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venerdì, gennaio 11, 2008

Il magistero della Chiesa: Casavola sul Papa e Roma


È sperabile che l’incontro di Benedetto XVI con il sindaco di Roma e i presidenti della Regione Lazio e della Provincia di Roma, non dia adito a insidiosi commenti critici, ma sia accolto nei suoi profili positivi. Che nella capitale della Repubblica risieda un’autorità religiosa non allineabile nella scacchiera dei leader istituzionali e politici dovrebbe agevolarne l’ascolto quando parli dello stato della vita urbana in Roma. La sincerità e serietà dei rilievi è fuori discussione. I dati di esperienza, che affiorano nelle cronache cittadine e su cui si muovono frequenti inchieste giornalistiche, sono filtrati da quella rete particolare di sensori di cui la Chiesa dispone, con le sue comunità parrocchiali e le tante capillari realtà associative del laicato.Gli stati d’animo della popolazione sono colti non nell’attimo emozionale di un evento eccezionale o drammatico, ma nella loro lunga durata e permanente giustificazione. La insicurezza della povertà per i senza lavoro o con lavoro insufficientemente retribuito, o per abitazioni esosamente locate, o per famiglie non soccorse dalla solidarietà pubblica o dalla carità privata. Insicurezza dinanzi alla vecchiaia o alla malattia o alla solitudine. Insicurezza per la estraneazione reciproca di una popolazione mescolata di residenti e di migranti, divisi da sempre crescenti disparità di condizioni economiche, da origini regionali e nazionali e etniche e religiose diverse. E poi si tocca il culmine della insicurezza nell’impatto con la violenza delle aggressioni, delle rapine, degli stupri, degli omicidi in strada e in casa. Il Papa ha citato il caso tragicamente emblematico della uccisione della signora Giovanna Reggiani a Tor di Quinto. Le periferie, sempre più evocatrici delle favelas sudamericane, rifluiscono con i loro erratici marginali nei quartieri del centro. E allora la insicurezza strutturale diventa problema di polizia. E si dimentica che ne sono causa politiche sociali e urbanistiche. Ma che cosa può dire la Chiesa, oltre la rilevazione dei fatti? Non può disegnare una strategia di welfare, né un progetto di riordino o risanamento urbano. Non ne ha competenza. La Chiesa arresta la sua missione alla educazione delle coscienze, perché gli uomini spendano la loro vita nel bene, non la distruggano nel male arrecato a sé e agli altri. Perciò la Chiesa su questo confine si fa sollecita delle famiglie. La istituzione familiare da millenni assolve il compito di umanizzare sin dalla nascita gli esseri umani, negli affetti, nelle virtù morali, nella disciplina sociale. Questo ruolo della famiglia ha da sempre richiesto una organizzazione al costume sociale, alla legge civile, alla costituzione politica, e per i credenti a una religione. Oggi al modello di famiglia, consegnatoci attraverso un lungo processo di civilizzazione, cui hanno contribuito il diritto romano, il cristianesimo e i legislatori liberali, sembra volersi contrapporre, e non soltanto affiancare, un modello più immediatamente funzionale agli ideali individualistici della post-modernità. Il Novecento ha avuto come problema cruciale quello dello Stato, nelle sue filosofie e nelle sue guerre. Il nuovo millennio lo sta incontrando nella famiglia, come dilemma del suo superamento o della sua rinnovazione. Perché rifiutarsi di discuterne, quando si condivida una comune speranza nel migliore futuro dell’uomo?
Francesco Paolo Casavola

giovedì, dicembre 20, 2007

Come il Natale può declinare la parola pace


Napoli: CASAVOLA AI DIALOGHI IN DUOMO

Donatella Trotta da Il Mattino.

Il Natale cristiano come festa di pace. E di riconciliazione tra la terra e il cielo. Ma anche un’occasione di riflessione, che rimette al centro la gloria di Dio perché gli uomini e le donne «di buona volontà» possano «aspirare davvero a cieli nuovi e terre nuove, lottando per un presente diverso, e dunque per un cambiamento futuro del mondo», dice don Gennaro Matino, vicario episcopale delle comunicazioni sociali aprendo e moderando, ieri sera in Duomo, il quarto ed ultimo appuntamento voluto dall’arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe, con il ciclo di incontri di Avvento «in dialogo con la città». Dopo Erri De Luca, Fulvio Tessitore e Aldo Masullo, è il grande giurista e giudice costituzionale Francesco Paolo Casavola, storico del diritto romano, presidente del Comitato nazionale per la bioetica, a interloquire con il cardinale Sepe in cattedrale, dove i loro interventi si alternano a momenti di preghiera comunitaria e di musica, eseguita da monsignor Vincenzo De Gregorio all’organo e da Raffaele Pagano al violino con un coro finale. È «pace» la parola chiave dell’incontro conclusivo, che echeggia nella riflessione biblica del presule come nella testimonianza di Casavola. «La strada della pace passa per i cuori che vogliono riconciliarsi con Dio e con i fratelli; passa per le strade delle nostre città, che spesso non sanno più raccontare la speranza perché tra le loro mura non c’è alcun segno del ”Principe della Pace”» esordisce il cardinale Sepe, prendendo spunto dal respiro spirituale del Salmo 122 di Davide su Gerusalemme per approfondire il senso attuale del messaggio del profeta Isaia (la giustizia come fondamento della pace), rilanciato da Paolo VI: «lo sviluppo è il nuovo nome della pace». Gli fa eco Casavola, che rilancia il ruolo della famiglia nella società civile e per spiegare il senso della pace nel mondo antico prende le mosse da un’immagine presepiale, il rotolo sorretto dagli angeli con la scritta: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà». È in questa doppia endiadi, chiarisce Casavola, che si gioca «il più profondo significato del mistero dell’incarnazione». Inevitabili per entrambi, sul finire, i riferimenti a Napoli: per Casavola bisognosa di maggiore «cittadinanza attiva», in una dimensione di «famiglia estesa» nella quale la Chiesa di Napoli richiama «a questo dovere del coraggio civile». Quella stessa Chiesa che, precisa il cardinale Sepe in conclusione, «vuol porsi al servizio della comunità e riscoprire obiettivi condivisibili e, soprattutto, una rinnovata voglia di comunicare».