mercoledì, febbraio 13, 2008

Campania in retromarcia tra le regioni Ue: I numeri della graduatoria del divario



Sorpassati da sedici territori tra i quali Macedonia, Andalusia, Estremadura, Cornovaglia e Guadalupa

MARCO ESPOSITO La regione più ricca d’Europa è l’area di Londra. La più povera il Nordest della Romania. E la Campania è molto più vicina a quest’ultima che alla prima. Fatta cento la media di ricchezza di un cittadino europeo, Londra è a quota 303 e il Nordest romeno a 24. La Campania, tra le 271 aree messe in fila da Eurostat, occupa la parte bassa della classifica con 66,9 punti, con un preoccupante arretramento rispetto agli anni scorsi, quando era a pochi passi da quella quota 75 che segna il confine statistico tra aree economicamente in salute ed aree arretrate. Le aree povere sono in tutto 69, di cui cinque italiane: oltre alla Campania, sono sotto la soglia Puglia, Calabria, Sicilia e, a sorpresa, la Basilicata, che pure è uscita dal piano di aiuti europei del 2007-2013 perché sembrava ormai stabilmente sopra la soglia. E a preoccupare, oltre che la classifica in sé, è la tendenza. Se si confronta infatti la classifica del 2005, resa nota ieri, con quella del 2000, la nostra regione perde sedici posizioni e viene superata da tre territori della Repubblica Ceca, da cinque della Grecia (tra le quali la Macedonia centrale e la Tessaglia), due della Spagna (Estremadura e Andalusia), una francese (la Guadalupa, territorio d’oltremare), una polacca (la Centrale), una slovena (Vzhodna), una del Regno Unito (la Cornovaglia), una romena (Bucarest) e infine una italiana, la Calabria. Rispetto all’indice di ricchezza dell’Europa a 27 stati - che per definizione è sempre a quota 100 - la Campania è scivolata da 72,9 a 66,9 arretrando di sei punti in cinque anni. Nello stesso periodo (2000-2005) per esempio l’Andalusia è passata da 71,9 a 80,4 con un recupero di otto punti e mezzo rispetto allo standard comunitario. In Italia non c’è nessuna regione più povera della Campania, nonostante come certificano i dati sui fondi europei la regione abbia speso tutti gli incentivi di Agenda 2000 (2000-2006) realizzando il miglior risultato tra le sei regioni del cosiddetto Obiettivo 1 (ovvero del Mezzogiorno). Girando per l’Europa, è ormai difficilissimo trovare un’area più arretrata, almeno tra i paesi con lunga permanenza nell’Unione europea. Dopo esser stata sorpassata da Andalusia ed Estremadura, infatti, la Campania è più povera di tutte le regioni spagnole, così come di quelle irlandesi, britanniche, tedesche (compresa la Germania Est) e ovviamente austriache, belghe, olandesi, scandinave. Le uniche aree dell’Europa a quindici ancora con una ricchezza procapite inferiore a quella campana sono nel Nord del Portogallo e su qualche isola greca. Va rilevato però che se la Campania perde visibilmente colpi, è stata tutta l’Italia nel periodo considerato ad arretrare. Nella classifica 2005 non c’è nessun territorio italiano nella top-15, dove pure fa ingresso un’area dell’Est, Praga, che con una ricchezza pari a 160 si pone molto sopra la Lombardia (136,5) e la provincia autonoma di Bolzano (135,6). Eppure soltanto cinque anni fa Praga era a quota 137 mentre la Lombardia a 155,7 e Bolzano a 158,6. Infine una curiosità: l’Italia nel suo insieme non è stata ancora sorpassata dalla Spagna, anche se nel 2005 la distanza era ormai minima: 104,8 a contro 103.

Bianchi (Svimez): risorse statali mancate in anni cruciali della sfida
«Ma anche le Regioni cambino registro: puntare su grandi scelte»

FRANCESCO VASTARELLA «Ce lo aspettavamo. Il differenziale di crescita nelle regioni del Sud è stato elevatissimo rispetto alle altre aree europee dell’obiettivo convergenza, che sullo sviluppo hanno puntato tutto, non solo gli aiuti Ue». Luca Bianchi, vicedirettore Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno che per statuto promuove lo studio delle condizioni economiche del Sud. Perché una crescita così bassa nonostante la valanga di fondi strutturali dell’Ue dal 2000 al 2006? «Altrove la crescita è arrivata a quota 6% annua con porzione inferiori di finanziamenti europei, al Sud siamo scesi negli ultmi tempi a 0,4-0,5%. Il sistema non ha funzionato». Perché? «Sono state sbagliate le politiche di coesione con i fondi strutturali, in un Paese che complessivamente è cresciuto poco e con effetti moltiplicati nelle aree deboli. Quando si dice aree deboli si intende regioni che rappresentano il 40% della popolazione. A questo bisogna aggiungere le scelte non coerenti, sia quelle dei livelli regionali che di quelle centrali». A quali scelte si riferisce? «Allo Stato che ha fatto un passo indietro rispetto al Sud, con un forte calo delle risorse impegnate dal livello nazionale. In altre parole le risorse Ue sono state viste come sostitutive e non aggiuntive per lo sviluppo, proprio nel momento in cui si doveva puntare su entrambe per dare slancio alla crescita. Insomma, un assurdo passo indietro dello Stato e delle principali aziende pubbliche: non si è creduto nella capacità di crescita». Di quali aziende parla? «Le Ferrovie impegnano al Sud solo il 14% della spesa, tutto il resto va al Centro e al Nord. La stessa cosa per l’Anas. Insomma, lo Stato avrebbe dovuto costringere i grandi investitori a puntare sul Mezzogiorno e soprattutto rispettare il vincolo del documento di programmazione economica e finanziaria del 45% di spesa in conto capitale al Sud. Un modo per spezzare anche la spirale dei reciproci alibi, dello Stato che non ha investito e delle Regioni che non hanno saputo programmare». Per il futuro c’è possibilità di tornare a crescere a sufficienza? «Io sono ottimista. Ma devono appunto cambiare registro le Regioni nella programmazione, puntando su grandi interventi e soprattutto su quelli sovraregionali e sulle grandi reti. Insomma, senza discontinuità continueremo a guardare le regioni europee più deboli che balzano in avanti e con le quali sarà sempre più difficile competere in futuro».


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Perche non:)

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)