La fotografia del lavoro domestico in Italia scattata dalle Acli Colf, in occasione della loro XVII Assemblea nazionale, che apre oggi pomeriggio a Roma (ore 16.00) con un convegno alla Pontificia università San Tommaso d'Aquino (Largo Angelicum 1)
Roma, 22 maggio 2009 - Più di un milione e mezzo di rapporti di lavoro attivi presso l'Inps a fine 2008 e 600mila lavoratori domestici registrati, in gran parte donne straniere. Ma le stime che comprendono le colf e le ‘badanti’ irregolari arrivano a calcolarne fino al doppio.
L'ultimo decreto flussi ne ha previsto l'ingresso per poco più di 100mila (105.400), in aggiunta al decreto precedente che già nel 2007 aveva registrato 420.366 domande per lo svolgimento di attività domestiche e di cura sul totale di 740.813 istanze presentate.
La fotografia del lavoro domestico è scattata dalle Acli Colf in occasione della loro XVII Assemblea nazionale – ‘Per un nuovo welfare della cura oltre il fai da te’ - che apre oggi pomeriggio a Roma con un convegno alla Pontificia università San Tommaso d'Aquino. 160 delegate provenienti da tutta italia, il 40% immigrate.
Lavoratrici straniere
Dei circa 600mila lavoratori domestici regolarmente registrati, la stragrande maggioranza proviene da Paesi stranieri. Solo il 22,3% del totale è di nazionalità italiana. Le donne sono l'87% fra i lavoratori stranieri, il 96% fra gli italiani.
Il 20% proviene dalla Romania, il 12,7% dall'Ucraina, il 9% circa dalle Filippine e il 6% dalla Moldavia, per citare le comunità etniche e nazionali più numerose. Seguono Perù, Ecuador, Polonia e Sri Lanka, con percentuali che vanno dal 3,6 al 2,8% e rappresentanze minori di numerosi altri Paesi, europei, asiatici, africani e sudamericani.
‘Queste donne - commentano le Colf delle Acli - rappresentano oggi l'unica speranza delle famiglie italiane per la cura dei bambini e l'assistenza di anziani. Infatti è noto che il nostro welfare è largamente carente di adeguati servizi per l'infanzia, per le persone anziane o per i non autosufficienti’.
Lavoratrici italiane
Le lavoratrici italiane che lavorano nelle case sono prevalentemente sposate, separate o vedove con età superiore ai 40 anni, e svolgono lavori domestici ad ore.
Solo alcune si dedicano agli anziani, ma non in forma di co-residenza. Le donne italiane generalmente prestano servizi di cura e manutenzione della casa, le tradizionali incombenze domestiche di pulizia, riassetto locali, stiro, cucina, ecc.
‘Non si percepiscono tanto come lavoratrici domestiche - spiegano le Acli Colf - ma come casalinghe. Non considerano il lavoro domestico un vero lavoro, piuttosto un ripiego, che abbandonano appena possono’.
Nei periodi di crisi economica come quella attuale e di espulsione di manodopera da altri settori produttivi, sono molte le donne che ritornano nel settore domestico dove si verifica un aumento di domande di lavoro.
C'è poi il caso delle giovani, spesso studentesse, che per diverse ragioni (difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro, necessità di mantenersi agli studi etc.) svolgono lavoro in qualità di baby sitter o di compagnia agli anziani. Inoltre è notevole è la presenza di pensionate ex-colf, che non possono vivere con l'importo misero di pensione maturata, che non è mai superiore al trattamento minimo Inps.
‘Per le italiane - aggiungono le Acli Colf - il lavoro domestico ad ore rappresenta un'occasione per arrotondare il bilancio familiare e per conciliare l'occupazione extradomestica, seppur svolta in un'altra casa, con le proprie esigenze casalinghe. Per le immigrate, la cui famiglia è rimasta in patria, è il modo per mantenere i figli, il marito o per costruire la casa’.
Famiglie divise
Secondo l'indagine Iref, l'istituto di ricerca delle Acli – ‘Il Welfare fatto in casa’ (2007) - le famiglie 'divise' sono più del 60%. Solo il 38% delle colf straniere, infatti, ha i familiari più stretti (figli o coniuge) che vivono tutti in Italia.
Nello specifico, il 57% delle lavoratrici vive ancora lontano dai propri figli, che sono affidati in Patria alle cure dell'altro coniuge (41%) o degli altri parenti (41%).
L'ingresso in Italia
Oltre 6 lavoratrici su 10 (63%) - nella ricerca Iref - raccontavano di essere è entrate in Italia con un visto turistico. Il 18% in maniera irregolare, senza nessun documento di ingresso. Al momento dell'indagine, quasi una colf su quattro (24%) dichiarava di vivere e lavorare in Italia in condizione di irregolarità.
Il 54% aveva un regolare permesso di soggiorno, il 18% era riuscito ad ottenere una carta di soggiorno.
Il lavoro sommerso
Più della metà delle colf straniere (57%) dichiara di svolgere il proprio lavoro completamente o in parte senza contratto. Il dato si ottiene sommando il numero di coloro che non possono avere un contratto perché residenti in Italia irregolarmente (24%) a coloro (33%) che pur possedendo il permesso o la carta di soggiorno, svolgono almeno un lavoro in nero.
Considerando i soli collaboratori ‘regolari’ oltre la metà (55%) denuncia delle irregolarità nei versamenti previdenziali: nel 24% dei casi non viene versato alcun contributo; mentre al 31% degli intervistati vengono versati solo parzialmente.
Roma, 22 maggio 2009 - Più di un milione e mezzo di rapporti di lavoro attivi presso l'Inps a fine 2008 e 600mila lavoratori domestici registrati, in gran parte donne straniere. Ma le stime che comprendono le colf e le ‘badanti’ irregolari arrivano a calcolarne fino al doppio.
L'ultimo decreto flussi ne ha previsto l'ingresso per poco più di 100mila (105.400), in aggiunta al decreto precedente che già nel 2007 aveva registrato 420.366 domande per lo svolgimento di attività domestiche e di cura sul totale di 740.813 istanze presentate.
La fotografia del lavoro domestico è scattata dalle Acli Colf in occasione della loro XVII Assemblea nazionale – ‘Per un nuovo welfare della cura oltre il fai da te’ - che apre oggi pomeriggio a Roma con un convegno alla Pontificia università San Tommaso d'Aquino. 160 delegate provenienti da tutta italia, il 40% immigrate.
Lavoratrici straniere
Dei circa 600mila lavoratori domestici regolarmente registrati, la stragrande maggioranza proviene da Paesi stranieri. Solo il 22,3% del totale è di nazionalità italiana. Le donne sono l'87% fra i lavoratori stranieri, il 96% fra gli italiani.
Il 20% proviene dalla Romania, il 12,7% dall'Ucraina, il 9% circa dalle Filippine e il 6% dalla Moldavia, per citare le comunità etniche e nazionali più numerose. Seguono Perù, Ecuador, Polonia e Sri Lanka, con percentuali che vanno dal 3,6 al 2,8% e rappresentanze minori di numerosi altri Paesi, europei, asiatici, africani e sudamericani.
‘Queste donne - commentano le Colf delle Acli - rappresentano oggi l'unica speranza delle famiglie italiane per la cura dei bambini e l'assistenza di anziani. Infatti è noto che il nostro welfare è largamente carente di adeguati servizi per l'infanzia, per le persone anziane o per i non autosufficienti’.
Lavoratrici italiane
Le lavoratrici italiane che lavorano nelle case sono prevalentemente sposate, separate o vedove con età superiore ai 40 anni, e svolgono lavori domestici ad ore.
Solo alcune si dedicano agli anziani, ma non in forma di co-residenza. Le donne italiane generalmente prestano servizi di cura e manutenzione della casa, le tradizionali incombenze domestiche di pulizia, riassetto locali, stiro, cucina, ecc.
‘Non si percepiscono tanto come lavoratrici domestiche - spiegano le Acli Colf - ma come casalinghe. Non considerano il lavoro domestico un vero lavoro, piuttosto un ripiego, che abbandonano appena possono’.
Nei periodi di crisi economica come quella attuale e di espulsione di manodopera da altri settori produttivi, sono molte le donne che ritornano nel settore domestico dove si verifica un aumento di domande di lavoro.
C'è poi il caso delle giovani, spesso studentesse, che per diverse ragioni (difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro, necessità di mantenersi agli studi etc.) svolgono lavoro in qualità di baby sitter o di compagnia agli anziani. Inoltre è notevole è la presenza di pensionate ex-colf, che non possono vivere con l'importo misero di pensione maturata, che non è mai superiore al trattamento minimo Inps.
‘Per le italiane - aggiungono le Acli Colf - il lavoro domestico ad ore rappresenta un'occasione per arrotondare il bilancio familiare e per conciliare l'occupazione extradomestica, seppur svolta in un'altra casa, con le proprie esigenze casalinghe. Per le immigrate, la cui famiglia è rimasta in patria, è il modo per mantenere i figli, il marito o per costruire la casa’.
Famiglie divise
Secondo l'indagine Iref, l'istituto di ricerca delle Acli – ‘Il Welfare fatto in casa’ (2007) - le famiglie 'divise' sono più del 60%. Solo il 38% delle colf straniere, infatti, ha i familiari più stretti (figli o coniuge) che vivono tutti in Italia.
Nello specifico, il 57% delle lavoratrici vive ancora lontano dai propri figli, che sono affidati in Patria alle cure dell'altro coniuge (41%) o degli altri parenti (41%).
L'ingresso in Italia
Oltre 6 lavoratrici su 10 (63%) - nella ricerca Iref - raccontavano di essere è entrate in Italia con un visto turistico. Il 18% in maniera irregolare, senza nessun documento di ingresso. Al momento dell'indagine, quasi una colf su quattro (24%) dichiarava di vivere e lavorare in Italia in condizione di irregolarità.
Il 54% aveva un regolare permesso di soggiorno, il 18% era riuscito ad ottenere una carta di soggiorno.
Il lavoro sommerso
Più della metà delle colf straniere (57%) dichiara di svolgere il proprio lavoro completamente o in parte senza contratto. Il dato si ottiene sommando il numero di coloro che non possono avere un contratto perché residenti in Italia irregolarmente (24%) a coloro (33%) che pur possedendo il permesso o la carta di soggiorno, svolgono almeno un lavoro in nero.
Considerando i soli collaboratori ‘regolari’ oltre la metà (55%) denuncia delle irregolarità nei versamenti previdenziali: nel 24% dei casi non viene versato alcun contributo; mentre al 31% degli intervistati vengono versati solo parzialmente.
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