martedì, giugno 02, 2009

Luigi De Rosa storico dell’economia ovvero ricomporre la frattura tra politica, economia e cultura al Sud.

Nei giorni scorsi, si è tenuto a Napoli un Convegno Internazionale dedicato a “Luigi De Rosa storico dell’economia”, promosso dal “Journal of European Economic History”. Nel corso dell’iniziativa, che è stata introdotta da Paolo Savona e Antonio Di Vittorio e a cui hanno preso parte alcuni tra i maggiori storici del mondo - legati all’insigne studioso napoletano da relazioni di lavoro e rapporti di conoscenza personale -, una delle tre sessioni di lavoro è stata riservata alla storia del Mezzogiorno e dello sviluppo economico italiano. Luigi De Rosa, infatti, ha profuso una parte non secondaria del suo impegno scientifico per approfondire l’analisi della condizione della terra natale, guardando, soprattutto, ai problemi dell’economia, in un’ottica di lunga durata. Egli è stato, oltre che uno dei maggiori esponenti della storiografia economica italiana, anche una delle personalità della feconda stagione del meridionalismo del dopoguerra. Il suo interesse per lo sviluppo industriale e per la diffusione delle attività economiche nel Sud è sempre stato molto consistente, a partire dall’erudita conferenza sulla “Storia della questione meridionale”, svolta per l’Organismo Rappresentativo Universitario Napoletano, nei primi anni della sua attività di ricerca. Un’attenzione intensa e incessante, che lo ha accompagnato fino all’ultima parte della sua vita, quando ha dato alle stampe il volume dal titolo “La provincia subordinata. Saggio sulla questione meridionale”. I relatori che si sono confrontati su questa tematica (Giuseppe Galasso, John Davis e Giuseppe Di Taranto) hanno messo in rilievo diversi aspetti dell’attività di De Rosa, di notevole significato anche in chiave attuale. È stato possibile ripercorrere i vari passaggi della sua opera sul Mezzogiorno, richiamandone la portata generale e sottolineandone l’alto valore scientifico. Così come, nel nome di un’antica amicizia, vi è stato chi, come Galasso - quasi stesse ancora argomentando, vis-à-vis, con Luigi De Rosa - ha voluto esprimere anche un orientamento diverso, a riguardo del divario meridionale, che, a suo avviso, non può essere considerato il risultato negativo dell’unificazione italiana, quasi si fosse trattato della conquista di una colonia, come una letteratura meridionale poco attendibile ha tentato vanamente di rappresentare. Tuttavia, il contributo di De Rosa all’interpretazione della “questione meridionale” è stato di fondamentale importanza per altre ragioni, che vanno ben al di là di una semplice cronologia del dualismo italiano. Il suo studio sugli arrendamenti, come hanno notato Galasso e Davis, ha rappresentato un notevole contributo alla comprensione di molti aspetti della distribuzione della ricchezza mobiliare nel Mezzogiorno continentale, nel corso del Seicento e del Settecento. Inoltre, la sua consapevolezza della persistenza della fragilità dell’economia meridionale posava le basi sulla considerazione di fondo che i problemi del Sud erano di natura essenzialmente economica e finanziaria. In un saggio sui diritti di proprietà, i cambiamenti istituzionali e la crescita economica meridionale, tra il Settecento e l’Ottocento, De Rosa poneva in evidenza, infatti, come il riformismo francese avesse mancato di dar vita a forme dinamiche di attività economica. Il mancato sviluppo del Mezzogiorno dipendeva dalla scarsa disponibilità di investimenti, a causa di un drenaggio di capitali dal Sud e dall’agricoltura: il primato dell’elemento economico - in quest’analisi della situazione meridionale, che metteva in secondo piano i problemi culturali e antropologici -, consentiva anche di spiegare meglio l’incompiutezza delle riforme. Un altro elemento, rimarcato da Davis, era la critica profonda di De Rosa, riguardo all’epoca più recente, per la scomparsa del sistema bancario meridionale, che ha contribuito fortemente ad accentuare il divario del Mezzogiorno. E di particolare attualità, appare la convinzione dello studioso napoletano, secondo cui, una delle cause dell’arretratezza meridionale, più che la mancanza di capitale umano, è lo spreco che se ne è fatto, attraverso una diffusa incapacità di un utilizzo pienamente produttivo. Qui si tocca uno dei punti cardine di un “nuovo meridionalismo”, che dovrebbe fare proprio della ricchezza degli ingegni, della creatività e dei talenti, mettendoli a sistema, una delle caratteristiche principali della crescita del Sud. Infine, è di grande interesse esaminare, come ha fatto Di Taranto, l’evoluzione dello sviluppo economico italiano, fino all’attuale situazione di grave crisi, i cui caratteri fondamentali erano stati ben individuati da De Rosa, oltre un decennio fa, quando ammoniva - a proposito della globalizzazione incipiente - sull’eccesso di cartolarizzazione dei mercati e sulla nascita di prodotti finanziari che sfuggivano ad ogni controllo di bilancio. Queste valutazioni sul Mezzogiorno, oltre a restituirci, in tutta la sua dimensione, la figura di un meridionalista appassionato e rigoroso, servono a comprendere che molti dei problemi attuali hanno radici profonde, di lungo - se non lunghissimo - periodo, ma anche che un lavoro serio e aggiornato di analisi, approfondimento ed elaborazione può fornire gli elementi essenziali per le scelte da compiere per il futuro. Il confronto sulla storia del Mezzogiorno e sul meridionalismo di De Rosa ha offerto indicazioni concrete, una traccia per considerare il percorso di un nuovo Sud, la cui classe dirigente può, forse, cominciare a ricostruirsi sulla base di una crescita culturale ed economica, prima ancora che politica. O meglio, può iniziare a fondarsi sulla base di una ricomposizione della frattura che si è operata, soprattutto al Sud, tra politica, economia e cultura.

Amedeo Lepore, 2 giugno 2009

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