mercoledì, marzo 31, 2010

Lavoro, Napolitano non firma la riforma: servono più garanzie sui licenziamenti

Giorgio Napolitano

ROMA (31 marzo) - Poche garanzie per i lavoratori e testo troppo eterogeneo su norme delicate. Per questi motivi il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non ha firmato il disegno di legge che riforma alcune parti del diritto del lavoro - tra cui anche l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che disciplina i licenziamenti - voluto dal governo e approvato nei giorni scorsi dal Parlamento. Il provvedimento sul lavoro è la prima legge che Napolitano rinvia alle Camere. A provocare lo stop del Quirinale è stata fra l'altro la nuova procedura di conciliazione e arbitrato introdotta dal provvedimento, che di fatto incide sulle norme dell'articolo 18.

In particolare la norma finita nel mirino del Colle è l'articolo 31 del testo approvato dal Parlamento. Si prevede che già nel contratto di assunzione, in deroga dai contratti collettivi, si possa stabilire che in caso di contrasto le parti si affidino a un arbitrato. Il timore è che al momento dell'assunzione il lavoratore sia cotretto ad accettare la via dell'arbitrato, che lo garantisce di meno rispetto, al contratto tradizionale che prevede l'articolo 18 e quindi la tutela per chi è licenziato senza giusta causa.

Il capo dello Stato, spiega una nota del Quirinale, non ha firmato il provvedimento intitolato "Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione degli enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro", a causa della «estrema eterogeneità della legge e in particolare dalla complessità e problematicità di alcune disposizioni - con specifico riguardo agli articoli 31 e 20 - che disciplinano temi, attinenti alla tutela del lavoro, di indubbia delicatezza sul piano sociale».

Servono precise garanzie. Il presidente della Repubblica, a norma dell'articolo 74, primo comma, della Costituzione, ha chiesto quindi alle Camere una nuova deliberazione sulla riforma del lavoro. In particolare Napolitano, continua la nota, ha «ritenuto opportuno un ulteriore approfondimento da parte delle Camere, affinché gli apprezzabili intenti riformatori che traspaiono dal provvedimento possano realizzarsi nel quadro di precise garanzie e di un più chiaro e definito equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale».

Successivamente ambienti del Quirinale hanno fatto notare che nel comunicato del presidente della Repubblica non si fa riferimento all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, poiché le questioni sollevate - come risulterà evidente dalla lettura del messaggio del Capo dello Stato al Parlamento - riguardano la necessità di più ampi adeguamenti normativi che vanno ben al di là di quel tema specifico.

Il governo terrà conto dei rilievi mossi dal capo dello Stato. Lo ha detto, intervistato dal Tg1, il titolare del Welfare Maurizio Sacconi. «Rispetto la decisione» del presidente Napolitano di non firmare il disegno di legge, ha affermato il ministro. «Il capo dello Stato chiede un ulteriore approfondimento da parte del Parlamento che - ha assicurato - ci sarà». Come governo, «proporremo alcune modifiche che mantengano in ogni caso un istituto che lo stesso presidente della Repubblica ha apprezzato».

«È nel suo potere rimandare alle Camere» una legge, «io non ho nulla da eccepire». Così il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha commentato - nel corso di un'intervista a Sky Tg24 - la decisione del presidente della Repubblica. «Il problema è quello dei cosiddetti decreti omnibus - ha aggiunto Maroni - ma io non ho seguito direttamente il provvedimento».

«Apprezziamo la decisione del presidente della Repubblica di rinviare alle Camere l'esame del ddl lavoro». Lo ha detto Cesare Damiano, capogruppo Pd in commissione Lavoro della Camera. «Anche in questo caso - rileva - ci troviamo di fronte a motivazioni rigorose e argomentate che fanno riferimento alla eterogeneità delle norme contenute nel provvedimento e alla loro delicatezza, viste le ricadute sulle tutele del mondo del lavoro. Come Pd - annuncia - ripresenteremo i nostri emendamenti respinti dal governo, a partire da quelli relativi al tema dell'arbitrato secondo equità».

«Finalmente il Presidente della Repubblica batte un colpo e rimanda alle Camere la legge che voleva modificare, anzi svuotare lo Statuto dei lavoratori»: lo afferma Antonio Di Pietro, leader dell'Idv.

«La Cgil esprime soddisfazione e apprezzamento per la decisione del Quirinale». È quanto afferma il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. «È una decisione - prosegue - che conferma le considerazioni della Cgil sugli aspetti critici del provvedimento». Epifani ha più volte sostenuto che il provvedimento «riduce i diritti di chi lavora».

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