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domenica, settembre 16, 2007

Il cambiamento climatico, di destra o di sinistra, è sempre più un "affare"

Il cambiamento climatico è una realtà ed è un aspetto significativo della
variabilità ambientale naturale. Solo per l'uomo moderno tecnologico è una
novità. Per l'umanità no! Inconfutabili dati scientifici evidenziano che,
naturalmente, negli ultimi millenni si è verificato un cambiamento simile con
ciclicità millenaria.
L'inquinamento dell'atmosfera e dell'ambiente è una realtà. Per l'uomo moderno
tecnologico e per l'umanità è una novità. Mai prima d'ora si era registrato un
inquinamento dell'atmosfera di simile entità.
La storia del clima e dell'ambiente
Gli archivi naturali evidenziano che in passato le concentrazioni di gas tipo
CO2, metano ecc. hanno avuto sensibili variazioni naturali, aumentando nei
periodi con clima anche più caldo dell'attuale.
I cambiamenti del clima e dell'ambiente, in natura, si sono sempre verificati in
assenza di inquinamento ambientale antropogenico.
Gli archivi naturali integrati presenti nell'Area Mediterranea hanno consentito
di ricostruire la storia del clima e dell'ambiente delle ultime migliaia di
anni, come già evidenziato in Convegni internazionali organizzati a partire dal
1993 presso il Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali di Ravello. I
cambiamenti climatici anche più intensi dell'attuale si sono verificati su
scala millenaria, naturalmente e senza l'inquinamento atmosferico
antropogenico. La durata dei periodi caldi degli ultimi millenni è stata di
circa 150-200 anni. Questi ultimi sono correlabili con le variazioni di
attività solare su scala multisecolare ed in particolare con un accentuato
incremento delle macchie solari su scala plurisecolare.
L'attuale periodo di cambiamento climatico si sta instaurando secondo la
naturale ciclicità millenaria e si sta sovrapponendo ad un crescente
inquinamento antropogenico dell'atmosfera.
Il cambiamento climatico, quindi si svilupperà naturalmente, in relazione
all'attività solare, come accaduto 1000 anni fa. L'ambiente sarà interessato da
modificazioni rapide, diversificate in relazione alle attuali condizioni
climatiche connesse alla latitudine e alla orografia.
Indipendentemente dalle attività umane, le popolazioni dovranno, comunque,
adattarsi alle nuove condizioni climatico-ambientali.
Vanno attuate azioni tese a mitigare l'inquinamento atmosferico e ambientale in
generale, essendo coscienti che il cambiamento climatico-ambientale non può
essere contrastato. Sagge azioni devono essere individuate e attuate per
mitigare i danni all'ambiente antropizzato.
Tale conclusione, strettamente connessa ai dati scientifici multidisciplinari,
alla storia ambientale e alle previsioni delle modificazioni del prossimo
futuro, dovrebbe essere individuata come una pragmatica posizione di
"sinistra". Invece coloro che sostengono tali tesi sono marchiati di
reazionarismo, di essere al servizio degli inquinatori del globo e di favorire
l'ulteriore accentuazione della variazione climatica fornendo giustificazioni
addomesticate (cambiamento climatico ciclico e naturale).
In base ai dati climatici strumentali che coprono gli ultimi 150 anni di storia,
senza conoscere la storia del clima e dell'ambiente nelle ultime migliaia di
anni, i ricercatori raggruppati nell'IPCC, ai quali fanno acritico riferimento
i tecnici e funzionari dell'attuale Ministro dell'Ambiente che hanno preparato
la recente conferenza sui cambiamenti climatici del 12 e 13 settembre c.a.,
sono giunti alla conclusione che molto probabilmente il cambiamento climatico
attuale è provocato dall'inquinamento antropogenico dell'atmosfera. Tale
versione, autoreferenziata e non scaturita e validata da un confronto
scientifico internazionale multidisciplinare, è stata ampiamente lanciata nei
mass media con una vera e propria campagna pubblicitaria promozionale che ha
imposto una versione monocromatica della causa del cambiamento
climatico-ambientale. I governi di molte nazioni assumono, ormai, ufficialmente
che l'uomo sia la causa del cambiamento climatico. Quindi, per contrastare i
cambiamenti ambientali si deve intervenire sulle attività umane. Bisogna
ridurre la produzione di gas ad effetto serra. Come?
Ad esempio introducendo l'uso di biocarburanti per consumare meno combustibili
fossili.
Ecco come l'attenzione globale si è spostata, dagli interventi tesi a mitigare i
danni ambientali nelle aree che saranno più interessate dal cambiamento
climatico, sulle attività industriali che sono la fonte principale delle
emissioni di gas ad effetto serra con la propagandata presunzione di poter così
contrastare il cambiamento climatico (e non di contenere l'inquinamento
ambientale).
Gli interventi da attuare nel prossimo futuro, conseguentemente, sono previsti
nelle aree più industrializzate e causa prima delle emissioni inquinanti (che
avrebbero provocato danni a tutto il pianeta). Tali interventi devono essere
sostenuti anche dalla neocolonizzazione di aree poco sviluppate dal punto di
vista socio-economico, che sarebbero assoggettate per produrre i biocarburanti
necessari per ridurre le emissioni in atmosfera. In tal modo si crea una
competizione nell'uso del suolo nelle aree povere. Le foreste e le aree già
coltivate saranno progressivamente adibite alla produzione di biomassa per i
biocarburanti che saranno sempre più usati nei paesi ricchi.
Tale conclusione, strettamente connessa agli interessi economici dei paesi
ricchi a scapito dei paesi poco sviluppati, dovrebbe essere individuata come
una pragmatica posizione di "destra". Invece su tali tesi si trovano schierati
i partiti progressisti e quelli ambientalisti accanto ai neocolonialisti; per
ignoranza, disinformazione, speculazione economica, interessi vari, sono
sponsorizzati i biocarburanti, indiscriminatamente, sia dalle multinazionali
che si stanno accaparrando l'esclusiva della produzione di biomasse nei paesi
poveri che da coloro che dovrebbero essere i "progressisti" europei. Secondo
Fidel Castro tale politica neocoloniale provocherà la scomparsa prematura di
alcuni miliardi di abitanti delle aree povere.
Si ricorda che a gennaio in Messico è scoppiata la rivolta delle tortillas
poichè l'aumento della domanda del mais per la produzione di biocarburante ha
fatto aumentare vertiginosamente i prezzi al mercato da sette pesos al chilo,
l'equivalente di 50 centesimi di euro, a oltre 18. Ciò ha causato
manifestazioni di piazza da parte del popolo affamato.
Aumentano i dubbi sull'effettiva utilità dei biocarburanti, preparati con oli
vegetali, colze, girasoli e frumento.
Anche gli economisti dell'OCSE si stanno convincendo che il ricorso ai
biocarburanti è quanto mai pericoloso perché determina un immediato aumento dei
prezzi degli alimentari. L'offerta dei biocarburanti viene sovvenzionata e
sostenuta con sussidi pubblici dati agli agricoltori, invogliati a orientare e
a vendere in blocco le loro produzioni su questo nuovo mercato dei
biocombustibili; ciò determina effetti indesiderati ma prevedibili come
l'aumento dei prezzi per la produzione di alimenti. Altro effetto negativo è
rappresentato dalla riduzione della biodiversità con forti spinte a sostituire
gli ecosistemi naturali, come le foreste e i terreni da pascolo, con le colture
utili all'industria dei biocarburanti. Il così detto carburante alternativo,
che in Europa vale circa l'1% dei consumi totali con la punta del 3,75% in
Germania e del 2,23% circa in Svezia, secondo l'Ocse, al massimo può portare a
un calo del 3% delle emissioni di gas che provocano l'effetto serra. Il
vantaggio economico per i cittadini è quanto mai ambiguo dal momento che un
pieno di biocarburante viene a costare al consumatore quanto un pieno normale
solo perché la produzione è sostenuta a monte da sussidi pubblici ai
coltivatori e in parte viene caricata sulle spalle dell'industria petrolifera,
che almeno in Europa viene obbligata da una direttiva comunitaria a comprare
quote crescenti di biocarburanti da miscelare ai carburanti convenzionali.
E' evidente che i governi nazionali che incentivano la produzione di
biocarburanti non agiscono per favorire i cittadini ma per incrementare i
guadagni di gruppi industriali lobbistici internazionali.
Si deve constatare che la costosa campagna pubblicitaria che da qualche anno,
monopolisticamente, cerca di inculcare nella popolazione la convinzione che
l'uomo è l'unica causa del cambiamento climatico e delle catastrofi ambientali
che saranno ad esso connesse, vera e propria televendita ben sponsorizzata e
sostenuta economicamente, ha ottenuto un risultato che, se perseguito
acriticamente, porterà ulteriore ricchezza nei paesi industrializzati e sempre
più povertà nelle aree poco sviluppate del globo. Provocherà, con la
progressiva sottrazione di aree all'agricoltura per la produzione di cibo e la
distruzione delle foreste per produrre biomassa, un incremento delle emissioni
nocive in atmosfera e non mitigherà gli impatti ambientali del cambiamento
climatico nelle aree che, come 1000 anni fa, più saranno interessate.
Cosa fare?
Prima di tutto va immediatamente promosso un dibattito scientifico
multidisciplinare istituzionale internazionale, che finora è sempre stato
contrastato dalla lobby che sponsorizza l'IPCC e da coloro che vedono nel
cambiamento climatico una concreta possibilità di trarre vantaggi di vario
tipo.
Le conclusioni dell'IPCC non hanno basi scientificamente valide in quanto si
basano solo su dati climatici degli ultimi 150 anni; la storia del clima delle
ultime migliaia di anni non esiste per l'IPCC. La storia delle relazioni tra
attività solare e clima delle ultime migliaia di anni, evidenziata dai più
validi fisici solari internazionali, per l'IPCC non esiste. Per l'IPCC esiste
solo l'inquinamento atmosferico connesso alle attività antropiche degli ultimi
150 anni.
Scientificamente parlando, le conclusioni dell'IPCC non sono altro che un
edificio senza fondazioni. Il clima senza un passato non può fornire
indicazioni scientificamente valide per prevedere il futuro e tanto meno per
individuare le cause reali dei cambiamenti.
Dal punto di vista commerciale, le conclusioni dell'IPCC, per i paesi ricchi,
aprono la strada ad un neocolonialismo sfrenato e all'ulteriore degrado
socio-economico ed ambientale globale delle aree povere.
Va detto chiaramente che grazie alla efficace e interessata sponsorizzazione i
risultati dell'IPCC, scientificamente banali, si sono trasformati, per legge e
non per meriti scientifici, in verità scientifica.
L'applicazione del protocollo di Kioto va vista come attuazione di misure tese a
ridurre l'inquinamento atmosferico e non come modo per combattere il
cambiamento climatico.
Nelle aree povere dove il cambiamento climatico avrà significativi impatti
negativi e dove circa 3 miliardi di persone non hanno ancora accesso all'acqua
potabile, invece di sconvolgenti interventi neocoloniali, andrebbero attuate
misure efficaci per adattare l'ambiente alle nuove condizioni climatiche che si
intensificheranno nel prossimo secolo.
L'Europa finora si è accodata acriticamente e passivamente alla politica
neocoloniale imposta dagli sponsor dell'IPCC.
L'Europa corre il rischio di applicare misure neocoloniali anche tra i suoi
paesi membri in seguito ad una acritica promozione e facilitazione della
produzione di biomassa che andrà a scapito delle qualificate produzioni
agricole mediterranee.
Nel prossimo futuro i paesi del Mediterraneo, come accadde 1000 anni fa, saranno
interessati dalla desertificazione delle zone costiere fino a circa 41° di
latitudine e dai più marcati cambiamenti ambientali che incideranno
significativamente sull'economia e sicurezza ambientale.
Questa estate nell'Italia meridionale si è assistito ad una prova di
desertificazione testimoniata dalle ripetute invasioni aria calda merdionale
che ha determinato prolungati incrementi delle temperature che hanno seriamente
danneggiato migliaia di ettari di boschi (querceti) provocando l'essiccazione
delle foglie favorendo anche la diffusione degli incendi dolosi.
Non può sfuggire a coloro che hanno responsabilità nel governo delle istituzioni
pubbliche che proprio nell'Italia meridionale devono essere adottate concrete
misure ambientali per la difesa delle risorse naturali, idonee a contenere i
danni connessi al cambiamento climatico, e non misure tese ad avvantaggiare le
attività industriali prevalentemente della parte centrosettentrionale
dell'Europa che, come 1000 anni fa, sarà climaticamente favorita dalle nuove
condizioni.

Prof. Franco Ortolani
Ordinario di Geologia
Direttore del Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio
Università di Napoli Federico II

sabato, gennaio 20, 2007

Le associazioni presentano la Carta per il Clima, l’Equità e la Lotta alla Povertà

I temi della povertà e dell’equità sono connessi strettamente agli effetti dei mutamenti climatici e alle azioni che i singoli governi e la comunità internazionale devono intraprendere per rallentarne, e in prospettiva fermarne, i tragici effetti sulla Natura e sulle popolazioni. I poveri e i paesi meno sviluppati subiscono per primi, e in misura sempre crescente le conseguenze del riscaldamento globale, un fenomeno originato e alimentato dalle attività umane e da una crescita economica iniqua e non sostenibile, basata sull’utilizzo dei combustibili fossili inquinanti. La vulnerabilità dei poveri agli impatti dei mutamenti climatici fa sì che le agende siano strettamente connesse, e che non si possa affrontare un problema senza affrontare l’altro. Anche per questo in tutto il mondo le ONG, i movimenti della società civile e le organizzazioni sindacali stanno cooperando in modo sempre più stretto, e in alcuni casi hanno formalmente unito le proprie forze; in questa direzione si muove, in modo significativo, anche la Risoluzione adottata dal Comitato Esecutivo della Confederazione Europea dei Sindacati (Bruxelles, 18 ottobre 2006) 'Affrontare il cambiamento di clima: una priorità sociale, le vie d'azione'.
La visione
Per combattere i mutamenti climatici occorre puntare sulla qualità più che sulla quantità, individuare e usare forme di energia pulita, rinnovabile, diffusa, democratica, consumare meno e meglio, superare le differenze e le ingiustizie tra i popoli e le persone, in altre parole adoperarsi perché il Nord e il Sud del mondo possano condividere un orizzonte di buonsenso, di salute, di equità e di felicità. Va riconosciuto come l’assenza di una coerente politica in tal senso abbia comportato non solo danni ambientali difficilmente recuperabili, ma anche danni economici, sociali ed umani. Vanno pertanto ricercate soluzioni complesse ed articolate che includano la promozione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio tra cui la lotta alla povertà, l’accesso all’istruzione primaria, il miglioramento delle condizioni di salute, la sostenibilità ambientale e la cooperazione tra i popoli, unite alla promozione dell’occupazione dignitosa, di qualità nel pieno rispetto dei diritti fondamentali del lavoro e dell’ambiente e di politiche economiche e commerciali eque volte a superare la vulnerabilità dei paesi poveri.
Il contesto
La comunità scientifica internazionale ha ormai accumulato una grande quantità di dati che confermano che il clima stia cambiando e documenta il ruolo e la responsabilità umana in questo cambiamento. Il riscaldamento globale, provocato dall’incremento dell’effetto serra naturale, è dovuto principalmente all’aumento della concentrazione nell’atmosfera dei cosiddetti gas climalteranti, primo tra tutti l’anidride carbonica, la CO2. Questo aumento è provocato dalle attività umane, in massima parte dalle attività industriali di trasformazione dell’energia e dai sistemi di trasporto basati sull’utilizzo di veicoli a motore, alimentati con i combustibili fossili. Gli impatti dei mutamenti climatici sono visibili, percepibili e stanno progredendo più velocemente di quanto gli stessi scienziati si aspettassero.
Purtroppo mentre il mutamento climatico avanza, le trattative e le azioni dei governi per fronteggiare questa situazione che presenta scenari futuri drammatici, procedono in maniera lentissima e in alcuni casi con un’irresponsabile azione di negazione e mistificazione della documentazione scientifica sin qui raccolta.
I mutamenti climatici mettono e metteranno a dura prova la possibilità di tutti gli Stati di far fronte a tragedie di enorme portata, persino quelli degli Stati più ricchi del mondo. Ma la maggiore sofferenza ha colpito, e purtroppo colpirà, le persone e i paesi più poveri e vulnerabili del globo, che saranno a serio rischio di siccità, alluvioni, fame e incremento delle malattie. Questo determinerà un ulteriore aumento del livello di povertà, favorendo fenomeni epocali come le migrazioni di persone e l’aumento dei conflitti, aumentando il numero dei profughi ambientali che il Programma Ambiente delle Nazioni Unite stima aver già superato quelli di guerra. Anche la natura subirà enormi danni: per la metà di questo secolo, autorevoli previsioni indicano per un terzo delle specie terrestri il rischio dell’estinzione.
Nessuno conosce il limite di concentrazione dei gas climalteranti in atmosfera oltre il quale può verificarsi il passaggio di una soglia con effetti che potrebbero risultare devastanti ed incontrollabili per l’intera comunità umana presente sul pianeta. Numerosi scienziati indicano un aumento medio della temperatura globale di 2° gradi centigradi rispetto all’epoca preindustriale come la soglia oltre la quale gli effetti dei mutamenti climatici possono diventare irreversibili oltre che catastrofici. I Governi e la Comunità Internazionale hanno il dovere e la responsabilità di impegnarsi a fare di tutto per cercare di stare ben al di sotto di tale soglia, il che equivale a tagliare le crescenti emissioni di gas serra a livello globale in modo che raggiungano il loro picco massimo al più tardi entro il 2015. I paesi industrializzati devono ridurre le proprie emissioni di almeno il 20% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2015, e del 30-35% entro il 2020, per arrivare all’80% entro la metà del secolo. Gli altri paesi devono iniziare al più presto a disaccoppiare la crescita economica e dalle emissioni di CO2, garantendo comunque il diritto ad uno sviluppo sostenibile e l’accesso al bene comune energia.
Gli obiettivi a livello internazionale
I Paesi che provocano le maggiori emissioni di anidride carbonica, a partire da quelli che hanno la responsabilità della situazione attuale, devono adottare da subito politiche e programmi mirati a ridurre le proprie emissioni per fare in modo che il mondo possa rallentare e fermare il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C. Nel corso degli ultimi anni sono stati assunti impegni internazionali scarsamente mantenuti. Il Protocollo di Kyoto, approvato dalla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005, è uno strumento importante, per la sua duplice struttura costituita da indicazioni di politiche e misure e da strumenti di mercato per ridurre le emissioni; di grande rilievo la sua natura giuridica vincolante, che prevede sanzioni per i paesi industrializzati inadempienti. Per il primo periodo di azione del protocollo, che si concluderà nel 2012, gli obiettivi di riduzione fissati erano limitati, ma vanno stabiliti al più presto nuovi e significativi target per il post 2012. Tutti i paesi devono condividere il dovere di assicurare che i mutamenti climatici più pericolosi e dannosi siano evitati in modo permanente, e quindi impegnarsi in politiche che garantiscano il declino delle emissioni di gas serra entro il 2015. In tal senso, auspichiamo che le trattative internazionali divengano davvero efficaci e dirette per arrivare a un accordo che stabilisca e promuova quei tagli alle emissioni di CO2 che la comunità scientifica ci indica come necessarie e imprescindibili per rallentare, e in futuro fermare, i mutamenti climatici.
La lotta ai cambiamenti climatici presuppone azioni di ampio spessore politico ed economico e con un approccio sinergico. Per quanto riguarda le politiche commerciali, impegnare i paesi industrializzati ad introdurre modifiche sostanziali per far si che gli accordi commerciali siano in sintonia con le norme internazionali ambientali , che si definiscano politiche che abbiano approccio multilaterale mirate alla crescita dei mercati interni in particolar modo dei paesi poveri e delle popolazioni più povere, alla promozione e tutela del lavoro dignitoso, e di un commercio più equo, di una politica agricola sostenibile che, superando i sussidi alla esportazione e le misure protezionistiche che ostacolano i paesi poveri, sappia però anche dare risposte adeguate alla questione della sicurezza e della sovranità alimentare, con particolare attenzione all’agricoltura familiare e alla qualità dei prodotti.
Nell’aprire i mercati ai prodotti dei paesi più poveri, gli standard ambientali e di sostenibilità devono essere oggetto di programmi di condivisione proprio con i paesi più poveri sin dagli inizi della loro definizione affinché i paesi poveri non si trovino nelle condizioni di incontrare ostacoli al commercio.
Riteniamo inoltre necessario assumere immediatamente misure atte ad attenuare gli effetti del riscaldamento globale già in atto. Sono quindi necessari piani e misure di adattamento per i quali i paesi più poveri vanno assistiti, anche finanziariamente, dai paesi maggiormente responsabili dell’aumento della concentrazione dei gas serra in atmosfera.
Riteniamo indispensabile aiutare i Paesi in Via di Sviluppo a intraprendere la strada delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, per ottenere i maggiori benefici economici e ambientali possibili anche attraverso il ricorso allo strumento del Clean Development Mechanism (CDM) previsto dal Protocollo di Kyoto, a patto che tali progetti siano davvero addizionali alle misure già previste, efficaci e garantiti nel perseguire l’obiettivo della riduzione delle emissioni, e assicurino il pieno rispetto dei diritti delle comunità locali. In tal senso, si ritiene imprescindibile che tutti i progetti siano certificati secondo i criteri del Gold Standard assegnato solo a progetti di efficienza energetica e promozione delle fonti rinnovabili che apportino un alto contributo di sviluppo sostenibile (http://www.cdmgoldstandard.org/).
Riteniamo anche indispensabile aiutare i Paesi in Via di Sviluppo ad essere protagonisti del mercato del carbonio definendo per il periodo successivo al 2012 nuovi meccanismi come approcci di settore e politiche e misure di sviluppo sostenibile che riducano le emissioni e generino flussi di investimenti ambientalmente e socialmente sostenibili e trasferimenti di tecnologie pulite difficilmente raggiungibili solo con meccanismi basati su progetti.
A tal fine auspichiamo una politica di cooperazione internazionale mirata e coerente, partendo dal reperimento di adeguate risorse e attraverso nuove forme di finanziamento internazionale, condizionando altresì i finanziamenti dei singoli governi alle istituzioni internazionali e alle banche regionali di sviluppo perché i loro programmi siano fortemente coerenti con gli obiettivi di lotta al cambiamento climatico, alla promozione di uno sviluppo sostenibile e del lavoro dignitoso e sperimentando soluzioni innovative sul piano dei cambiamenti climatici, della tutela ambientale e del rispetto dei diritti umani e del lavoro. Per raggiungere questi obiettivi sarà fondamentale promuovere il confronto e la collaborazione degli esperti in materia di sviluppo, lavoro, commercio, ambiente e cooperazione al fine di promuovere seri programmi di sviluppo sostenibile.
Sarà altrettanto fondamentale promuovere programmi a sostegno della riconversione industriale e al sostegno sociale per la riallocazione delle risorse lavorative. Importante sarà pertanto la promozione delle Linee Guida OCSE sulle multinazionali, una seria definizione di programmi di CSR [Responsabilità Sociale di Impresa] e una strategia mirata da proporre alla prossima scadenza del G8 . La CSR, il commercio equo e solidale, la finanza etica ed il microcredito potranno essere i concetti chiave e gli strumenti operativi per la promozione di un nuovo approccio alla cooperazione.
Gli obiettivi in Italia
Per quanto riguarda l’Italia – terza nazione per emissioni in Europa - sottolineiamo che il nostro paese è molto lontano dall’obiettivo, ancorché minimo, fissato per il primo periodo del Protocollo di Kyoto, anzi sta andando in senso diametralmente opposto. Le misure per tagliare le emissioni di anidride carbonica non devono essere vissute come un danno, ma come un'opportunità storica per raggiungere uno stile di vita più equilibrato e basato sulla qualità, ma anche come l’occasione per affrontare e risolvere i problemi di dipendenza energetica del paese e come un’opportunità economica. Occorre dar vita a un vero e coordinato piano energetico nazionale (“a tutto tondo” e interdisciplinare) per tagliare le emissioni di anidride carbonica, affrontando i problemi in tutti settori produttivi, negli usi civili e nei trasporti; riteniamo che vadano pensate e usate le leve della fiscalità e vada rimessa mano agli incentivi per assicurarsi che siano efficaci e diretti a promuovere l’efficienza energetica, le fonti di energia davvero rinnovabile e pulita che necessitano di sostegno, la mobilità sostenibile. In tal senso, la legge Finanziaria 2006 costituisce un primo passo positivo, ma parziale.
In tale piano vanno coinvolte le amministrazioni regionali e locali, prevedendo la condivisione dei target e degli impegni specifici nei settori di loro competenza.
La missione
Le associazioni e organizzazioni che sottoscrivono questo documento si impegnano, insieme e ognuno nel proprio ambito, a battersi perché i mutamenti climatici indotti dall’uomo siano controllati e tenuti al di sotto dell’aumento dei 2°C rispetto al periodo preindustriale, e ritengono questo fine strettamente connesso al loro impegno di promuovere la giustizia sociale, ambientale ed economica a livello globale.
ELENCO ADESIONI ALLA CARTA PER IL CLIMA, L’EQUITÀ E LA LOTTA ALLA POVERTÀ
Associazioni e organizzazioni riportate in ordine alfabetico
ACLI
ActionAid International
Altraeconomia
Armadilla
Associazione ONG Italiane: A.C.R.A.; A.C.S.; A.D.R.A. ITALIA (OSA); A.F.M.A.L.- F.B.F.; A.I.C.O.S.; A.I.D.O.S.; A.I.S. –Seguimi; A.I.S.P.O.; A.M.R.E.F.; A.M.U.; A.N.L.; A.N.P.A.S.; A.P.S; A.R.C.S.; A.S.eS.; A.S.I. – SA; A.S.I.A.; ALISEI; AMANI ONLUS; A.S.F.; Associazione Monserrate; Associazione Orlando; C.A.S.T; C.C.M.; C.C.S.; C.D.S.; C.E.S.E.S.; C.E.S.T.A.S.; C.I.A.I.; Centro Internazionale Crocevia- C.I.C.; C.I.C.S.E.N.E.; C.I.E.S.; C.I.N.S.; C.I.P.M.O.; C.I.P.S.I.; C.I.S.P.; C.I.S.S.; C.O.C.I.S.; C.O.S.V.; C.R.I.C.; C.T.M. – Lecce; CARITAS ITALIANA; CE.S.P.I; CE.SVI.Te.M.; Ce.V.I.; CENTRO ELIS; CESVI; Co.S.P.E.; Comunità di Sant'Egidio-ACAP; Comunità Papa Giovanni XXIII; COOP.I.; D.P.d.U.; DISVI; Dokita; E.N.Gi.M.; F.d.Uo.; Fondazione Brownsea; G.A.O.; G.M.A.; G.R.T.; G.U.S.; G.V.C.; I.C.E.I.; I.C.U.; I.F.P.; I.S.C.O.S.; I.S.I.; Il Sole; INTERSOS; INTERVITA; ITACA; L.T.M.; Legambiente; M.A.G.I.S.; M.A.I.S.; Mani Amiche; MANI TESE; Movimento Africa '70; Movimondo; N.S.S.; Nexus CGIL; Oikos; PEACE GAMES; Progetto Continenti (PC); PRO.SUD; PROSVIL; R.C.; RE.TE; S.C.S.F.; S.J.A.Mo.; S.P.S.; Secco Suardo; SENIORES; SINERGA; SIV.Tro. – VSF; SUCOS; Sviluppo 2000; TdH Italia; Te.N. Terra Nuova; U.Co.De.P.; V.I.D.E.S. Internazionale; V.I.S.; V.I.S.E.S.; V.O.S.S.; Voglio Vivere; Volontari nel Mondo – FOCSIV e le 60 ong associate: A.B.C.S.; A.C.A.V.; ACCRI.; A.D.P.; A.E.S.-C.C.C.; Ai.Bi.; AIFO; A.L.M.; AMAHORO Onlus; A.M.G.; ASAL; A.S.I.; A.S.P.Em.; AVAZ; AVSI Fondazione; CEFA; CELIM BERGAMO; Ce.L.I.M. Milano; Centro Mondialità Sviluppo Reciproco; C.I.S.V.; C.L.M.C.; C.O.E.; CO.M.I.; CO.MI.VI.S; Cooperazione e Sviluppo; CO.P.E.; C.P.S.; C.V.C.S.; C.V.M.; EsseGiElle; FON.SIPEC; FON.TOV.; GVS; I.B.O. Italia; IPSIA – ACLI; LABOR MUNDI; L.V.I.A.; Medici con l'Africa C.U.A.M.M.; MLAL; M.L.F.M.; M.M.I.; MO.C.I.; M.S.P.; O.P.A.M.; O.S.V.I.C.; O.V.C.I.; OVERSEAS; PdF; PRO.DO.CS.; PRO.MOND.; R.T.M.; SCAIP; Senzaconfini Onlus; S.V.I.; U.C.S.E.I; U.M.M.I.; U.V.IS.P.; V.I.D.E.S.; V.I.S.B.A.; V.I.S.P.E.
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