Il cardinale: «Donerò un anno del mio stipendio»
NAPOLI - «Il grido dei poveri io lo sento, è sempre più forte. Oggi il nostro impegno di solidarietà è tutto concentrato sui terremotati abruzzesi, ma a Napoli a settembre cosa accadrà sul fronte povertà. Se non ci muoviamo per tempo verremo travolti dall’onda della disperazione». Il Cardinale Sepe scende di nuovo in campo e, come dice, «fa un altro passo in avanti». La lettera pastorale di Pasqua ha un titolo che è tutto un programma: dove possiamo comprare il pane? che ripete un verso famoso del Vangelo secondo Giovanni, tratto dalla parabola del miracolo dei pani e dei pesci.
Perchè, eminenza?
«Beh, c’è poco da spiegare, sono in arrivo duecentomila nuovi disoccupati e non si può continuare a far finta di niente. Dio non voglia ci chiudessimo ancora di più nel nostro egoismo. Spesso, abituati a donare il superfluo, nel timore di trovarci anche noi nel disagio, potremmo fingere di non vedere la folla affamata, anzichè condividere pani e pesci. La Chiesa non ci sta».
E gli altri?
«Si muoveranno, guai se non lo facessero. La nostra iniziativa può agire da traino, almeno lo speriamo».
A quale iniziativa si riferisce?
«Vogliamo fondare una Banca dei poveri. Non mutuiamo il progetto del microcredito inventato dal premio Nobel Mohammad Yunus, l’obiettivo è simile ma lo abbiamo napoletanizzato. Non fonderemo, cioè, un’altra Grameen Bank e non venderemo azioni, creeremo, invece, un fondo di solidarietà per concedere un prestito a chi non ha più lavoro o non lo ha mai avuto. A zero interessi, ma con l’obbligo della restituzione. Riavere i soldi prestati è fondamentale per aiutare altri poveri».
Le prime offerte verranno dagli industriali e dal loro presidente Lettieri?
«La prima offerta, se permettete, la farò io versando nel fondo i miei risparmi e donando un anno di stipendio. È poco, lo so, ma serve ad accendere i motori».
Il rischio è sempre lo stesso, si farà solo un po’ di assistenzialismo.
«Niente affatto. Premieremo solo vere iniziative imprenditoriali sia pure a livello artigianale e con una posta di rischio modesta. Vogliamo favorire la crescita di una imprenditoria dal basso, premiando idee capaci di stare sul mercato. Il male della camorra e del parassitismo si vince così. Bisogna sparigliare le carte e anche per questo ho deciso che lunedì in Albis, alle 8, sdoganerò i fujenti che partono per il Santuario della Madonna dell’Arco e li accogliere sul sagrato del Duomo».
È fiducioso.
«Sono certo che ce la faremo, Napoli non tradisce e poi il banco dei poveri non sarà un salto nel buio».
A chi si rivolgerà?
«A tutti e siccome capisco dove vuole parare, dico subito che mi aspetto più dai cittadini anonimi che dai ricchi. I poveri, è cosa nota, hanno più cuore».
È importante quello che dice.
«La cassaforte del banco dei poveri sarà la rete delle parrocchie. I decanati faranno una stima delle famiglie più bisognose e delle urgenze immediate e le parrocchie più ricche potranno sopperire alle necessità di quelle povere. I parroci non gestiranno soldi, ma organizzeranno le raccolte di denaro: una la faranno lunedì in Albis, un’altra il 31 maggio, a Pentecoste. Alla gestione provvederà un istituto di credito, i progetti saranno vagliati da una Commissione di esperti. Che seguirà anche la fase di realizzazione. Ci rivolgeremo al mondo delle banche e, soprattutto, delle Fondazioni».
Sta pensando al Banco di Napoli?
«Ci rivolgeremo a tutti, non corriamo per carità».
E con le istituzioni come vi regolerete? Possono partecipare al Fondo?
«No, ma gli uomini delle istituzioni possono concorrere a titolo personale, saranno i benvenuti».
La Banca dei poveri avrà una sede?
«La stiamo trovando fuori dalla Curia per significare la completa autonomia dell’iniziativa ».
Vuole farci qualche nome di grandi donatori?
«Non ce ne sono ancora, ma presto avrete novità. Posso dire, però, che il banco si intitolerà al cardinale Sisto Riario Sforza che nel 1870 tentò un esperimento analogo. Fu bravissimo, noi cercheremo di fare ancora meglio».
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