HANDICAP: una norma permette di mantenere la pensione del genitore pure se occupati
Un classico gol in "zona Cesarini". Dopo una lunga melina in Parlamento e uno stop nella Finanziaria, l’ultimo giorno dell’anno è passato finalmente un provvedimento che dovrebbe garantire maggiori disponibilità ai disabili adulti che perdono i genitori. Nel decreto cosidetto "Milleproroghe" (n. 248 del 31/12/2007) il governo ha infatti inserito all’articolo 46 alcune «disposizioni a favore di inabili». Si tratta della possibilità di mantenere la pensione di reversibilità (o indiretta) del genitore, anche quando lo stesso disabile abbia un’occupazione e un reddito proprio. e condizioni previste per usufruire del beneficio sono però che «l’attività (lavorativa) abbia finalità terapeutica» e che l’orario di lavoro non superi «le 25 ore settimanali». Deve essere svolta o presso le cooperative sociali (individuate dalla legge 381 del 1991) o presso datori di lavoro che abbiano assunto il disabile «con convenzioni di integrazione lavorativa» in base alla legge 68 del 1999 (art. 11). Ultimo requisito – per evitare rapporti fittizi – è che il trattamento economico corrisposto al disabile dal datore di lavoro «non può essere inferiore al trattamento minimo delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti incrementato del 30%» (7.488,72 euro per il 2008).
L’onere dal provvedimento viene calcolato in 1,2 milioni di euro l’anno. Soddisfatti i senatori teodem Binetti, Baio Dossi e Bobba, che assieme ad altri colleghi avevano sostenuto la battaglia delle associazioni, raccolta infine dal ministero del Tesoro nel decreto di fine anno.
Al di là dei tecnicismi, il provvedimento ha un significato di grande portata, perché spalanca a «decine di migliaia» di ragazzi disabili al 100 per cento le porte del mondo del lavoro. Così commenta, soddisfatto, Roberto Speziale, presidente dell’Anffas, l’Associazione delle famiglie delle persone con disabilità intellettiva e relazionale, che «da tre Finanziarie» si batteva «per togliere questo vincolo». Il motivo di tanta speranza in un futuro lavorativo per un numero così consistente di ragazzi disabili ha due ragioni. La prima è che «molti genitori prima non attivavano percorsi lavorativi proprio perché sapevano che i figli avrebbero perso il diritto alla reversibilità della loro pensione. Ora sono finalmente liberi dall’angoscia rispetto al futuro dei figli». Speziale ha in mente in particolare gli adulti affetti da sindrome di Down, in nome dei quali è stata in gran parte combattuta questa battaglia. Il secondo motivo è che «la platea di possibilità di inserimento lavorativo, prima confinata alle cooperative sociali, si allarga a tutti i datori di lavoro». Un’altra ricaduta positiva, secondo il presidente dell’Anffas è che «grazie all’innalzamento del "salario minimo", il governo ha dato dignità al lavoratore con disabilità. I lavori che prima venivano retribuiti con una sorta di "paghetta" oggi daranno diritto a un vero e proprio stipendio». E il lavoro diventa così veramente "terapeutico", cioè «fonte di soddisfazione, di sicurezza e fiducia delle proprie capacità».
Ugualmente contenta è Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell’Associazione italiana persone Down. In Italia gli adulti Down sono 25 mila, di cui il mediamente il 10 per cento lavora, con punte del 20 per cento a Roma. L’80 per cento dei ragazzi Down impiegati in un lavoro (soprattutto portatini o addetti alla ristorazione, assunti con contratti part-time e con stipendi irrisori) ha meno di 25 anni ed è prevedibile che i loro genitori, prima o poi, li lasceranno. «Oggi non hanno più l’assillo di perdere la pensione di reversibilità del padre o della madre. Per loro il lavoro è importante, come per ciascuno di noi è insieme identità sociale e gratificazione personale. Però in questi anni ho visto tante famiglie rinunciare a inserire i figli nel mondo del lavoro proprio perché terrorizzate dalla prospettiva che in questo modo avrebbero perso il diritto alla reversibilità. Una cosa penosa sul piano personale e una grande sconfitta su quello sociale».
Una voce fuori dal corso è quella di Guido Trinchieri, presidente dell’Unione famiglie handicappati (Ufha), che rappresenta disabili gravi e gravissimi. «Al di là della soddisfazione per un decreto giusto e necessario – precisa Trinchieri – di questi provvedimenti mi indispone l’improvvisazione, il fatto che non siano inseriti in un quadro organico sull’handicap, che non si tenga conto delle priorità». E poi, che dire di un disabile che non ha alcuna possibilità di lavorare e che però perde la propria pensione di invalidità (246,73 euro mensili) se il suo reddito supera la quota di 14.466 euro l’anno? «Il disabile grave e gravissimo ha bisogno di assistenza continua. Se un genitore cerca di garantire un futuro al figlio, creandogli un reddito appena sufficiente, be’, questi perderà la pensione di invalidità. La legge anziché incoraggiarci a preoccuparci del futuro dei nostri figli, ci spinge a diseredarli».
Che il "dopo di noi" sia uno dei problemi più scottanti nell’arcipelago dell’handicap lo sottolinea anche monsignor Fernando Pavanello, presidente della Fondazioni trevigiana "Il nostro domani". E però è scettico sul fatto che il provvedimento del Governo sia il grimaldello attraverso il quale passeranno «decine di migliaia» di assunzioni. Piuttosto, si chiede, come mai le persone Down ospitate nelle comunità alloggio sono sottoposte a trattamenti differenti a seconda della Asl di appartenenza, per cui in una Asl non devono pagare nulla e nella Asl confinante devono contribuire alla retta con 45 euro al giorno? Ma questa è un’altra storia.
di Antonella Mariani e Francesco Riccardi
Un classico gol in "zona Cesarini". Dopo una lunga melina in Parlamento e uno stop nella Finanziaria, l’ultimo giorno dell’anno è passato finalmente un provvedimento che dovrebbe garantire maggiori disponibilità ai disabili adulti che perdono i genitori. Nel decreto cosidetto "Milleproroghe" (n. 248 del 31/12/2007) il governo ha infatti inserito all’articolo 46 alcune «disposizioni a favore di inabili». Si tratta della possibilità di mantenere la pensione di reversibilità (o indiretta) del genitore, anche quando lo stesso disabile abbia un’occupazione e un reddito proprio. e condizioni previste per usufruire del beneficio sono però che «l’attività (lavorativa) abbia finalità terapeutica» e che l’orario di lavoro non superi «le 25 ore settimanali». Deve essere svolta o presso le cooperative sociali (individuate dalla legge 381 del 1991) o presso datori di lavoro che abbiano assunto il disabile «con convenzioni di integrazione lavorativa» in base alla legge 68 del 1999 (art. 11). Ultimo requisito – per evitare rapporti fittizi – è che il trattamento economico corrisposto al disabile dal datore di lavoro «non può essere inferiore al trattamento minimo delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti incrementato del 30%» (7.488,72 euro per il 2008).
L’onere dal provvedimento viene calcolato in 1,2 milioni di euro l’anno. Soddisfatti i senatori teodem Binetti, Baio Dossi e Bobba, che assieme ad altri colleghi avevano sostenuto la battaglia delle associazioni, raccolta infine dal ministero del Tesoro nel decreto di fine anno.
Al di là dei tecnicismi, il provvedimento ha un significato di grande portata, perché spalanca a «decine di migliaia» di ragazzi disabili al 100 per cento le porte del mondo del lavoro. Così commenta, soddisfatto, Roberto Speziale, presidente dell’Anffas, l’Associazione delle famiglie delle persone con disabilità intellettiva e relazionale, che «da tre Finanziarie» si batteva «per togliere questo vincolo». Il motivo di tanta speranza in un futuro lavorativo per un numero così consistente di ragazzi disabili ha due ragioni. La prima è che «molti genitori prima non attivavano percorsi lavorativi proprio perché sapevano che i figli avrebbero perso il diritto alla reversibilità della loro pensione. Ora sono finalmente liberi dall’angoscia rispetto al futuro dei figli». Speziale ha in mente in particolare gli adulti affetti da sindrome di Down, in nome dei quali è stata in gran parte combattuta questa battaglia. Il secondo motivo è che «la platea di possibilità di inserimento lavorativo, prima confinata alle cooperative sociali, si allarga a tutti i datori di lavoro». Un’altra ricaduta positiva, secondo il presidente dell’Anffas è che «grazie all’innalzamento del "salario minimo", il governo ha dato dignità al lavoratore con disabilità. I lavori che prima venivano retribuiti con una sorta di "paghetta" oggi daranno diritto a un vero e proprio stipendio». E il lavoro diventa così veramente "terapeutico", cioè «fonte di soddisfazione, di sicurezza e fiducia delle proprie capacità».
Ugualmente contenta è Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell’Associazione italiana persone Down. In Italia gli adulti Down sono 25 mila, di cui il mediamente il 10 per cento lavora, con punte del 20 per cento a Roma. L’80 per cento dei ragazzi Down impiegati in un lavoro (soprattutto portatini o addetti alla ristorazione, assunti con contratti part-time e con stipendi irrisori) ha meno di 25 anni ed è prevedibile che i loro genitori, prima o poi, li lasceranno. «Oggi non hanno più l’assillo di perdere la pensione di reversibilità del padre o della madre. Per loro il lavoro è importante, come per ciascuno di noi è insieme identità sociale e gratificazione personale. Però in questi anni ho visto tante famiglie rinunciare a inserire i figli nel mondo del lavoro proprio perché terrorizzate dalla prospettiva che in questo modo avrebbero perso il diritto alla reversibilità. Una cosa penosa sul piano personale e una grande sconfitta su quello sociale».
Una voce fuori dal corso è quella di Guido Trinchieri, presidente dell’Unione famiglie handicappati (Ufha), che rappresenta disabili gravi e gravissimi. «Al di là della soddisfazione per un decreto giusto e necessario – precisa Trinchieri – di questi provvedimenti mi indispone l’improvvisazione, il fatto che non siano inseriti in un quadro organico sull’handicap, che non si tenga conto delle priorità». E poi, che dire di un disabile che non ha alcuna possibilità di lavorare e che però perde la propria pensione di invalidità (246,73 euro mensili) se il suo reddito supera la quota di 14.466 euro l’anno? «Il disabile grave e gravissimo ha bisogno di assistenza continua. Se un genitore cerca di garantire un futuro al figlio, creandogli un reddito appena sufficiente, be’, questi perderà la pensione di invalidità. La legge anziché incoraggiarci a preoccuparci del futuro dei nostri figli, ci spinge a diseredarli».
Che il "dopo di noi" sia uno dei problemi più scottanti nell’arcipelago dell’handicap lo sottolinea anche monsignor Fernando Pavanello, presidente della Fondazioni trevigiana "Il nostro domani". E però è scettico sul fatto che il provvedimento del Governo sia il grimaldello attraverso il quale passeranno «decine di migliaia» di assunzioni. Piuttosto, si chiede, come mai le persone Down ospitate nelle comunità alloggio sono sottoposte a trattamenti differenti a seconda della Asl di appartenenza, per cui in una Asl non devono pagare nulla e nella Asl confinante devono contribuire alla retta con 45 euro al giorno? Ma questa è un’altra storia.
di Antonella Mariani e Francesco Riccardi
3 commenti:
Si, probabilmente lo e
necessita di verificare:)
good start
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