DISEGNO DI LEGGE - d’iniziativa dei senatori BAIO DOSSI e BOBBA
Un disegno di legge per garantire il diritto alla pensione di reversibilità ai figli inabili superstiti. Questo l’oggetto di un’iniziativa legislativa della Senatrice Baio Dossi e del Senatore Luigi Bobba in materia di nuove norme di diritto alla pensione di reversibilità per i figli inabili.
Lo scopo del ddl è di introdurre una modifica alla normativa vigente che, a norma dell’articolo 13 del regio decreto - legge 14 aprile 1939, n. 636, convertito con modificazione, dalla legge 6 luglio 1939, n. 1272,- stabilisce che i familiari del lavoratore hanno diritto, al momento della morte del loro congiunto, in presenza di determinati requisiti, ad un trattamento economico. In particolare, nel caso di figli, costoro hanno diritto a percepire la cosiddetta pensione di reversibilità (detta anche pensione ai superstiti) nei seguenti casi: sempre, quando siano minori di età e comunque fino al raggiungimento della maggiore età; non oltre il ventunesimo anno di età se studenti di scuola media o professionale; non oltre il ventiseiesimo anno di età nel caso siano studenti universitari.
La norma non prevede invece limiti di età per i figli riconosciuti “inabili al lavoro” purché al momento del decesso del genitore siano a carico di questo.
In particolare, l’articolo del regio decreto legge già citato dispone che: ”Ai fini del diritto alla pensione ai superstiti, i figli in età superiore ai 18 anni e inabili al lavoro, i figli studenti, i genitori, nonché i fratelli celibi e le sorelle nubili permanentemente inabili al lavoro, si considerano a carico dell’assicurato o del pensionato se questi, prima del decesso, provvedeva al loro sostentamento in maniera continuativa. Il figlio riconosciuto inabile al lavoro a norma dell’articolo 39 del D.P.R. 26 aprile 1957, n.818, nel periodo compreso tra la data della morte dell’assicurato o del pensionato e il compimento del 18° anno di età, conserva il diritto alla pensione di reversibilità anche dopo il compimento della predetta età”.
L’interpretazione di tale disposizione ha creato non pochi problemi in sede giurisprudenziale, con riferimento alla modificazione dei requisiti per il percepimento della pensione di reversibilità. L’erede per avere diritto alla pensione di reversibilità deve essere inabile al lavoro e a carico del defunto. Per stabilire queste due condizioni l’ente erogatore della pensione prende come riferimento il momento del decesso del lavoratore. Ciò significa che se una persona viene riconosciuta titolare del diritto alla pensione di reversibilità, perché in quel momento ricorrono i requisiti necessari, questo stesso diritto viene meno, se successivamente, uno di questi requisiti viene a modificarsi, anche solo in parte o per un periodo temporaneo. Se quindi una persona giudicata “inabile al lavoro” è successivamente assunta o svolge una qualsiasi attività lavorativa, anche part-time, per la quale non percepisce un profitto adeguato per provvedere alle proprie esigenze di vita, questa perde il diritto alla pensione di reversibilità; e tale perdita è definitiva. In altri termini, come confermato dalla circolare INPS n.289 del 24 dicembre 1991, è esclusa la possibilità di ripristino della pensione anche nel caso in cui intervengano successivamente le dimissioni o il licenziamento. L’unica eccezione contemplata è stata fino ad ora individuata dall’INPS con la circolare n. 137 del 10 luglio 2001, nella quale è stato specificato che le persone dichiarate” persone svantaggiate” ai sensi dell’articolo 4 della legge 8 novembre 1991, n. 381 che svolgono attività lavorativa con finalità terapeutica presso cooperative sociali, conservano il diritto a percepire la pensione di reversibilità, in quanto l’attività svolta da costoro viene considerata come attività con funzione occupazionale terapeutica ai fini della specializzazione degli interessati e dello sgravio della famiglia dagli obblighi di sorveglianza e, quindi, non viene considerata ostativa al riconoscimento o all’erogazione della pensione ai supersiti in ragione delle sue funzioni ”essenzialmente terapeutiche” .
Nel ddl si ritiene invece giusto e opportuno,nonché necessario, estendere anche ad altre tipologie di lavoro svolto da parte di figli “inabili il riconoscimento a conservare il diritto di percepire la pensione di reversibilità.
La Corte Costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi in più occasioni sui rapporti tra diritto alla pensione di reversibilità e titolarità di redditi da parte degli orfani. Anche la giurisprudenza ordinaria, con riferimento specifico alla inabilità, ha più volte affermato che il requisito della “inabilità al lavoro” del figlio superstite beneficiario della pensione di reversibilità non deve più essere limitato all’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa; bensì deve essere individuato nella concreta incapacità, tenuto conto delle condizioni del mercato lavorativo, di dedicarsi ad un’attività lavorativa utile ed idonea a soddisfare in modo normale e non usurante le primarie esigenze di vita dell’interessato.
Questo disegno di legge si prefigge dunque lo scopo di eliminare la denunciata irrazionalità derivante dalla “inesorabile” esclusione della pensione di reversibilità per la mera titolarità, da parte dell’orfano inabile, di un lavoro produttivo di un reddito anche minimo, in attuazione degli articoli 4 e 35 della Costituzione, che affermano il diritto di ognuno al lavoro.
A tal fine si propone dunque di modificare l’articolo 13 del già citato regio decreto- legge n. 636, del 1939, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 1272 del 1939, che disciplina il diritto alla pensione di reversibilità, aggiungendo espressamente la previsione che il figlio superstite riconosciuto inabile al lavoro non perda il diritto a percepire la pensione di reversibilità se svolge un’attività lavorativa comunque retribuita, purché il reddito annuo imponibile ai fini dell’imposta sul reddito (IRE) derivante dalla predetta attività lavorativa non superi quello stabilito per l’erogazione della pensione per gli invalidi civili, aumentato dell’indennità di accompagnamento. Nel caso di superamento della soglia di reddito così individuata, il diritto alla pensione di reversibilità viene temporaneamente sospeso, per essere riacquistato nel caso di cessazione della predetta attività lavorativa.
Un disegno di legge per garantire il diritto alla pensione di reversibilità ai figli inabili superstiti. Questo l’oggetto di un’iniziativa legislativa della Senatrice Baio Dossi e del Senatore Luigi Bobba in materia di nuove norme di diritto alla pensione di reversibilità per i figli inabili.
Lo scopo del ddl è di introdurre una modifica alla normativa vigente che, a norma dell’articolo 13 del regio decreto - legge 14 aprile 1939, n. 636, convertito con modificazione, dalla legge 6 luglio 1939, n. 1272,- stabilisce che i familiari del lavoratore hanno diritto, al momento della morte del loro congiunto, in presenza di determinati requisiti, ad un trattamento economico. In particolare, nel caso di figli, costoro hanno diritto a percepire la cosiddetta pensione di reversibilità (detta anche pensione ai superstiti) nei seguenti casi: sempre, quando siano minori di età e comunque fino al raggiungimento della maggiore età; non oltre il ventunesimo anno di età se studenti di scuola media o professionale; non oltre il ventiseiesimo anno di età nel caso siano studenti universitari.
La norma non prevede invece limiti di età per i figli riconosciuti “inabili al lavoro” purché al momento del decesso del genitore siano a carico di questo.
In particolare, l’articolo del regio decreto legge già citato dispone che: ”Ai fini del diritto alla pensione ai superstiti, i figli in età superiore ai 18 anni e inabili al lavoro, i figli studenti, i genitori, nonché i fratelli celibi e le sorelle nubili permanentemente inabili al lavoro, si considerano a carico dell’assicurato o del pensionato se questi, prima del decesso, provvedeva al loro sostentamento in maniera continuativa. Il figlio riconosciuto inabile al lavoro a norma dell’articolo 39 del D.P.R. 26 aprile 1957, n.818, nel periodo compreso tra la data della morte dell’assicurato o del pensionato e il compimento del 18° anno di età, conserva il diritto alla pensione di reversibilità anche dopo il compimento della predetta età”.
L’interpretazione di tale disposizione ha creato non pochi problemi in sede giurisprudenziale, con riferimento alla modificazione dei requisiti per il percepimento della pensione di reversibilità. L’erede per avere diritto alla pensione di reversibilità deve essere inabile al lavoro e a carico del defunto. Per stabilire queste due condizioni l’ente erogatore della pensione prende come riferimento il momento del decesso del lavoratore. Ciò significa che se una persona viene riconosciuta titolare del diritto alla pensione di reversibilità, perché in quel momento ricorrono i requisiti necessari, questo stesso diritto viene meno, se successivamente, uno di questi requisiti viene a modificarsi, anche solo in parte o per un periodo temporaneo. Se quindi una persona giudicata “inabile al lavoro” è successivamente assunta o svolge una qualsiasi attività lavorativa, anche part-time, per la quale non percepisce un profitto adeguato per provvedere alle proprie esigenze di vita, questa perde il diritto alla pensione di reversibilità; e tale perdita è definitiva. In altri termini, come confermato dalla circolare INPS n.289 del 24 dicembre 1991, è esclusa la possibilità di ripristino della pensione anche nel caso in cui intervengano successivamente le dimissioni o il licenziamento. L’unica eccezione contemplata è stata fino ad ora individuata dall’INPS con la circolare n. 137 del 10 luglio 2001, nella quale è stato specificato che le persone dichiarate” persone svantaggiate” ai sensi dell’articolo 4 della legge 8 novembre 1991, n. 381 che svolgono attività lavorativa con finalità terapeutica presso cooperative sociali, conservano il diritto a percepire la pensione di reversibilità, in quanto l’attività svolta da costoro viene considerata come attività con funzione occupazionale terapeutica ai fini della specializzazione degli interessati e dello sgravio della famiglia dagli obblighi di sorveglianza e, quindi, non viene considerata ostativa al riconoscimento o all’erogazione della pensione ai supersiti in ragione delle sue funzioni ”essenzialmente terapeutiche” .
Nel ddl si ritiene invece giusto e opportuno,nonché necessario, estendere anche ad altre tipologie di lavoro svolto da parte di figli “inabili il riconoscimento a conservare il diritto di percepire la pensione di reversibilità.
La Corte Costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi in più occasioni sui rapporti tra diritto alla pensione di reversibilità e titolarità di redditi da parte degli orfani. Anche la giurisprudenza ordinaria, con riferimento specifico alla inabilità, ha più volte affermato che il requisito della “inabilità al lavoro” del figlio superstite beneficiario della pensione di reversibilità non deve più essere limitato all’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa; bensì deve essere individuato nella concreta incapacità, tenuto conto delle condizioni del mercato lavorativo, di dedicarsi ad un’attività lavorativa utile ed idonea a soddisfare in modo normale e non usurante le primarie esigenze di vita dell’interessato.
Questo disegno di legge si prefigge dunque lo scopo di eliminare la denunciata irrazionalità derivante dalla “inesorabile” esclusione della pensione di reversibilità per la mera titolarità, da parte dell’orfano inabile, di un lavoro produttivo di un reddito anche minimo, in attuazione degli articoli 4 e 35 della Costituzione, che affermano il diritto di ognuno al lavoro.
A tal fine si propone dunque di modificare l’articolo 13 del già citato regio decreto- legge n. 636, del 1939, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 1272 del 1939, che disciplina il diritto alla pensione di reversibilità, aggiungendo espressamente la previsione che il figlio superstite riconosciuto inabile al lavoro non perda il diritto a percepire la pensione di reversibilità se svolge un’attività lavorativa comunque retribuita, purché il reddito annuo imponibile ai fini dell’imposta sul reddito (IRE) derivante dalla predetta attività lavorativa non superi quello stabilito per l’erogazione della pensione per gli invalidi civili, aumentato dell’indennità di accompagnamento. Nel caso di superamento della soglia di reddito così individuata, il diritto alla pensione di reversibilità viene temporaneamente sospeso, per essere riacquistato nel caso di cessazione della predetta attività lavorativa.
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