Il Rapporto SVIMEZ di quest’anno si svolge intorno all’asse centrale dell’incidenza della crisi economica globale sul Mezzogiorno. Infatti, è nel contesto della recessione in atto, caratterizzata da una drastica riduzione degli ordinativi, della produzione industriale, degli investimenti e dell’occupazione, che si colloca “il processo incompiuto di trasformazione dell’economia meridionale in questi ultimi anni”. Anche da questa incompiutezza trae origine l’ulteriore aggravamento delle condizioni del Sud, che, a causa della micidiale combinazione di crisi economica e delegittimazione politica, appare incapace di realizzare una struttura istituzionale, produttiva e di mercato più competitiva, oltre che di contribuire alle prospettive di ripresa dell’intero sistema italiano. L’idea che la crisi dovesse colpire principalmente le aree del paese più avanzate e aperte (e, per questo, più esposte alla concorrenza internazionale) si è dimostrata priva di ogni fondamento, visto che i dati della SVIMEZ evidenziano una caduta dell’economia maggiore nel Mezzogiorno che nel Centro-Nord. Il peso più grave della crisi si riversa sul mercato del lavoro meridionale, che subisce improvvise diminuzioni dell’occupazione e una crescita del tasso di disoccupazione, provocando una discesa dei redditi da lavoro e una contrazione della domanda interna, in aggiunta alle altre tendenze negative. Una visione generale consente, non solo, di inserire il rapporto Nord-Sud nel quadro più ampio della recessione mondiale in atto, ma anche di osservare come, nell’ultimo decennio, la corsa del gambero del Mezzogiorno nei confronti delle regioni più ricche del paese sia avvenuta in controtendenza con quanto è successo nel resto dell’Europa, dove le aree dell’Obiettivo 1 si sono sviluppate ad un tasso superiore a quello della media dell’Unione. Il Mezzogiorno, dunque, appare come la “Cenerentola d’Europa”: l’Italia, per di più, è l’unico caso di un paese spaccato in due, con una migrazione dal Sud molto intensa, che investe, in particolare, i giovani - l’emorragia più forte è in Campania - e una capacità di attrazione al Centro-Nord di flussi interni ed esteri, costituiti da intelligenze e manodopera. Di fronte a questa situazione, la SVIMEZ propone una riforma della politica per il Sud, in grado di concretizzare un progetto nazionale per la crescita del Mezzogiorno, incentrato su una specifica strategia industriale, sul profondo miglioramento della qualità ambientale dei territori, sulla diffusione delle reti infrastrutturali, tecnologiche, formative e creditizie, sull’avvio di trasformazioni profonde della Pubblica Amministrazione e dello Stato sociale. Si tratta di obiettivi pienamente convergenti con l’appello del Presidente della Repubblica, che, indicando il superamento degli squilibri territoriali come la base per una solida ripresa del processo di sviluppo, ha sottolineato la necessità di “un forte impegno di efficienza e di innovazione da parte delle istituzioni meridionali” e, al contempo, di “una strategia di politica economica nazionale mirata al superamento dei divari”. L’altro tema, ripreso proprio in questi giorni, della formazione di un partito del Sud si muove in un ambito lontano da quello della SVIMEZ e non appare del tutto nuovo, visto che un’analoga discussione si era sviluppata intorno al libro di Sereni sul Mezzogiorno all’opposizione, con la netta presa di posizione di Giorgio Amendola, che considerava equivoca l’idea di una “unità del Mezzogiorno”. Allora, come oggi, si tentava di sostenere “una linea di frattura falsamente meridionalista, che vorrebbe opporre il Mezzogiorno che arretra, al Nord che va avanti, senza ricercare nel Sud stesso i nemici della rinascita meridionale”. Amendola rincarava la dose, affermando che: “I nemici li abbiamo anche in casa nostra, nel sud, non possiamo coprirli”. A questo proposito, fin dalle Riflessioni sul Rapporto del 2005, Nino Novacco osservava: “noi della SVIMEZ (…) che non abbiamo mai acceduto a prospettive politico-partitiche di “Mezzogiorno all’opposizione” o a facili suggestioni di “Leghe del Sud” – ci sentiamo impegnati (…) a continuare nel nostro storico ottimismo, nazionale ed anche europeistico”. Si trattava di un atto di fede o della capacità di guardare lontano? In questi anni, i danni maggiori per il Sud sono stati fatti da chi ha sostenuto l’abolizione della “questione meridionale” come tema nazionale e, poi, non ha affrontato il problema della dissipazione, in una filiera clientelare ed assistenziale, delle risorse finanziarie destinate allo sviluppo produttivo. Al contrario, appare lungimirante, alla luce delle vicende più recenti, il punto di vista di chi contrasta la tendenza a privilegiare chi sta già meglio, un Nord “piagnone e prepotente”, ma propone che il Mezzogiorno, promuovendo una nuova classe dirigente, svolga sempre più una funzione unitaria, responsabile e nazionale.
Amedeo Lepore
2 commenti:
Si, probabilmente lo e
leggere l'intero blog, pretty good
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