(di Conchita Sannino da la Repubblica Napoli)
«Ogni croce va portata. Ogni passaggio di vita ha la sua sofferenza. Anche questa la porteremo facendo la volontà di Dio. Certo, è una bella croce». Crescenzio Sepe chiude una lunga domenica di passione con parole amare, e uno sguardo appena velato. Al mattino, qualcuno ha fatto volare colombe al suo passaggio, in una chiesa sul corso umbertino. Quando cala il buio sulla sua prima giornata da indagato, il cardinale è ancora dietro un altare. Celebra la messa solenne per i 42 anni della Comunità di Sant´Egidio, poi si consegna alla folla che lo attende dopo l´ultima benedizione e lo abbraccia, gli pronuncia parole di incoraggiamento, lo spinge al sorriso. A circondarlo, autorità e famiglie semplici, giovani e cantori, bambini disabili, qualche nonna in carrozzella, oltre al prefetto di Napoli, i vertici delle forze di polizia, qualche parlamentare.
I dubbi della sua gente, ammesso che affiorino, vengono soffocati sul fondo. Può mai essere lui, il monsignore della corruzione? Una voce, tra le altre, arriva dalle cappelle laterali: «Di tutte le sue aste di beneficenza, il nostro vescovo ha fatto sapere punto per punto dove andavano i soldi. Pure i suoi regali personali ha messo in vendita».
È qui, ora, la Gerusalemme di Sepe. Il luogo del pubblico processo. Il cardinale cita il Vangelo e sembra parlare del calvario che lo attende e dovrà attraversare. «Il clima che ci circonda oggi – sottolinea infatti durante l´omelia – è quello che produce sofferenza per rimanere fedeli a Cristo. Pensateci, la cultura dominante è quella della tracotanza, della criminalità, e poi superbia, invidia, gelosia. Dentro e fuori la Chiesa».
Un pastore che alza la testa di fronte alle accuse, gravi, che rimbalzano da Roma. E su cui la Santa Sede non avrebbe offerto subito la solidarietà e la vicinanza «che si deve ai suoi operai nella vigna». «Non ho niente da nascondere. Collaborerò al più presto con la magistratura», ribadisce Sepe, a margine delle quattro iniziative che ha guidato, nella domenica della “croce”. Già oggi potrebbe convocare una conferenza stampa. E nei prossimi giorni rispondere, sempre da Napoli, alle domande dei pubblici ministeri in trasferta da Perugia.
Ma è a sera, nel superbo chiostro di San Lorenzo Maggiore, che il cardinale tradisce un velo di stanchezza. In cima a quelle pietre che raccontano la stratificazione della città greco-romana e sono il raccordo tra la sua cultura pagana e il culto del sangue dei martiri, Sepe stavolta non si ferma a giocare con gli ospiti, né a onorare il buffet. Non una sfogliatella, neanche un bicchiere, per questa domenica. Si prende invece la stretta calorosa della gente, incassa altri applausi, mentre le religiose conducono i rosari per lui, al riparo dei chiostri. Le mani delle anziane lo accarezzano, soprattutto. È quasi carnale la difesa che Napoli mette in scena per il suo vescovo.
Come se non volesse perdere sorriso e tempra di un altro goleador, un vincente. Un cardinale che «ci ha portato il Papa a Napoli», che va a benedire e «a fare il tifo al San Paolo quando la squadra torna in serie “A”». Che si infila nelle tane del degrado, che passeggia tra i pregiudicati del Parco verde di Caivano, tra i poveri del rione Salicelle ad Afragola, l´hinterland dei nessuno. Anche il sindaco Iervolino fa arrivare a Sepe, «nel pieno rispetto del lavoro della magistratura, l´affettuosa solidarietà» e si dice sicura che il cardinale «chiarirà le circostanze che sono in discussione e proseguirà serenamente la sua missione pastorale tanto cara al popolo di Napoli». Stessa vicinanza dal governatore Stefano Caldoro. Forse, il segreto del legame tra un vescovo e la sua terra è nelle parole che Erri De Luca, scrittore, non credente, pronunciò nell´ottobre di due anni fa a Roma. «Sepe fa a Napoli quello che il vento secco e buono del nord fa con la roccia, migliora le sue aderenze, espugna cittadini inespugnabili». È ancora integra l´immagine? De Luca risponde oggi con slancio. «Penso che questa storia non comprometta il rapporto tra Sepe e Napoli. Davvero lui ha aperto orecchie, occhi, ha esercitato un´aderenza fisica di quelle da polpastrello su roccia, e proprio a Napoli, città scivolosa. Quest´opera è frutto del suo lavoro, di un talento e di una volontà».
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