sabato, marzo 30, 2013

Tutto il resto è noia.....se n'è andato anche il Califfo.

 È proprio una Pasqua tragica per la musica italiana. Venerdì Enzo Jannacci, sabatoFranco Califano. Nell'arco di 24 ore se n'è andato prima un simbolo di Milano, poi uno di Roma, «er Califfo». Nel mondo anglosassone per descrivere uno come Califano si usa l'espressione «larger than life» (più grande della vita), lui di sè diceva: «ero bello esagerato». Er Califfo, ma la cerchia dei suoi fan lo chiamava «il maestro», è stato un autore di classici della canzone, un interprete di successo, un poeta, un attore, un protagonista delle cronache per le sue amicizie pericolose e le sue rischiose abitudini. 


LA MALATTIA E I PROBLEMI ECONOMICI I suoi ultimi anni sono stati difficili: aveva sperperato un patrimonio, il fisico, cui aveva sempre chiesto molto, cominciava a cedere e finì sui giornali perchè aveva richiesto l'aiuto della legge Bacchelli. Il 18 marzo aveva cantato al Sistina di Roma. Ma proprio quando la sua vicenda si stava avviando al declino, è stato riscoperto dalla nuove generazioni, Fiorello gli ha dedicato una delle sue imitazioni più popolari, i Tiromancino hanno registrato con lui, come hanno fatto jazzisti importanti come Stefano Di Battista. Al di là delle sue vicende legali, Franco Califano stava all'Italia come i personaggi portati sullo schermo da Jean Paul Belmondo e Alain Delon dei tempi d'oro stanno alla Francia. Un fuori classe della seduzione dal fascino maledetto e dall'ironia devastante che dagli anni '60 in poi, cominciando come attore di foto romanzi, si è lanciato in una vita vissuta pericolosamente. Califano ha firmato alcune dei più bei titoli della canzone italiana, come «Minuetto», «La musica è finita», «E la chiamano estate», «Una ragione di più», ha scritto per gli interpreti più prestigiosi, a cominciare da Mina, ha composto «Gente de borgata». Ma se c'è un titolo che sintetizza la sua vita e la sua carriera è «Tutto il resto è noia», un caso di scuola di brano che diventa un manifesto esistenziale. Scriveva poesie ed era autore e interprete di monologhi che oscillavano tra il comico e il dramma, istantanee di vita alla deriva (il giocatore di Nun me portà a casa) che si affiancavano a storie di travestiti o gravidanze inaspettate. Le sue vicende giudiziarie, la sua vocazione alla trasgressione e l'insofferenza verso le convenzioni hanno sicuramente aiutato a far nascere il mito dello chansonnier maledetto ma sicuramente non hanno aiutato la sua carriera (nel 1984 ha inciso l'album «Impronte digitali» agli arresti domiciliari). È stato un personaggio scomodo, controverso, che ha messo in scena la sua vita al massimo e che, forse, ha amato davvero soltanto la musica.

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