lunedì, luglio 26, 2010

ACLI Terra: Il dialogo sociale europeo


ROMA - Il «dialogo sociale» in Europa non è soltanto un complesso di procedure sempre più formalizzate per produrre effetti di collaborazione ed anche di contrattazione tra organizzazioni sindacali, organizzazioni di imprenditori e Istituzioni pubbliche.
Di più, è un comportamento che segna il passaggio da un ordinamento comunitario, caratterizzato da una prevalente visione economica dei rapporti tra soggetti ed interessi che dovevano essere regolati dal mercato, ad una nuova visione che, della politica sociale, fa uno dei suoi tratti più caratterizzanti.
Su questo tracciato si è sviluppata la relazione, tenuta a Torino da Michele Zannini, Presidente nazionale di Acli Terra, al Seminario Europeo promosso dall’ICRA (International Catholic Rural Association), assegnando un particolare rilievo al ruolo che può svolgere l’agricoltura per dare contenuti forti ed impegnativi al «dialogo».

Per Zannini «L’agricoltura non è solo produzione di alimenti, mentre va ripensata nella sua più complessa dimensione «rurale» che fa riferimento al territorio e all’ ambiente.
Una visione più impegnativa, dunque, che registra questioni di vivibilità e socialità delle aree rurali; e anche quella della qualità del consumare e dell’abitare i territori.
L’agricoltura è un «luogo» dove, sempre più, si costruiscono valori di legame, di relazione, oltre che valori d’uso e di scambio.
Mentre siamo in piena fase di discussione sulla riforma della PAC, è fondamentale rappresentare il valore del comparto in un’ottica di ricomposizione delle ragioni, di natura sociale e culturale, con quelle prevalentemente economiche, originarie, che individuarono il primato dell’agricoltura nelle politiche costitutive dell’Europa unita.
L’agricoltura può essere un volano formidabile di integrazione sociale e culturale, di crescita economica e di sviluppo di nuova occupazione, di innovazione nell’impiego delle risorse energetiche e di mitigazione dei cambiamenti climatici.
È proprio il complesso di azioni tipiche delle comunità rurali, in grado di preservare elementi di vitalità sociale, oltre che economica dei territori vissuti dagli agricoltori, che domanda l’ideazione di una nuova politica agricola comunitaria.
Azioni come quella della custodia dei paesaggi e dell’ambiente, della protezione e valorizzazione delle biodiversità, della produzione di cibo sano.
Questo vuol dire che dobbiamo continuare ad insistere su una accezione più ampia del rurale e del territorio, una visione che integra la dimensione economica, ambientale e sociale dei protagonisti e che coltiva una prospettiva forte di inclusione sociale delle fasce più deboli delle popolazioni rurali, dovunque esse vivono, per farle vivere meglio, nelle aree rurali più solide, in quelle più fragili e marginali, in quelle periurbane.

Allo stato della discussione sul percorso di riforma della PAC, ritengo fondamentale che una nuova politica sia orientata a:
- riconoscere e valorizzare l’apporto che l’agricoltura è in grado di fornire in una prospettiva di sostenibilità, senza sottovalutare la funzione sempre strategica della produzione di beni alimentari. Serve, in ogni caso, una politica agricola che dia la possibilità a quasi 14 milioni di aziende agricole europee di continuare a fare il loro mestiere, che è quello di garantire cibo per un mercato di 500 milioni di persone;
- sostenere la produzione di beni pubblici e relazionali, tipici di una dimensione non marginale dello sviluppo multifunzionale e sociale dell’agricoltura;
- sostenere lo sviluppo dei territori rurali, in tutte le loro componenti, quelle a carattere materiale, ma anche quelle a carattere immateriale, senza trascurare interventi strutturali per consentire l’impiego più efficiente delle risorse;
- rivalutare la funzione fondamentale della produzione di beni ambientali, tipica dell’agricoltura, perché essa sia, sul piano qualitativo e su quello quantitativo, adeguata alle domande dei consumatori e dei cittadini in genere;
- privilegiare lo sviluppo rurale, pensandolo come indispensabile per promuovere il ruolo delle comunità locali di protagoniste di politiche pubbliche. Infatti, in un’ottica di sussidiarietà e di decentramento, le politiche di sviluppo rurale possono connettersi ai bisogni e al ruolo attivo delle comunità locali, molto più di quanto lo siano quelle di mercato, generalmente gestite da strutture burocratico-amministrative centrali e tendenti agli oligopoli.

Insisto in particolare su questo aspetto, perché penso alla possibilità che proprio le politiche locali di sviluppo debbano in futuro essere sostenute, piuttosto che attraverso erogazioni automatiche di aiuti alle imprese, principalmente in relazione a progetti che le imprese singole e/o associate dovranno proporre in condizioni di coerenza e di integrazione con i progetti di sviluppo dei territori.»

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