupazione americana. Le compagnie di Big Oil avranno contratti di esclusiva sui servizi per uno o due anni, con accordi di spartizione inusuali per l’industria. Alla fine di questo periodo avranno la precedenza sulle altre quando i pozzi andranno all’asta.
La Casa Bianca cerca l’oro nero: il prezzo del greggio va verso i 150 dollari al barile, Bush chiede a gran voce di poter trivellare nell’Artico e in Alaska, gran parte dei giacimenti mondiali si trova in Stati che hanno nazionalizzato o quasi il settore (Arabia Saudita, Venezuela, Russia, Iran). Le più importanti compagnie petrolifere del mondo sono giganti statali o comunque controllati dai governi. E in Iraq le riserve ufficiali sono di 115 miliardi di barili, terzo patrimonio al mondo dopo Arabia e Iran. Senza contare i giacimenti ancora da trovare e sfruttare nel deserto iracheno. Se qualcuno credeva ancora che l’operazione militare americana in Iraq, ancora in corso, avesse come unico scopo la lotta al terrorismo e la caduta di un dittatore come Saddam, forse si ricrederà.

lunedì, aprile 07, 2008

I costi della guerra: il papa e gli italiani avevano ragione. (perciò meglio Obama)

Leonardo Becchetti - 28/03/2008 da BENECOMUNE.NET

Quando più di cinque anni fa, di fronte ai primi concreti rischi di guerra all’Iraq, si levarono le voci contrarie di moltissime democrazie europee, di quasi tutti gli italiani, e quella di Giovanni Paolo II sentimmo i commenti più vari...

eccesso di buonismo, incapacità di comprendere la gravità e novità dello scenario, carattere “imbelle” degli europei più propensi a Venere che a Marte, buonismo cattolico e paura per l’incolumità dei cattolici e dei missionari nei paesi islamici (col senno di poi tutt’altro che infondata), popolo della pace senza attributi, ecc.

Le valutazioni che si sono susseguite in questi giorni a cinque anni dall’intervento ci consentono di tornare oggi sul tema. Abbandoniamo per un attimo le nostre posizioni di principio (la guerra è la più grossa “arma di distruzione di relazioni di massa”, ha costi sociali ed umani spaventosi e crea delle ferite che si risanano soltanto dopo moltissimi anni) e utilizziamo il “cinico” approccio dell’analisi costi-benefici.

Immaginiamo cosa sarebbe successo se cinque anni fa i fautori della guerra avessero presentato la seguente analisi costi-benefici.

Dal lato dei costi una perdita di vite umane ingente: 4,000 soldati americani, un numero simile di soldati iracheni, almeno 80,000 morti tra i civili iracheni (addirittura 650,000 secondo le stime apparse nell’ottobre 2006 sulla rivista medica Lancet). Qui ci sarebbe da precisare che i morti purtroppo non sono tutti uguali ma pesano di meno al crescere della distanza geografica. E’ un problema di sensibilità dell’opinione pubblica, dei politici, dei media ma non possiamo negare che sia di fatto così.

Ci sono poi i costi umani, sociali ed economici di circa 2,2 milioni di profughi che hanno abbandonato l’Iraq per rifugiarsi in Iran (circa 100.000), in Giordania (circa 600.000) e, in piccola parte, in Libano, Egitto e Turchia. Il dilemma era restare sotto le bombe, e sopportare un rischio elevatissimo di essere ammazzati, oppure azzerare questo tipo di rischio ma scegliere la vita misera dell’espatriato. Ad essi si aggiungono circa 2,4 milioni di profughi interni.

Per non parlare dei costi economici diretti degli Stati Uniti. Un lavoro recente di Joseph Stiglitz, premio nobel per l’economia, ricorda che il Congressional Budget Office stima in 500 miliardi di dollari i costi totali diretti della guerra. Stiglitz calcola che, includendo come costi indiretti le spese sanitarie per i soldati rientrati, la ricostituzione delle risorse militari e i costi maggiori di reclutamento, la spesa complessiva dovrebbe arrivare al doppio (1.000 miliardi di dollari). Inutile dire quante cose migliori si sarebbero potute fare con queste risorse.
Questa la lista (parziale) dei costi che gli ipotetici presentatori del progetto guerra in Iraq dovrebbero allegare.
E i benefici ?

Eliminazione del rischio di armi di distruzione di massa (che non esistevano)? Duro colpo alla minaccia del terrorismo islamico? Pare sia accaduto proprio il contrario perché il terrorismo islamico ha trovato una nuova profonda ragione di vita e di aggregazione.

Eliminazione di un dittatore feroce? Lo si poteva neutralizzare e controllare anche con il sistema delle pressioni, sanzioni, ispezioni e minacce d’intervento come alla vigilia della guerra stessa. Miglioramento della qualità della vita degli iracheni? Dopo cinque anni non se ne vede ancora l’ombra. Gli indicatori rozzi ma misurabili che abbiamo, sottolineano che il consumo di corrente elettrica è ancora leggermente inferiore ai costi di prima della guerra. Se potessimo fare un’indagine con i nostri metodi per calcolare la soddisfazione di vita non credo troveremmo risultati lusinghieri.

Gli unici “vincitori” di questa guerra sono state le imprese che si occupano di ricostruzione e di logistica il cui valore di borsa è aumentato notevolmente in questi anni.

Non c’è altro da dire su quella che probabilmente è stata la pagina più oscura e il punto più basso toccato dall’amministrazione americana del dopoguerra. Se un candidato alla presidenza (Obama) sta conducendo una campagna elettorale di successo nelle primarie sostenendo orgogliosamente di essere stato l’unico ad opporsi sin da principio alla guerra, evidentemente l’opinione pubblica americana ha capito.

giovedì, ottobre 11, 2007

Iran, fuoco nella polveriera

I rischi di conflitto Usa/Iran vanno letti nel contesto mediorientale
di Ruggero Orfei
Nel mondo si parla di guerra. In Italia non se ne parla: si preferisce il pettegolezzo, oppure ci si affoga in una sottospecie di politica interna, per la quale dovremo pagare un conto salato. Sebbene il ministro francese Kouchner ne abbia parlato di recente come di un’eventualità concreta.

Il nemico da battere è l’Iran che non vuole rinunciare all’arma nucleare. Le sanzioni finora comminate a Teheran non sembrano avere scosso i dirigenti iraniani, i quali sostengono di lavorare solo per il nucleare civile.

Secondo il direttore generale dell’Aiea, El Baradei, il problema non c’è nei termini espressi dalla propaganda statunitense, più o meno come era il caso dell’Iraq, e se ci fosse non sarebbe grave. Non basta avere una bomba nucleare – che ancora gli iraniani non hanno – per terrorizzare il mondo. Un mondo dove la proliferazione nucleare è un’ovvietà. Usa, Russia, Gran Bretagna, Francia, Israele, Pakistan, India, Cina dispongono della bomba. Molti hanno acquisito le loro tecnologie dall’Occidente in tranquillità. L’accanimento contro l’Iran non ha spiegazioni tecnico-militari, perché nelle nuove strategie non conta sparare la prima bomba, ma la seconda, quella dell’immediata ritorsione.

Il pericolo iraniano viene sollevato per fare pressione sui governanti di Teheran che sanno benissimo che l’insuccesso americano in Iraq va a loro vantaggio. Gli iraniani sanno che gli Usa non avrebbero truppe proprie e che gli alleati non marcerebbero da soli, anche se fossero convinti.

Possono esserci le sanzioni economiche. Ma in una fase di innalzamento del prezzo del petrolio, fare a meno dell’Iran può diventare una questione seria per alcuni. E tra gli alcuni ci siamo noi.

Siamo in una situazione molto grave, perché il mantenere alta la tensione nell’area mediorientale è come tenere accesi dei fuochi in una polveriera.

Non si capisce bene il senso complessivo dei fatti. Gli Usa non avevano una politica già quando decisero l’intervento in Iraq. Adesso è universalmente ammesso che non avevano una linea da seguire per il dopo. Lo stesso scioglimento dell’esercito iracheno dopo la sconfitta è oggi considerato un vero atto di follia.

Non solo, ma la Commissione ufficiale Baker ha chiarito che c’è stato un errore di impostazione iniziale. Si è detto che senza intervenire in Iraq sarebbe stato meglio assicurare una vera pace in Afghanistan e in Palestina. Bush non ha una linea e si preoccupa solo di accendere ipoteche per il suo successore.

Ci sono poi altre vere stranezze. Ci si chiede, ad esempio, a chi abbia giovato e giovi la divisione politica tra Gaza (Hamas) e Ramallah (Al Fatah). E ci si deve chiedere a chi obbediscano i lanciatori di razzi Kassam in Israele senza scopo militare, ma solo terroristico. Se non totalmente cretini, si deve immaginare che lavorino per un “re di Prussia” che andrebbe cercato e denunciato.

Il disegno americano del “grande Medio oriente” democratizzato dai marines è fallito. Ora il compito non è di “capire” l’America e evitare un’impossibile guerra in Iran, ma elaborare un piano di pace complessivo e multilaterale alla politica insensata di Bush.

sabato, maggio 05, 2007

"IRAQ - non possiamo tacere ! intervengono Pax Christi e Mons. Shlemon Warduni

"IRAQ - non possiamo tacere !

Pax Christi Italia vuole dare voce all’appello che giunge dall’Iraq, in particolare vuole gridare al mondo la tragedia che vive quel popolo e, oggi in particolare, la situazione disperata dei cristiani sempre più vittime di violenze, ricatti, minacce e uccisioni. E questo non solo a Baghdad ma anche a Mosul e in altre città.

Pax Christi è un movimento cattolico che si impegna per la nonviolenza, per il dialogo tra le religioni, per la ‘convivialità delle differenze’, per il rispetto della dignità della persona e dei diritti umani, per la libertà. Pax Christi crede che ogni religione sia portatrice di Pace, perchè Dio non può che mostrarsi con un volto di pace, di giustizia, di misericordia, di perdono, di riconciliazione, di unità.

Molte volte noi di Pax Christi siamo stati in Iraq, l’ultima volta nel dicembre 2006, a Kirkuk, e sempre abbiamo avuto modo di incontrare persone miti, pacifiche, che credono nella pace. Purtroppo molti amici e mons Louis Sako arcivescovo caldeo di Kirkuk, impegnato per il dialogo tra le religioni, ci dicono che la situazione è tragica, invivibile per i cristiani a Baghdad, ma ora sempre di più anche in altre zone. Ci raccontano di una tragedia che vede migliaia, milioni di persone alla disperazione. Quanti profughi! Secondo alcune fonti dell’Onu, l’attuale tragedia dei profughi iracheni è la più grande del Medio Oriente, dopo quella del popolo Palestinese nel 1948. Non possiamo più tacere!

“I cristiani, afferma il vescovo, hanno sempre difeso l’integrità del Paese in modo coraggioso insieme ai loro fratelli musulmani. Hanno vissuto con sciiti e sunniti nel rispetto reciproco e hanno condiviso i giorni belli come quelli peggiori, da 14 secoli. Oggi vogliono continuare questa esistenza nell’amore e nel rispetto dei diritti umani.” Chiediamo per gli irakeni il diritto alla libertà di vivere la propria fede.

L’Iraq è la patria di Abramo, nostro padre comune nella fede: ogni religione è per la pace, sia il cristianesimo che l’islam. Ogni manifestazione di violenza, di minaccia verso chi è di un’altra religione calpesta la libertà e la dignità umana e non rende testimonianza autentica alla propria fede. Mai la religione può portare alla violenza! La religione è per la vita, non per la morte, per la pace non per la guerra.

Basta con la violenza, basta con la guerra, basta con le uccisioni, i rapimenti, le minacce, le violenze di ogni genere. Insieme bisogna lavorare per la pace.

Vogliamo non lasciar cadere il grido di dolore e l’appello disperato che ci viene dall’Iraq, in un clima nazionale e internazionale che sembra avvolto da una colpevole indifferenza, dopo aver scatenato una guerra motivata da bugie urlate e da interessi taciuti. Lo vogliamo raccogliere noi per primi. Lo chiediamo alla Chiesa, cattolica, quindi universale! Molti cristiani in Iraq ci hanno detto che si sentono dimenticati! Lo chiediamo a tutti i credenti, alle autorità religiose, in Italia e in Iraq, cristiane e musulmane, ai responsabili della politica, alla comunità internazionale: cessi ogni forma di violenza. Solo il dialogo, l’incontro, l’ascolto, la solidarietà, il rifiuto di ogni forma di odio e vendetta può portare alla pace.

“Non possiamo più tacere” ci dicono dall’Iraq i nostri amici vescovi. E noi vogliamo unirci a loro, dare voce alla loro voce. Non lasciamoli soli.

27 aprile 2007

Pax Christi Italia"



"Vi ringraziamo di tutto il cuore, carissimi amici di "Pax Christi", preghiamo per voi perché il Signore vi aiuti per diffondere la pace e per dire la verità col coraggio. Avete interpretato il nostro volere, e avete espresso i nostri pensieri con fedeltà come vi avevamo detto prima e ci avete difeso, perché non sappiamo da chi andare ed a chi esporre il nostro problema doloroso, complicato ed insopporabile.

Speriamo che tutte le organizzazioni cattoliche e quelle umanitarie vi imitino per difendere i diritti dei deboli. Ciò che dovrebbe essere il nostro motto, noi cristiani in Iraq, è l'identità irachena e non la religione o l'etnia o la confessione. Noi siamo abitanti iracheni da miliaia d'anni, viviamo e moriamo in Iraq, per l'Iraq e per gli iracheni a costo di vita.
Noi abbiamo lavorato vissuto, lavoriamo e viviamo e lavoreremo e vivremo per l'unità dell'Iraq, per il bene degli iracheni, seminando l'amore da per tutto perché "Dio è Amore" e perché il Vangelo ci insegna: "Amate gli altri come voi stessi".
Che il Dio-Pace ci dia la Pace.

+Mons. Shlemon Warduni