giovedì, aprile 09, 2009

Sepe fonderà una banca per i poveri «Prestiti senza interessi contro la crisi»

Il cardinale: «Donerò un anno del mio stipendio»

NAPOLI - «Il grido dei poveri io lo sento, è sempre più forte. Oggi il nostro impegno di soli­darietà è tutto concentrato sui terremotati abruzzesi, ma a Na­poli a settembre cosa accadrà sul fronte povertà. Se non ci muoviamo per tempo verremo travolti dall’onda della dispera­zione». Il Cardinale Sepe scende di nuovo in campo e, come dice, «fa un altro passo in avanti». La lettera pastorale di Pasqua ha un titolo che è tutto un pro­gramma: dove possiamo com­prare il pane? che ripete un ver­so famoso del Vangelo secondo Giovanni, tratto dalla parabola del miracolo dei pani e dei pe­sci.

Perchè, eminenza?
«Beh, c’è poco da spiegare, sono in arrivo duecentomila nuovi disoccupati e non si può continuare a far finta di niente. Dio non voglia ci chiudessimo ancora di più nel nostro egoi­smo. Spesso, abituati a donare il superfluo, nel timore di tro­varci anche noi nel disagio, po­tremmo fingere di non vedere la folla affamata, anzichè condi­videre pani e pesci. La Chiesa non ci sta».

E gli altri?
«Si muoveranno, guai se non lo facessero. La nostra iniziativa può agire da traino, almeno lo speriamo».

A quale iniziativa si riferi­sce?
«Vogliamo fondare una Ban­ca dei poveri. Non mutuiamo il progetto del microcredito in­ventato dal premio Nobel Mohammad Yunus, l’obiettivo è simile ma lo abbiamo napole­tanizzato. Non fonderemo, cioè, un’altra Grameen Bank e non venderemo azioni, creere­mo, invece, un fondo di solida­rietà per concedere un prestito a chi non ha più lavoro o non lo ha mai avuto. A zero interessi, ma con l’obbligo della restitu­zione. Riavere i soldi prestati è fondamentale per aiutare altri poveri».

Le prime offerte verranno dagli industriali e dal loro pre­sidente Lettieri?
«La prima offerta, se permet­tete, la farò io versando nel fon­do i miei risparmi e donando un anno di stipendio. È poco, lo so, ma serve ad accendere i motori».

Il rischio è sempre lo stes­so, si farà solo un po’ di assi­stenzialismo.
«Niente affatto. Premieremo solo vere iniziative imprendito­riali sia pure a livello artigiana­le e con una posta di rischio mo­desta. Vogliamo favorire la cre­scita di una imprenditoria dal basso, premiando idee capaci di stare sul mercato. Il male del­la camorra e del parassitismo si vince così. Bisogna sparigliare le carte e anche per questo ho deciso che lunedì in Albis, alle 8, sdoganerò i fujenti che parto­no per il Santuario della Madon­na dell’Arco e li accogliere sul sagrato del Duomo».

È fiducioso.
«Sono certo che ce la faremo, Napoli non tradisce e poi il ban­co dei poveri non sarà un salto nel buio».

A chi si rivolgerà?
«A tutti e siccome capisco do­ve vuole parare, dico subito che mi aspetto più dai cittadini ano­nimi che dai ricchi. I poveri, è cosa nota, hanno più cuore».

È importante quello che di­ce.
«La cassaforte del banco dei poveri sarà la rete delle parroc­chie. I decanati faranno una sti­ma delle famiglie più bisognose e delle urgenze immediate e le parrocchie più ricche potranno sopperire alle necessità di quel­le povere. I parroci non gestiran­no soldi, ma organizzeranno le raccolte di denaro: una la faran­no lunedì in Albis, un’altra il 31 maggio, a Pentecoste. Alla ge­stione provvederà un istituto di credito, i progetti saranno va­gliati da una Commissione di esperti. Che seguirà anche la fa­se di realizzazione. Ci rivolgere­mo al mondo delle banche e, so­prattutto, delle Fondazioni».

Sta pensando al Banco di Napoli?
«Ci rivolgeremo a tutti, non corriamo per carità».

E con le istituzioni come vi regolerete? Possono partecipa­re al Fondo?
«No, ma gli uomini delle istitu­zioni possono concorrere a titolo personale, saranno i benvenuti».

La Banca dei poveri avrà una sede?
«La stiamo trovando fuori dalla Curia per significare la completa autonomia dell’inizia­tiva ».

Vuole farci qualche nome di grandi donatori?
«Non ce ne sono ancora, ma presto avrete novità. Posso di­re, però, che il banco si intitole­rà al cardinale Sisto Riario Sfor­za che nel 1870 tentò un esperi­mento analogo. Fu bravissimo, noi cercheremo di fare ancora meglio».

Carlo Franco

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