RIFLESSIONI | |
Preti in trincea il rischio della solitudine | |
Fabrizio Valletti Mentre tornavo dal carcere di Secondigliano con un gruppo di giovani volontari romani e napoletani, abbiamo appreso dai giornali dell'atto intimidatorio ai danni di don Ciro De Marco, parroco a Santa Maria del Suffragio di Boscoreale. Ancora una volta una minaccia - l’incendio dell’auto di un sacerdote di frontiera, avvenuta di notte - che echeggia altri cupi avvertimenti, come quello purtroppo fatale concluso con la morte di don Peppino Diana. Ancora una volta un’intimidazione a cui don Ciro risponde con decisione e con coraggio, facendo sapere che non si fermerà nella sua azione di denuncia delle attività malavitose. E questo fa sorgere in noi tante domande, non solo sul persistere della malavita sul nostro territorio ma anche sul ruolo dei vari soggetti sociali nei confronti di una cultura e di un’organizzazione criminale che continua a crescere ed a colpire. Più volte mi viene chiesto che posizione assumo di fronte a questo fenomeno, per confermare quella categoria che definisce noi, preti in servizio in zone di tradizione camorristica, come «di frontiera», cioé coraggiosi, intenti a sfidare i clan e altro ancora. A ben vedere, però, quella definizione finisce per alludere a una sorta di delega, a un ruolo di supplenza sociale. Ed è doloroso constatare come la società nel suo insieme accetti questa delega, che finisce per alleggerire di responsabilità chi avrebbe compiti di governo, di ordine pubblico, di promozione sociale. A ben vedere, però, quella definizione finisce per alludere a una sorta di delega, a un ruolo di supplenza sociale. Ed è doloroso constatare come la società nel suo insieme accetti questa delega, che finisce per alleggerire di responsabilità chi avrebbe compiti di governo, di ordine pubblico, di promozione sociale. A noi preti spetta il compito di potenziare la cosienza critica, di difendere gli ultimi, i non garantiti, nello spirito della missione evangelica. Ci tocca portar pace, giustizia e riconciliazione, partendo dal cuore anche dei più colpevoli. Per questo motivo, i luoghi privilegiati sono la strada da una parte, il carcere dall'altra. Guardare in faccia chi è stato responsabile di reato vuol dire lasciare alla magistratura il compito di giudicare, ma insieme mettere in moto il percorso, previsto dalla Costituzione e dall'ispirazione evangelica, che possa racuperare chi ha sbagliato. L'incontro con i detenuti di ieri mattina dei giovani di Roma e dei volontari napoletani è nella linea di promuovere iniziative di formazione, favorite dalla direzione dell'Istituto penitenziario, spesso difficili da attuare. Compito essenziale sarà anche quello del tribunale di sorveglianza di rispettare i percorsi previsti dalla legge e di non rimanere condizionato da un’opinione pubblica oscurata dalla preoccupazione della sicurezza. Guardare negli occhi chi ha sbagliato è anche leggere nel suo cuore il desiderio di cambiare, di sentirsi capace di restituire ai propri cari un cammino sereno. Per questo non è possibile, almeno per me, colpire in faccia anche il più pericoloso camorrista. Anche dalla strada impariamo a inventare percorsi di legalità, partendo dalle famiglie di chi spaccia, dalle donne che non sanno reagire, dai bambini che convivono con il rischio e con l'aggressività. Se aiutiamo i figli di chi spaccia a studiare, a giocare con altri bambini, a imparare che non vale solo il motore e il vestito, se li portiamo al mare, se li invitiamo a conoscere la bellezza e la bontà del Vangelo, non vuol dire che approviamo il comportamento di chi va contro la legge. Ha fatto bene don Peppino Diana a denunciare e a non tacere, sfidando una violenza capace di atti estremi. Così don Ciro è coerente con la sua missione di servizio e di dedizione. Non ci vogliamo sottrarre a questa verità, ma non lasciate a noi preti questo compito, mentre per tanti altri aspetti nella nostra società permane la legittimazione dell'illegalità, coperta da interessi e da tante ipocrisie che oscurano il giudizio e confondono le intenzioni. In Italia in particolare si gode di una libertà che permette di operare anche in povertà e semplicità. È un'avventura che riempie i cuori, ma meglio è comunque cominciare da chi è andato fuori dal recinto. Fabrizio Valletti |
A partire dall'esperienza associativa vissuta nelle ACLI e da quella amministrativa a Napoli e Castellammare di Stabia utilizzo questo spazio per affrontare i temi del dialogo tra le generazioni, del lavoro, della formazione, del welfare, della partecipazione e della loro necessaria innovazione.
venerdì, agosto 29, 2008
Preti in trincea il rischio della solitudine
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1 commento:
Boscoreale. «Dove ci sono problemi di degrado e di violenza la Chiesa deve essere in prima linea». È la premessa di monsignor Beniamino Depalma, il vescovo di Nola, che ieri ha di nuovo sentito il parroco preso di mira dalle gang e ha inviato una lettera al ministro dell’Interno Roberto Maroni. Eccellenza, che vuol dire? «La Chiesa fa spesso opera di supplenza alle istituzioni del tutto assenti. Sicurezza non è semplice repressione o militari in strada. In questa realtà c’è bisogno di una presenza dello Stato che venga realmente sentita. Le istituzioni devono agire, altrimenti si alimenta la sfiducia e vincono i criminali. I politici siano al servizio della gente». Che idea si è fatto di quello che è successo? «Quello che è accaduto è grave e deve far riflettere. Domenica sarò in parrocchia per celebrare la messa e per parlare con gli abitanti del quartiere, che il parroco definisce terra di nessuno». Che cosa ha detto al parroco? «Abbiamo scambiato qualche parola, poi mi ha mostrato i segni dell’incendio e i rottami dell’auto che è stata data alle fiamme. Don Ciro è uomo forte e coraggioso. So che continuerà a portare avanti la sua azione con l’entusiasmo e il vigore che lo hanno sempre contraddistinto, senza farsi influenzare da quello che è successo». Era a conoscenza della sue ultime denunce? «Delle ultimissime no, ma so che don Ciro ha più volte sollecitato, in maniera decisa, le autorità a intervenire per limitare i disagi della popolazione che vive un isolamento dal quale deve uscire a tutti i costi». La Chiesa sarà ancora punto di riferimento? «Non potrebbe fare diversamente. L’anno scorso ho compiuto una visita nelle parrocchie. Durante gli incontri ho denunciato lo stato di abbandono che ho riscontrato. Occorre dare risposte certe, altrimenti si alimenta la sfiducia nelle istituzioni, a tutto vantaggio dei criminali che puntano a inglobare i giovani». c.a.
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