domenica, giugno 01, 2008

Riflessioni ragionate sul sito prescelto per la discarica di Chiaiano

Riflessioni del geologo prof. Cravero, socio ZENITH ( dal sito dell'Associazione)

La cronaca recente c’informa che l’avvio alla risoluzione del problema dei rifiuti nella nostra Città passa per Chiaiano. La vivace resistenza opposta dai cittadini interessati è vicenda purtroppo già vissuta in altre occasioni: Pianura, Serre, Ariano Irpino, S.Arcangelo Trimonte ecc..
E’ cronaca dolorosa stando ai resoconti che i mezzi d’informazione ci comunicano, a volte anche drammatica. Fatti che impongono una riflessione; ci poniamo, di conseguenza, interrogativi che inevitabilmente investono la nostra responsabilità civica e morale.
L’interrogativo primario che ci si pone è quello di sapere, al di là di ogni speculazione strumentale, se la cava Lallero di Chiaiano, individuata dal Commissariato di Governo per l’Emergenza Rifiuti nella Regione Campania sia effettivamente in grado di ricevere rifiuti solidi urbani.
Analizziamo i requisiti di carattere tecnico che possono indirizzare o sconsigliare la scelta di un sito individuato per lo stoccaggio di rifiuti solidi urbani. Per comodità di comprensione li differenzieremo in valutazioni di carattere socio-sanitario e valutazioni di carattere socio-economico. Queste ultime sono prevalentemente di competenza politica e pertanto non ne
discuteremo in questo ambito.
Le valutazioni di carattere socio-sanitario investono la caratterizzazione ambientale di un sito RSU e del suo contesto fisiografico prendendo in considerazione le sue componenti caratterizzanti: il suolo, il sottosuolo e il soprassuolo.
La competenza su quest’ultimo (soprassuolo) è molteplice e interessa il sistema vegetale, quello animale e, nel caso di siti RSU, ancora più importante, il segmento atmosferico. La competenza su suolo e sottosuolo è anch’essa molteplice ma interessa prevalentemente il segmento geologico.
Nel complesso, al fine di individuare l’idoneità di un sito a stoccare rifiuti solidi urbani devono essere prese in considerazione le possibili ‘negatività’ ambientali che, in via breve e considerando le esposizioni al rischio più sensibili, possono essere sintetizzate in: inquinamento delle falde idriche siano esse superficiali, intermedie o di fondo; veicolazione per via atmosferica di impurità e sospensioni, miasmi, agenti patogeni.
L’inquinamento atmosferico è regolamentato dal regime dei venti dominanti, dalle temperature, dagli eventi di pioggia attraverso il dilavamento dell’aria, dalla natura delle sospensioni solide e delle diluizioni miasmatiche che si espandono a breve distanza dal sito di stoccaggio se agglomerate e addensate, mentre si elevano in altezza distribuendosi su aree più vaste se particolarmente sottili e leggere.
Forse è opportuno che questa problematica meteofisica venga presa nella dovuta considerazione perchè gli effetti sono più facilmente percepibili e di conseguenza preoccupano maggiormente anche in relazione alle inevitabili ricadute di carattere socio-economico.
L’inquinamento idrico, più subdolo perchè difficilmente percepibile, può produrre riflessi anche più seri e duraturi nel tempo. La veicolazione dell’inquinamento idrico avviene attraverso il dilavamento e deflusso superficiale e, in maniera anche più efficace, attraverso l’infiltrazione delle acque impure nel sottosuolo.
La capacità di filtrazione (permeabilità) dell’acqua nel sottosuolo si esalta in presenza di fratture del corpo roccioso aumentando la velocità di recapito dell’acqua verso le falde idriche sotterranee. Queste a loro volta, se inquinate, veicolano nel sottosuolo i potenziali agenti nocivi attraverso la trasmissività propria della circolazione sotterranea.
Consideriamo adesso lo stato di fatto della Cava Lallero di Chiaiano oggetto dell’esproprio.
Il bacino di cava realizzato per l’estrazione della pietra tufacea, si presenta come taglio a mezza costa con tre fronti di attacco di altezza maggiore ( 75, 50, 40 metri) e uno, verso valle di altezza minore (20 metri). La superficie del piazzale di cava misura circa 13.000 mq.
Le pareti si presentano irregolari per le discontinuità diffuse lasciate dall’attività di coltivazione effettuata con la tecnica del taglio a disco. Sono visibili lungo le pareti di attacco fratture tipiche della roccia tufacea (scarpine) che diventano più aperte e beanti verso l’alto.
Lo stato di fatto delle pareti di cava rendono improbabile un ricorso all’impermeabilizzazione attraverso lo stendimento di guaine specifiche a causa della scarsa aderenza che ne deriverebbe, rendendo di fatto inutilizzabile l’uso.
Certamente più efficace il ricorso a un’impermeabilizzazione a tampone effettuata con argille adeguatamente tissotropiche previa preparazione delle pareti e del fondo.
Questa tecnica applicativa induce a qualche riflessione: si rende necessario il ricorso all’estrazione di argille idonee nei luoghi dove questa affiora con conseguente appesantimento dell’impatto ambientale, oppure il ricorso a materiali d’industria trattati. E’ un problema di costi e benefici che va valutato.
Un’ altra considerazione da fare è sui tempi di approntamento e messa in sicurezza della cava che certamente prevedono interventi più lunghi con questa tecnica di adeguamento.
Sotto il profilo della sicurezza, l’impermeabilizzazione della cava a regola d’arte dovrebbe scongiurare il pericolo di dispersione di percolato e deflussi inquinanti nel sottosuolo anche in considerazione della sua struttura e natura, costituita da tufo addensato per una profondità che si stima intorno ai 20-30 metri.
La falda idrica è attestata a circa 180 metri di profondità ed è poco probabile che un qualsiasi inquinante possa superare un diaframma naturale così potente anche in considerazione della particolare natura della roccia tufacea che è in grado di trattenere sospensioni e soluzioni dense per la presenza di abbondante cinerite in parte argillificata. Le fratture che tendono a veicolare più velocemente le infiltrazioni idriche tendono a chiudersi in profondità in ragione degli incrementi delle pressioni litostatiche.
L’attenzione va rivolta piuttosto verso un altro aspetto.
E’ presente nel piazzale della cava Lallero un pozzo assorbente per lo smaltimento delle acque di pioggia e di ruscellamento che allontana quasi certamente anche le acque reflue delle attività svolte all’interno (poligono di tiro con relativi servizi alla persona).
Questo pozzo, a detta del conduttore, è profondo 60-70 metri. Se ciò risponde a verità, questa struttura rappresenta un punto di debolezza perchè abbassa la soglia di sicurezza naturale costituita dal tufo addensato e raggiunge le sottostanti piroclastiti più sciolte e più filtrabili. Rimarrebbe ancora un filtro naturale di un centinaio di metri prima di pervenire alla falda idrica di fondo che alimenta la fascia costiera del napoletano, che potrebbe essere sufficiente
anche per la presenza nella successione piroclastica verso il basso di paleosuoli argillificati ma, per raggiungere la condizione di piena sicurezza è necessario provvedere al suo riempimento previa impermeabilizzazione a regola d’arte.
Altra considerazione da fare, infine, riguarda il bacino d’invaso della cava Lallero.
Notizie diffuse dalla stampa riportano che vi andrebbero stoccate circa 700.000 tonnellate di rifiuti tal quale. Questa previsione alla luce dei fatti risulta alquanto improbabile.
Come detto, la cava è realizzata a mezza costa e non a pozzo, pertanto il calcolo della volumetria utilizzabile resta necessariamente legato alla consistenza della parete più bassa, quella lato valle, a Nord, che misura appena 20 metri in altezza.
Tenendo presente questo dato, l’invaso utilizzabile viene calcolato in 250.000/260.000 metri cubi che possono ospitare rifiuti pari a 120.000/130.000 tonnellate, determinando un tempo di utilizzo del sito non superiore ai 120 giorni qualora vi si recapitasse tutta la produzione giornaliera del napoletano.
Questo calcolo vale nell’ipotesi di utilizzo nella previsione di massima sicurezza.
Qualora come scelta tecnica o di necessità si volesse optare per una tipologia di sistemazione a pendio terrazzato utilizzando l’appoggio delle pareti più elevate si potrebbero raggiungere cubature utili di 350.000/400.000 metri cubi con stoccaggio di rifiuti non superiore a 180.000/200.000 tonnellate. Ben lontani dunque dalle 700.000 tonnellate previste. Le considerazioni che ne discendono sono essenzialmente di carattere politico.
Naturalmente questa seconda ipotesi di utilizzo prevede rischi di dispersione di inquinanti in superficie a causa della più impegnativa ‘sigillatura’ della discarica a fine esercizio e maggiore esposizione alla naturale evoluzione geomorfica.
Sintetizzando le riflessioni su esposte, qualora la cava Lallero di Chiaiano venisse ritenuta idonea a ospitare rifiuti solidi tal quali, sarebbe opportuno prendere in considerazione alcuni accorgimenti:
• il bacino di cava va tamponato e impermeabilizzato con argille o materiale equivalente di adeguata capacità tissotropica;
• va chiuso e impermeabilizzato il pozzo di smaltimento delle acque presente nel piazzale di cava,
• va regolamentato efficacemente il deflusso superficiale delle acque dilavanti e ruscellanti, soprattutto quelle della Cupa del Cane che recapitano acqua direttamente nel bacino di cava attraverso fenditure e condotti aperti;
• si sconsiglia il ricorso a un modello di sistemazione a pendio terrazzato per ricavarne maggiore cubatura utile;
• è opportuno che venga avviato uno studio accurato sulla dispersione di inquinanti per via aerea anche al fine di valutare nella dovuta misura i parametri per eventuali indennizzi, compensazioni e perequazioni ai soggetti interessati.
Prof. Geol. Ernesto Cravero
Napoli, 28 maggio 2008

2 commenti:

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e