Il rapporto SVIMEZ si presenta come un vero e proprio Baedeker dell’economia meridionale, in un vasto quadro comparativo, che si estende ben oltre i confini nazionali. L’ampiezza dei temi affrontati e la numerosità dei dati disponibili fanno, delle elaborazioni dell’Associazione fondata nel 1946, uno strumento unico per l’esame delle condizioni del Mezzogiorno e la definizione delle relative strategie di sviluppo. Queste analisi sono talmente affidabili che la Banca d’Italia le prende come riferimento essenziale per le proprie ricerche. Lo scenario complessivo che emerge dall’indagine di quest’anno è quello di un paese connotato da tempo “da una condizione di relativo declino”, aggravata dai fenomeni di contrazione della crescita economica nel 2007 e di inasprimento del contesto internazionale nel 2008. È in questo quadro, già di per sé complicato, che il Mezzogiorno manifesta tutti i suoi limiti strutturali, con tassi di crescita costantemente inferiori a quelli del resto del paese. Il PIL meridionale è cresciuto lo scorso anno dello 0,7%, un punto in meno che nel resto dell’Italia, con una diminuzione di 0,4 punti percentuali rispetto al 2006: ormai, è da sei anni ininterrotti che il Sud presenta questo divario di crescita. In termini di PIL pro capite, si è verificato un recupero del gap, legato, però, al minore aumento della popolazione del Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord: un fenomeno definito, a giusta ragione, una “via patologica” alla convergenza. Dal punto di vista della dinamica degli investimenti, va registrato un aumento molto lieve (dello 0,5%), con un calo di quasi due punti percentuali rispetto all’incremento dell’anno precedente; a questo, si è aggiunto un persistente indebolimento nell’andamento dei consumi interni nel Mezzogiorno. Tuttavia, i dati più significativi del rapporto SVIMEZ 2008, che mettono in evidenza processi nuovi e criticità di fondo del Mezzogiorno, riguardano la dinamica dei servizi, la questione delle grandi aree urbane, la convergenza e gli indici di competitività a livello europeo, il mancato adeguamento del Sud al mercato globale. Mentre il settore industriale ha mostrato negli ultimi anni una sostanziale tenuta, con un primo recupero di produttività, è il settore dei servizi, con il suo andamento negativo, a spiegare in ampia parte la disparità di crescita tra Mezzogiorno e Centro-Nord. Si tratta di una novità recente, dovuta, soprattutto, alla mancata ristrutturazione del settore terziario: l’inflazione e l’incapacità di salvaguardare gli standard di consumo delle famiglie meridionali hanno fatto il resto. D’altro canto, le città, che a livello globale rappresentano veri e propri “motori di sviluppo”, nel Mezzogiorno si trasformano in fattori di freno e condizioni di svantaggio, come è dimostrato dalla vicenda emblematica di Napoli, non solo per lo smaltimento dei rifiuti, ma per il complesso del funzionamento dei servizi, del sistema urbano e del tessuto sociale. Il Mezzogiorno, peraltro, è l’unica eccezione, nel panorama europeo, al processo di avvicinamento strutturale, che ha visto crescere notevolmente, dal 2000 in poi, sia le economie dei nuovi Stati membri, che quelle delle altre regioni dell’obiettivo “convergenza”. Inoltre, esaminando gli indicatori di competitività delle diverse regioni europee, si nota che il Sud presenta uno stato di consistente inferiorità, soprattutto per i tassi di occupazione, il capitale umano – con una forte penuria di laureati nelle discipline scientifiche – e le attività di ricerca e sviluppo. Infine, vengono in evidenza le gravi difficoltà del Mezzogiorno perfino nei confronti delle altre aree deboli dell’Unione europea, a causa di vari elementi concomitanti: una fase protratta di ristagno dell’economia nazionale; il deficit di qualità ed efficienza della pubblica amministrazione; la diffusione della criminalità organizzata; gli ostacoli frapposti alla realizzazione delle infrastrutture e alla liberalizzazione dei mercati; l’inconsistenza e la scarsa efficacia della politica regionale di sviluppo, di carattere nazionale o comunitaria. Quest’ultima presenta il risultato paradossale di una limitata capacità della spesa pubblica complessiva in conto capitale, discesa addirittura al 35,3% nel 2007, ma, al tempo stesso, di una grande frammentazione degli interventi, che finora ha impedito la convergenza delle regioni meridionali verso la coesione economica. A questa descrizione, già abbastanza fosca, vanno aggiunti altri problemi di natura sociale, come la incipiente povertà – che riguarda oltre la metà delle famiglie con una sola retribuzione –, legata ad una distribuzione del reddito sempre più sperequata nel Sud. O come la desertificazione demografica di un Mezzogiorno caratterizzato da nuove migrazioni, da forme inedite e laceranti di pendolarismo, da un’immobilità interna della popolazione del tutto inattuale. I rimedi indicati dalla SVIMEZ non vanno affatto interpretati come la riproposizione di vecchie impostazioni statalistiche, del tutto irrealizzabili; piuttosto, come il rigoroso tentativo di percorrere le strade più realistiche per un impegno immediato, ma di lunga lena, volto alla ridefinizione della politica per la macroarea meridionale. I cardini di questa proposta riguardano: la possibilità di una riforma interna della programmazione – superando logiche di localismo e dispersione territoriale – e di un diverso utilizzo dei finanziamenti nazionali ed europei, guardando sia alla quantità delle risorse ordinarie, che alla qualità degli interventi da attuare; la definizione di un federalismo fiscale, nel quale non prevalga un’idea inaccettabile di chiusura dei conti tra la parte più ricca del paese e quella più arretrata, ma un’esigenza di efficiente, equilibrata e solidale ripartizione delle responsabilità, sulla base dei principi della sostenibilità e dell’autonomia finanziaria; la capacità di puntare sulle iniziative necessarie per valorizzare le esportazioni di beni e servizi, per favorire l’internazionalizzazione delle imprese meridionali, nonché, per incrementare notevolmente l’attrazione di capitali esteri nel Sud; la realizzazione di un vero sistema dei trasporti, non più periferico, e di un nuovo mercato del credito meridionale, a partire dal ruolo dei Confidi. Si tratta di solo alcune delle proposte avanzate dalla SVIMEZ, in un contributo di grande portata per la comprensione dell’economia meridionale attuale. Ma si tratta anche delle principali intuizioni per un nuovo meridionalismo, rivolto sempre più a costruire il futuro dell’Italia in una chiave, non di rivendicazionismo, ma di impegno e responsabilità.
A partire dall'esperienza associativa vissuta nelle ACLI e da quella amministrativa a Napoli e Castellammare di Stabia utilizzo questo spazio per affrontare i temi del dialogo tra le generazioni, del lavoro, della formazione, del welfare, della partecipazione e della loro necessaria innovazione.
domenica, luglio 20, 2008
Rapporto Svimez 2008. un declino costante.
Amedeo Lepore
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2 commenti:
good start
quello che stavo cercando, grazie
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