Studio della Cgil: nel Mezzogiorno indigente un quarto della popolazione
«In Italia sono povere 11 famiglie su 100»
Sempre più nette le sperequazioni nella distribuzione del reddito: o troppo ricchi o nullatenenti
ROMA – In Italia ci sono troppe famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese. In condizioni di indigenza si troverebbero addirittura 11 famiglie su 100, almeno secondo lo studio Spi Cgil-Cer sulle politiche sociali e gli indicatori del benessere, giunto alla quindicesima edizione e presentato lunedì al centro congressi Frentani con la partecipazione del ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero. Se nell’Italia del 2007, in media, la povertà coinvolge l'11% delle famiglie italiane (e il 13% degli individui), nelle macroaree geografiche più svantaggiate la situazione è ancora peggiore: nel Mezzogiorno è un quarto delle famiglie a non farcela a fine mese. La Cgil insiste su un concetto: quella evidenziata dallo studio è «povertà diffusa», se è vero che il reddito familiare medio delle famiglie posizionate in fondo alla scala distributiva è inferiore a 5 mila euro annui, un valore che rappresenta una soglia di sussistenza.
RICCHI E POVERI - Il nostro Paese si caratterizza poi per un’ampia sperequazione nella distribuzione del reddito (lievemente diminuita nella seconda metà degli anni '90, per tornare ad aumentare nel decennio attuale). Ovvero c’è chi è molto ricco e chi è molto povero. Siamo superati in questa particolare classifica solo dal Portogallo, e in linea con la Grecia e la Slovacchia, molto distanti dall'esempio virtuoso della Svezia, ma anche da tutti gli altri paesi dell'Europa continentale.
PRIVAZIONI - Un ulteriore aspetto che penalizza l'Italia nel confronto internazionale è la maggiore diffusione della cosiddetta «privazione di base», cioè ci sono molte famiglie che non hanno la possibilità di disporre di alcune facoltà essenziali, come la possibilità di riscaldare la casa in modo adeguato, effettuare almeno un periodo di vacanza durante l'anno, sostituire i mobili di casa, acquistare vestiti nuovi, mangiare carne, pollo o pesce con regolarità, uscire con gli amici, pagare le bollette. Questa privazione è in Italia persistente, tende cioè a mantenersi nel tempo, più di quanto non avvenga negli altri paesi. Accentuando le sperequazioni distributive fra chi è sopra e sotto le soglie di povertà. Insomma, la vulnerabilità dei cittadini sembra essere in Italia più accentuata che altrove.
«In Italia sono povere 11 famiglie su 100»
Sempre più nette le sperequazioni nella distribuzione del reddito: o troppo ricchi o nullatenenti
ROMA – In Italia ci sono troppe famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese. In condizioni di indigenza si troverebbero addirittura 11 famiglie su 100, almeno secondo lo studio Spi Cgil-Cer sulle politiche sociali e gli indicatori del benessere, giunto alla quindicesima edizione e presentato lunedì al centro congressi Frentani con la partecipazione del ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero. Se nell’Italia del 2007, in media, la povertà coinvolge l'11% delle famiglie italiane (e il 13% degli individui), nelle macroaree geografiche più svantaggiate la situazione è ancora peggiore: nel Mezzogiorno è un quarto delle famiglie a non farcela a fine mese. La Cgil insiste su un concetto: quella evidenziata dallo studio è «povertà diffusa», se è vero che il reddito familiare medio delle famiglie posizionate in fondo alla scala distributiva è inferiore a 5 mila euro annui, un valore che rappresenta una soglia di sussistenza.
RICCHI E POVERI - Il nostro Paese si caratterizza poi per un’ampia sperequazione nella distribuzione del reddito (lievemente diminuita nella seconda metà degli anni '90, per tornare ad aumentare nel decennio attuale). Ovvero c’è chi è molto ricco e chi è molto povero. Siamo superati in questa particolare classifica solo dal Portogallo, e in linea con la Grecia e la Slovacchia, molto distanti dall'esempio virtuoso della Svezia, ma anche da tutti gli altri paesi dell'Europa continentale.
PRIVAZIONI - Un ulteriore aspetto che penalizza l'Italia nel confronto internazionale è la maggiore diffusione della cosiddetta «privazione di base», cioè ci sono molte famiglie che non hanno la possibilità di disporre di alcune facoltà essenziali, come la possibilità di riscaldare la casa in modo adeguato, effettuare almeno un periodo di vacanza durante l'anno, sostituire i mobili di casa, acquistare vestiti nuovi, mangiare carne, pollo o pesce con regolarità, uscire con gli amici, pagare le bollette. Questa privazione è in Italia persistente, tende cioè a mantenersi nel tempo, più di quanto non avvenga negli altri paesi. Accentuando le sperequazioni distributive fra chi è sopra e sotto le soglie di povertà. Insomma, la vulnerabilità dei cittadini sembra essere in Italia più accentuata che altrove.
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