venerdì, settembre 21, 2007

SETTIMANE SOCIALI, ITALIA E BENE COMUNE

Editoriale di Claudio Gentili, Direttore de “La Società”

Nel 1907, in occasione della prima Settimana Sociale dei cattolici italiani, furono affrontati, sotto l’attenta regia di Giuseppe Toniolo, temi di grande attualità: la condizione di lavoro degli operai, i contratti di lavoro, la formazione, l’emigrazione.

Pistoia fu scelta non a caso, ma come esempio di una fiorente attività cooperativa. Mons. Pottier, della Scuola Sociale Cattolica di Liegi fu invitato a trattare in modo specifico dei traguardi conquistati dalla cooperazione.

La scelta di Pistoia e di Pisa per celebrare dal 18 al 21 ottobre 2007 il centenario delle Settimane Sociali non è solo una scelta celebrativa. L’auspicio è che si torni a parlare di temi forti, ad affrontare nuovamente la questione sociale, a parlare del lavoro (su cui da tempo si riflette poco), ad affrontare i grandi temi della questione antropologica, a dare ai laici uno spazio da protagonisti e non da spettatori, a ritrovare la capacità pragmatica di evidenziare non solo problemi ma anche soluzioni, a rinunciare al genericismo delle dichiarazioni e degli auspici.

La 45ma Settimana Sociale dei cattolici, a cui la nostra Rivista ha dedicato tutti i numeri del 2007, è un’occasione per riflettere sul bene comune e sull’Italia.

Il bene comune – diciamolo con chiarezza – è l’esatto contrario dei concorsi truccati, dei test di accesso all’università pagati, dei furbetti del quartierino, dell’evasione fiscale, del mancato utilizzo della riscossione fiscale per alleviare le povertà, dello spreco del denaro pubblico, della mancanza di capacità di decisione, delle varie mafie. Recentemente di fronte alla scoperta di un test per l’accesso alla facoltà di medicina che era stato pagato, un giovane ha candidamente risposto: “siamo in un paese di furbi e anch’io faccio il furbo”.

E’ questo il punto da cui partire: il bene comune come vita retta per tutti.

Il bene comune come elemento unificatore di una società pluralista.

Il bene comune come orizzonte etico che precede la politica.



Il nostro è un paese che da circa 20 anni vive in uno stato cronico di divisione profonda. Prima le vicende di Tangentopoli, poi l’emergere di un bipolarismo selvaggio in cui le coalizioni nascevano avendo come unico collante l’odio per l’avversario, infine la progressiva rottura del rapporto fra cittadini e politica, l’incapacità della politica a governare e a ottenere risultati.

Ma soprattutto una crisi di reputazione della politica e una carenza di leader credibili.

In talune forme il bipolarismo selvaggio non ha risparmiato neppure la comunità ecclesiale. Infine la perdita della passione per il bene integrale della persona e per il bene comune causata dalle diverse forme di individualismo e dal relativismo.

Il successo del blog di un famoso comico italiano improvvisatosi capopopolo, che invoca la forca per la politica e i suoi rappresentanti eletti in Parlamento, è un segno della crisi dell’idea di bene comune.

In forma sintetica si può dire che l’Italia ha bisogno di bene comune, ha bisogno di unità, ha bisogno dei cattolici. Far ritrovare all’Italia lo spirito dei padri costituenti è il primo compito della 45ma Settimana Sociale.

In secondo luogo la settimana sociale è una grande occasione di unità e di comunione sinfonica dentro la Chiesa. Franco Garelli, in alcuni recenti e lucidi interventi, ha descritto una cattolicità italiana divisa tra credenti impegnati in esperienze kerigmatiche e spirituali ma privi di sensibilità sociale e i cattolici del volontariato e dell’impegno sociale in taluni casi in difficoltà di sintonia con i temi di fondo dell’insegnamento dei pastori.

Come ha evidenziato la 58ma Settimana Liturgica nazionale, che si è svolta a Spoleto a fine agosto, è proprio la liturgia uno dei luoghi privilegiati per lo sviluppo di una coscienza sociale ispirata al Vangelo. Per vivere da cristiani occorre armonizzare la fedeltà a Cristo con la cittadinanza, cioè con l’impegno ad essere presenti nel mondo. Ogni celebrazione liturgica aiuta ad operare una lettura sapienziale della storia e un discernimento dei fatti e aiuta a scorgere la misteriosa presenza del Risorto nel quotidiano.

E lo stesso Family day che nel maggio scorso ha visto scendere in piazza un milione di cattolici a difesa dell’idea comune di famiglia (quella sancita dall’art. 29 della nostra Carta Costituzionale) ha segnato una evidente discontinuità. Sono scesi in piazza cattolici che non avevano mai partecipato a una manifestazione politica. E’ sceso in piazza il popolo cattolico. Sono scesi in piazza i nuovi movimenti, quella che potrebbe essere definita la società civile della Chiesa.

Per dirla in modo un po’ sbrigativo, accanto ai cattolici liberali, ai cattolici democratici e ai cattolici impegnati nel volontariato emerge una terza figura, che potremmo provvisoriamente definire dei “neo-cattolici”, che si affaccia all’impegno sociale e che a questo impegno è chiamata da una forte esperienza di Dio e da un cammino di conversione personale e comunitario.

Sicuramente nei tanti volti e nelle tante storie presenti a Pisa-Pistoia, accanto ai cattolici impegnati tradizionalmente nel sociale ci saranno i volti dei “neo-cattolici”, con meno esperienza politica ma con una grande domanda di luoghi in cui i cattolici tornino sa far sentire la loro voce e a dare il loro contributo all’unificazione di un paese tanto diviso.

Alla 44ma Settimana Sociale di Bologna il cardinale Carlo Caffarra ha affermato: “abbiamo bisogno di un luogo, creato da tutte le forze associate del laicato cattolico italiano dove sia possibile offrire un’alta formazione a chi intende impegnarsi nella costruzione di una polis nella quale l’ordine delle cose è subordinato all’ordine delle persone”.

Nonostante numerosi e generosi tentativi, nonostante l’impegno di Retinopera, Scienza e Vita, Forum delle famiglie, Scuole diocesane di dottrina sociale, questa domanda è rimasta sostanzialmente inevasa. Ecco allora il terzo grande auspicio per le Settimane Sociali del centenario. Non ridursi ad un evento celebrativo, ma lanciare tre grandi sfide: l’unificazione del paese attorno al bene comune, il nuovo ruolo dei cattolici uniti sui valori non disponibili e alleati con tutti gli uomini di buona volontà, la formazione alla coscienza sociale.

Negli incontri estivi di Bose, Vallombrosa e Subiaco, appuntamenti decisivi per ripensare il ruolo dei cattolici nella società italiana, fortunatamente con toni e sensibilità differenziate è emersa una domanda comune: valorizzare il ruolo dei cattolici come esperti di bene comune.

Tre tratti essenziali sono stati richiamati come caratteristici della formazione alla coscienza sociale. In primo luogo la formazione deve abilitare ad una laicità per la quale il pluralismo è da viversi entro una comune cornice di valori.

In secondo luogo i cattolici sono chiamati a partecipare al dibattito democratico proponendo principi valori e soluzioni, nell’ambito dell’idea della democrazia deliberativa e non meramente competitiva in termini razionali quindi condivisibili da ogni uomo di buona volontà.

In sostanza si tratta di formare ad una idea di laicità intesa come casa comune le cui mura sono costituite dai valori non negoziabili dell’ecologia umana.

In terzo luogo la formazione deve far leva su quel patrimonio dottrinale e sociale costituito dalla tradizione del movimento cattolico e dalla DSC.

Evidentemente la formazione alla coscienza sociale deve evitare forme di moralismo e di velleitarismo e preparare persone competenti capaci di adottare soluzioni efficaci per il bene comune . Alla base di questa auspicata nuova stagione formativa per i cattolici vi è l’idea che l’Italia ha bisogno del contributo dei cattolici per la costruzione del bene comune.

Occorre evitare sia precipitose fughe in avanti nella costruzione di un nuovo partito cattolico che altrettanto immotivate forme di assuefazione al relativismo e alla secolarizzazione e di conseguente programmatica rinuncia a quello che Guardini definiva il “distintivo cristiano”.

Per rafforzare l’impegno sociale i laici cattolici,nella loro autonoma responsabilità di animare le realtà temporali, e soprattutto le loro Associazioni e Movimenti, hanno la necessità di rafforzare il “mettersi in rete” non solo per superare forme sterili di competizione ma soprattutto, come ricorda costantemente Savino Pezzotta, uno dei leader più credibili di questa nuova stagione del movimento cattolico, per evitare il rischio di un neocollateralismo bipolare, palese o occulto.

Fatta salva l’autonomia del sociale come ricchezza e risorsa delle persone (che nessuna “statolatria” può soffocare) la presenza politica dei cattolici in Italia non può oggi che essere plurale. La domanda da porsi quindi è: mentre nasce il Partito democratico e si propone la formazione del Partito delle libertà nell’ottica di un rafforzamento del bipolarismo e di un superamento della frammentazione, come i cattolici possono dare un contributo alla democrazia attraverso la fecondità sociale del loro contributo al bene comune e la sperimentazione di nuove forme di partecipazione.

Nessuno nega ovviamente il ruolo fondamentale dei partiti ma nessuno è obbligato a stare in un recinto. Accanto al nascituro bipartitismo possiamo immaginare espressioni di partecipazione più libere e aperte, in grado di far crescere una domanda politica dal basso, ridando peso e autonomia alla dimensione territoriale. Strumenti che siano capaci di intervenire nel dibattito politico con proposte, mobilitazioni, campagne in grado di generare pensiero politico e di favorire la partecipazione. Un po’ come avvenne in altre stagioni del movimento cattolico con l’Opera dei congressi, la Lega democratica di Donati e le ACLI.

Come è stato nel passato, anche nel futuro il cattolicesimo rimane una risorsa per pensare l’Italia. Come non possiamo immaginare il nostro patrimonio culturale nazionale senza le Madonne di Raffaello e i Crocifissi di Giotto così ci è difficile immaginare il futuro dell’Italia senza un ruolo attivo e propositivo dei cattolici.

L’identità italiana non è quella di una nazione cattolica ma tale identità non si può prospettare senza il cattolicesimo. Direi che scopo precipuo di tale formazione alla coscienza sociale è aiutare i cattolici a ripensare il proprio ruolo di laici impegnati per la costruzione della città dell’uomo.

Il fulcro ispiratore e sintetico della formazione alla coscienza sociale è il concetto di bene comune che va reinterpretato alla luce dei cambiamenti storici. Si tratta quindi di appropriarsi del concetto già elaborato dalla Pacem in Terris di bene comune universale e di quella dimensione universalistica di bene comune che la Centesimus Annus individua nel tema della salvaguardia del creato.

Si tratta infine di legare strettamente bene comune e questione antropologica. Facendo in modo che non vi siano più i cattolici della pace e quelli della famiglia con reciproche antipatie ideologiche ma che pace e famiglia, salvaguardia del creato e rifiuto delle manipolazioni genetiche, attenzione ai poveri e fisco equo, solidarietà con gli immigrati e rafforzamento della legalità, cultura del lavoro e passione educativa, camminino insieme.

Vi sono due motivi dominanti del Magistero di Benedetto XVI che possono ispirare una ripresa di attenzione al ruolo sociale dei cattolici. Innanzitutto l’esigenza di conciliare fede e ragione. In secondo luogo l’idea che dove Dio è grande l’uomo non è mai piccolo e che chi crede non è mai solo.

All’Agorà di Loreto Papa Ratzinger ha dato ai giovani una consegna che penso possa valere per tutti i partecipanti alla 45ma Settimana Sociale: “non abbiate paura di preferire le vie alternative indicate dall’amore vero: uno stile di vita sobrio e solidale, relazioni affettive sincere e pure, un impegno onesto nello studio e nel lavoro, l’interesse profondo per il bene comune”.

Tornano alla memoria gli ambiti del Convegno ecclesiale di Verona: vita affettiva, fragilità umana, lavoro e festa, tradizione, cittadinanza. Tutti temi grandi da declinare attraverso la testimonianza personale, il pensiero sociale e l’azione comune. Per il bene dell’Italia.

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