Nei giorni  scorsi, si è tenuto a Napoli un Convegno Internazionale dedicato a  “Luigi De Rosa storico dell’economia”, promosso dal “Journal  of European Economic History”. Nel corso dell’iniziativa, che è  stata introdotta da Paolo Savona e Antonio Di Vittorio e a cui hanno  preso parte alcuni tra i maggiori storici del mondo - legati all’insigne  studioso napoletano da relazioni di lavoro e rapporti di conoscenza  personale -, una delle tre sessioni di lavoro è stata riservata alla  storia del Mezzogiorno e dello sviluppo economico italiano. Luigi De  Rosa, infatti, ha profuso una parte non secondaria del suo impegno scientifico  per approfondire l’analisi della condizione della terra natale, guardando,  soprattutto, ai problemi dell’economia, in un’ottica di lunga durata.  Egli è stato, oltre che uno dei maggiori esponenti della storiografia  economica italiana, anche una delle personalità della feconda stagione  del meridionalismo del dopoguerra. Il suo interesse per lo sviluppo  industriale e per la diffusione delle attività economiche nel Sud è  sempre stato molto consistente, a partire dall’erudita conferenza  sulla “Storia della questione meridionale”, svolta per l’Organismo  Rappresentativo Universitario Napoletano, nei primi anni della sua attività  di ricerca. Un’attenzione intensa e incessante, che lo ha accompagnato  fino all’ultima parte della sua vita, quando ha dato alle stampe il  volume dal titolo “La provincia subordinata. Saggio sulla questione  meridionale”. I relatori che si sono confrontati su questa tematica  (Giuseppe Galasso, John Davis e Giuseppe Di Taranto) hanno messo in  rilievo diversi aspetti dell’attività di De Rosa, di notevole significato  anche in chiave attuale. È stato possibile ripercorrere i vari passaggi  della sua opera sul Mezzogiorno, richiamandone la portata generale e  sottolineandone l’alto valore scientifico. Così come, nel nome di  un’antica amicizia, vi è stato chi, come Galasso - quasi stesse ancora  argomentando, vis-à-vis, con Luigi De Rosa - ha voluto esprimere  anche un orientamento diverso, a riguardo del divario meridionale, che,  a suo avviso, non può essere considerato il risultato negativo dell’unificazione  italiana, quasi si fosse trattato della conquista di una colonia, come  una letteratura meridionale poco attendibile ha tentato vanamente di  rappresentare. Tuttavia, il contributo di De Rosa all’interpretazione  della “questione meridionale” è stato di fondamentale importanza  per altre ragioni, che vanno ben al di là di una semplice cronologia  del dualismo italiano. Il suo studio sugli arrendamenti, come hanno  notato Galasso e Davis, ha rappresentato un notevole contributo alla  comprensione di molti aspetti della distribuzione della ricchezza mobiliare  nel Mezzogiorno continentale, nel corso del Seicento e del Settecento.  Inoltre, la sua consapevolezza della persistenza della fragilità dell’economia  meridionale posava le basi sulla considerazione di fondo che i problemi  del Sud erano di natura essenzialmente economica e finanziaria. In un  saggio sui diritti di proprietà, i cambiamenti istituzionali e la crescita  economica meridionale, tra il Settecento e l’Ottocento, De Rosa poneva  in evidenza, infatti, come il riformismo francese avesse mancato di  dar vita a forme dinamiche di attività economica. Il mancato sviluppo  del Mezzogiorno dipendeva dalla scarsa disponibilità di investimenti,  a causa di un drenaggio di capitali dal Sud e dall’agricoltura: il  primato dell’elemento economico - in quest’analisi della situazione  meridionale, che metteva in secondo piano i problemi culturali e antropologici  -, consentiva anche di spiegare meglio l’incompiutezza delle riforme.  Un altro elemento, rimarcato da Davis, era la critica profonda di De  Rosa, riguardo all’epoca più recente, per la scomparsa del sistema  bancario meridionale, che ha contribuito fortemente ad accentuare il  divario del Mezzogiorno. E di particolare attualità, appare la convinzione  dello studioso napoletano, secondo cui, una delle cause dell’arretratezza  meridionale, più che la mancanza di capitale umano, è lo spreco che  se ne è fatto, attraverso una diffusa incapacità di un utilizzo pienamente  produttivo. Qui si tocca uno dei punti cardine di un “nuovo meridionalismo”,  che dovrebbe fare proprio della ricchezza degli ingegni, della creatività  e dei talenti, mettendoli a sistema, una delle caratteristiche principali  della crescita del Sud. Infine, è di grande interesse esaminare, come  ha fatto Di Taranto, l’evoluzione dello sviluppo economico italiano,  fino all’attuale situazione di grave crisi, i cui caratteri fondamentali  erano stati ben individuati da De Rosa, oltre un decennio fa, quando  ammoniva - a proposito della globalizzazione incipiente - sull’eccesso  di cartolarizzazione dei mercati e sulla nascita di prodotti finanziari  che sfuggivano ad ogni controllo di bilancio. Queste valutazioni sul  Mezzogiorno, oltre a restituirci, in tutta la sua dimensione, la figura  di un meridionalista appassionato e rigoroso, servono a comprendere  che molti dei problemi attuali hanno radici profonde, di lungo - se  non lunghissimo - periodo, ma anche che un lavoro serio e aggiornato  di analisi, approfondimento ed elaborazione può fornire gli elementi  essenziali per le scelte da compiere per il futuro. Il confronto sulla  storia del Mezzogiorno e sul meridionalismo di De Rosa ha offerto indicazioni  concrete, una traccia per considerare il percorso di un nuovo Sud, la  cui classe dirigente può, forse, cominciare a ricostruirsi sulla base  di una crescita culturale ed economica, prima ancora che politica. O  meglio, può iniziare a fondarsi sulla base di una ricomposizione della  frattura che si è operata, soprattutto al Sud, tra politica, economia  e cultura.
Amedeo Lepore, 2 giugno 2009
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