La chiusura sul fronte immigrazione mostra soprattutto una mancanza di visione del futuro
(da Aesse 6 2009)
(da Aesse 6 2009)
“La crisi ci assale e frotte di stranieri sui barconi giungono ugualmente alle nostre frontiere, senza rendersi conto che per loro non c’è più posto nel Belpaese, nemmeno per fare i lavapiatti o i muratori in nero…”. Questi o simili pensieri sembrano preoccupare molti cittadini italiani che non possiamo definire razzisti – “Dio ce ne scampi e liberi: noi razzisti non lo siamo mai stati, nemmeno quando abbiamo promulgato le leggi razziali!” – ma che per lo meno appaiono un poco superficiali ed egoisti.
L’Italia è un Paese strano, senza dubbio: si è dimenticato di aver mandato nel mondo, per oltre cinquant’anni, milioni di migranti, una buona fetta dei quali assai simili ai disperati che giungono con i barconi dalla Libia; da alcuni decenni ha scelto di non far più figli (siamo ai primi posti per calo demografico nel mondo); coltiva l’ambizione, nonostante tutto, di essere tra le grandi potenze economiche e di poter garantire ai propri cittadini lavori dignitosi e ben retribuiti.
Un Paese che non sembra voler scegliere tra la tranquillità delle nostre città tutte per noi “italiani doc” – senza problemi di integrazione e di convivenza, cannoni alle frontiere per cacciare i disperati e declino economico senza freno – e la faticosa, a tratti anche difficile, strada della convivenza in una mescolanza di etnie, tradizioni e religioni, nella direzione di costruire una nuova cultura che non rinneghi il passato ma neppure lo cristallizzi, per condividere una ricchezza, culturale e materiale, che insieme forse è possibile acquisire.
Campagne mediatiche, leggi dello Stato, scelte strategiche nella difesa del territorio: da ogni parte giungono segnali contraddittori. L’immigrazione, fenomeno caratterizzante la storia di questo primo scorcio di terzo millennio, continua a essere usata come spauracchio o ridotta a questione di polizia, senza strategie. E noi assistiamo, in molti casi senza neppur più sdegno, al ripetersi di atti che pregiudicano la vita di persone come noi, con l’unica disgrazia di esser povere e nate nel Paese sbagliato, ma anche della nostra stessa possibilità di avere un futuro dignitoso.
Far diventare delinquenti gli immigrati irregolari, negar loro diritti quali il matrimonio, la scuola, l’assistenza sanitaria, respingere i barconi pieni di inermi verso la Libia – Paese notoriamente poco rispettoso dei diritti umani e che non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati – non è solo “rispetto rigoroso della legge” o strategia dissuasiva verso la clandestinità, anche a costo di apparire senza cuore.
Questo atteggiamento nasconde al suo interno una ben più grave colpa: la mancanza di visione di futuro, una chiusura al mondo e ai cambiamenti che in ogni caso avvengono e che non si comprende come governare. La storia ci insegna, però, che quando ci si chiude all’integrazione di nuovi popoli e culture non c’è futuro: abbiamo paura degli altri ma, a poco a poco, i barbari diventiamo noi.
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