Oggi il lavoro si è “relativizzato”. I cambiamenti nel mondo del lavoro hanno portato ad una pluralizzazione delle sue forme, ad un’estensione della divisione del lavoro globale, ad un incontro della differenza nei luoghi di lavoro (di generi, di etnie, di culture, di religioni), e hanno aperto ad una società in rete connessa ogni giorno della settimana, invadendo e mischiando il tempo del riposo con il tempo dell’impresa. L’immagine dei grandi centri commerciali è esemplare, in questo senso, perché unisce anche visivamente i due tempi una volta ben distinti.
Ci sono tre dimensioni. che possiamo tenere presenti.
La prima dimensione che mi sento di evidenziare è quella antropologica. I processi di individualizzazione del lavoro hanno conseguenze a volte dilanianti per le persone. Penso allo stress da iper-lavoro, penso all’ansia da prestazione che un clima di continua competitività provoca, penso alla difficoltà di “staccare quando si torna a casa”. Ci sono ricadute drammatiche sulle persone degli effetti di questa individualizzazione del lavoro, come ad esempio il mobbing: una nuova piaga che va affrontata con coraggio. Il lavoro non può consumare le persone, il suo valore non è riducibile al solo “valore di mercato”, anzi, il lavoro ha il compito di contribuire alla realizzazione dell’uomo e della donna. In questo senso occorre sempre trovare forme nuove e concrete per riaffermare il primato del lavoro sul capitale. Si deve lavorare per costruire una politica life friendly. É importante in questo periodo storico trovare spazi di incontro tra le persone, trovare luoghi di confronto e di riflessione per riuscire ad offrire un senso alto del lavoro che è indirizzato a coronare l’attività dell’uomo, in quanto promuove la società intera. In questo senso l’impegno, anche delle Acli, per il rispetto del riposo e della festività domenicale è indicativo.
Andrea Olivero presidente nazionale delle Acli.
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