Il provvedimento sul “federalismo fiscale” approvato dal Senato contiene alcune novità, frutto del confronto tra maggioranza e opposizione in commissione e in aula. Tuttavia, vi sono ancora questioni fondamentali irrisolte e scelte estremamente rischiose per il futuro del Mezzogiorno, che dovranno essere affrontate nel corso della discussione nell’altro ramo del Parlamento. Infatti, la posizione espressa da Tremonti – secondo cui è “impossibile dare i numeri” e, quindi, indicare concretamente le modalità di copertura finanziaria del disegno di legge, vanificando la necessità di scongiurare aumenti di tasse a danno dei cittadini – manifesta una grave nebulosità su un aspetto costitutivo del provvedimento. Infatti, l’art. 119 della Costituzione prevede, tra l’altro, che la somma delle risorse derivanti dai tributi nazionali e locali, nonché dal fondo perequativo, debba consentire “ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite”. Inoltre, la mancanza di qualsiasi collegamento ad un progetto di riforma delle istituzioni – che non può essere surrogato dalla Carta delle autonomie locali, la cui presentazione è stata solo annunciata da Calderoli – rende meno plausibile il percorso di una normativa, che rischia di scaricare sui livelli territoriali dello Stato la recessione del paese e i costi della riduzione inevitabile della spesa pubblica. Si dice che, in ogni caso, la crisi economica può rappresentare un’occasione per modificare nel profondo i meccanismi di impiego delle risorse pubbliche, che in questi anni hanno prodotto sperperi, malversazioni e inefficienze, soprattutto al Sud. Questo aspetto dell’assunzione piena di responsabilità da parte di chi ha il compito di governare l’amministrazione pubblica e di erogare servizi efficienti ai cittadini è di fondamentale importanza anche per avviare una nuova fase del meridionalismo, ma, alla luce dell’esperienza della fine dell’intervento straordinario, non sembra affatto scontato che il semplice taglio delle risorse finanziarie produca una riduzione del divario. Sorge il dubbio, allora, che per riformare profondamente il Mezzogiorno occorrano provvedimenti seri contro ogni forma di assistenzialismo e di spreco, accompagnati, però, da una politica in grado di rendere efficace l’azione delle istituzioni centrali e periferiche, visibile l’assunzione di responsabilità e credibile una prospettiva di superamento del dualismo. Questo è quanto prevede anche l’art. 119 della Costituzione, che recita testualmente: “Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”. Non sembra che questa parte del dettato costituzionale abbia ricevuto ancora una risposta adeguata dal testo sul “federalismo fiscale”, che pure avrebbe il compito di attuarlo. Le novità del disegno di legge riguardano aspetti di un certo rilievo, come, ad esempio: il “patto di convergenza” su costi e fabbisogni standard, che, presentato con il DPEF, servirà a consentire il conseguimento degli obiettivi previsti attraverso azioni correttive; il sistema dei premi per le Regioni e gli enti territoriali che, a fronte di un elevato livello dei servizi, garantiscano una pressione fiscale inferiore alla media, nonché il sistema delle sanzioni, fino al commissariamento, per gli enti non virtuosi. Tra le altre innovazioni, poi, va considerata l’attuazione delle città metropolitane, che possono essere istituite nelle aree in cui sono compresi i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli, con tre funzioni principali: la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali; l’organizzazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici; la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale. Tuttavia, non sono ancora risolti i problemi sostanziali che sorgono dalla scelta di questo tipo di “federalismo” e cioè: la necessità di una perequazione verticale effettiva e non la riproposizione di un meccanismo che conduce ad una carità pelosa da parte delle Regioni più ricche verso quelle più povere; il finanziamento delle funzioni “non essenziali” (come industria, commercio e agricoltura), che non può essere affidato alla sola perequazione della capacità fiscale; la possibilità di manovrare l’IRPEF da parte delle Regioni, attraverso la riserva di aliquota; la valutazione della rilevanza di alcuni servizi primari, come quelli di trasporto. Considerando che manca ancora del tutto qualsiasi criterio di definizione dei costi standard e dei parametri per la realizzazione di una modalità uniforme di erogazione dei servizi su tutto il territorio nazionale e, inoltre, che l’istituzione di una commissione bicamerale non cambia la natura della delega, che permetterà al governo, del tutto autonomamente, di approvare i contenuti dei decreti attuativi, è ancora molto arduo - e privo di scorciatoie - il lavoro da compiere alla Camera e, poi, di nuovo al Senato per ottenere un provvedimento che non penalizzi il Mezzogiorno e permetta un cambiamento profondo di questa parte del paese.
Amedeo Lepore
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