La scelta del governo di istituire per la prima volta nella storia del nostro Paese un Ministero delle politiche per la famiglia rappresenta una chiara indicazione della volontà di mettere la famiglia al centro delle politiche di welfare con l’obiettivo di tutelare i diritti delle persone e quelli della famiglia nel suo complesso, dando in questo modo attuazione concreta al dettato costituzionale che riconosce a questo soggetto sociale un ruolo di primo piano nella costruzione di una società capace di futuro. Questa scelta intende colmare il gap che separa l’Italia dagli altri Paesi europei soprattutto in considerazione delle risorse destinate al sostegno della famiglia per renderla motore di sviluppo e di crescita di tutto il Paese. L’efficacia delle politiche da adottare dipende altresì da un’attenta considerazione dei cambiamenti che hanno interessato le famiglie del nostro Paese. Innanzitutto la composizione dei nuclei familiari è radicalmente mutata. Non solo perché le famiglie si sono fatte più piccole, ma perché è cresciuto il numero delle persone sole che costituiscono oggi circa il 25% dei nuclei familiari. Vi sono altresì tre fenomeni che meritano attenzione: la presenza di circa 500 mila coppie stabili conviventi, con o senza figli, che non sono coniugate e che rappresentano il 2,3% del totale dei nuclei familiari e il 3,6% delle coppie in generale, insieme alla comparsa di una nuova forma di famiglia composta da un solo genitore con uno o più figli. Sono 1.941.000 circa nuclei monoparentali pari all’8,9% del totale delle famiglie. Si tratta spesso di donne separate o non sposate con figli a carico. E circa un terzo delle coppie, sposate non hanno figli.Se si sommano queste ultime alle persone sole, si arriva ad un 45% di famiglie che non hanno figli su un totale di 21.800.000 circa nuclei familiari presenti nel Paese. A questo quadro va aggiunto che l’Italia presenta un duplice primato, ovvero il minor tasso di fertilità (1,2 figli nati per donna) e il minor tasso di occupazione femminile (45,2%) . La mancanza poi, di una rete adeguata di servizi materno-infantili porta il 25% circa delle donne occupate ad abbandonare il lavoro dopo la nascita del primo figlio; infine la carenza di adeguati sostegni economici alle reti familiari favorisce il concentrarsi della povertà nei nuclei familiari con un solo reddito o con una prole numerosa. Ci troviamo dunque di fronte alla duplice necessità di rispondere - attraverso politiche familiari appropriate – sia al mutare dei bisogni dei nuclei familiari, sia al rapido invecchiamento della popolazione. L’art. 29 della nostra Costituzione non può essere messo tra parentesi. E’ necessario che il nostro Paese reagisca all’invecchiamento della popolazione.La prospettiva è quella di riformare il welfare su base generazionale e familiare, facilitando la conciliazione tra lavoro e cura della famiglia; sostenendo le famiglie che decidono di avere figli e orientando incremento di risorse della spesa sociale verso i bambini e le generazioni più giovani. Non è più tempo di misure spot (tipo 1000 euro per il secondo figlio) ma di una revisione sostanziale del sistema di tassazione secondo il metodo del quoziente familiare ( o di misure fiscali similari che tengano conto della numerosità del nucleo familiare) nonché di un allineamento della spesa sociale per le famiglie a livello della Francia, pari cioè al 2,7% del PIL (attualmente la nostra spesa delle famiglie è di poco superiore al 1%). La Francia perché forse in Europa è il Paese con un assetto di politiche familiari più consolidato e più efficace. Luigi Campiglio, docente della Cattolica ha prodotto uno studio che presenta i costi e i vantaggi di un’introduzione del quoziente familiare nel nostro sistema di tassazione.Tale scelta avrebbe un costo tutt’altro che marginale – circa 18 miliardi di euro – ma vantaggi più che significativi per il 46,5% delle famiglie italiane, cioè praticamente quasi tutte quelle che hanno uno o più figli. L’opzione per il quoziente può assicurare l’equità orizzontale che non è invece automaticamente garantita dalla progressività dell’imposta, per altro prevista dalla nostra Costituzione. L’adozione del quoziente familiare esplicita chiaramente un valore – quello della famiglia e delle generazioni future - e allo stesso tempo potrebbe contribuire a rimettere in moto la domanda interna aggregata. Una scelta di equità perché ogni cittadino contribuirebbe all’erario pubblico in base al reddito effettivamente disponibile; una scelta efficace sul piano economico, in quanto le famiglie con figli e con più basso reddito hanno una propensione al consumo più alta. Dunque se daremo loro un vantaggio nella tassazione, questo reddito aggiuntivo finirà probabilmente in consumi piuttosto che in risparmi. Tale misura porterebbe anche ad una parziale redistribuzione di reddito verso le regioni del Sud dove, notoriamente, c’è un tasso di crescita demografica più sostenuto insieme ad un più alto tasso di povertà.Accanto al quoziente familiare servono però altre misure per dare un assetto moderno ed efficace alle politiche familiari: - una parziale integrazione del reddito qualora uno dei due coniugi si metta volontariamente in part-time per seguire i bambini quando sono molto piccoli; - lo sviluppo di una offerta pubblica e privata convenzionata i servizi materno-infantili oggi largamente insufficienti specie nelle grandi città; - la possibilità di dedurre dal proprio reddito imponibile le spese di cura e di assistenza per bambini o parenti anziani;- una più adeguata dotazione finanziaria della legge Turco sui congedi parentali e formativi; ad una sostanziale revisione dell’entità degli assegni al nucleo familiare.- Una revisione degli assegni al nucleo familiare e del sistema di deduzioni.Se si somma il costo di queste misure – circa 20 miliardi di euro – più quello per il quoziente familiare – circa 18 miliardi di euro – si ha un importo che ci porterebbe ad un livello di spesa sociale per la famiglia simile alla Francia o alla Germania. E’ una redistribuzione imponente – 70/75 mila miliardi di vecchie lire – da attuare in modo graduale nell’orizzonte temporale di una intera legislatura. D’altra parte se non vogliamo lasciare sole le famiglie nel mettere al mondo dei figli, nell’allevarli, educarli e mandarli a scuola, occorre cambiare rotta. I nostri figli sono l’Italia di domani; le famiglie sono una risorsa decisiva per la coesione sociale e per la qualità del vivere di ciascuno. L’investimento che fanno su ogni bambino (un totale di circa 100 mila euro da 0 a 20 anni) non può essere considerato un investimento unicamente privato. Perché i contributi e le tasse che questi bambini verseranno, diventati grandi e entrati nel mercato del lavoro, serviranno per pagare le pensioni e l’assistenza sanitaria per i più anziani. Per il futuro dell’Italia bisogna sostenere le generazioni di mezzo: quella che tiene per mano i bambini (l’Italia di domani ) e che non può abbandonare gli anziani (l’Italia di ieri). La catena generazionale è la più elementare forma di welfare: bisogna evitare che si spezzi, che gli anelli più deboli vengano sganciati. Pena ritrovarsi un Paese troppo vecchio e privo di energie per il futuro. Per far ripartire l’Italia, bisogna ripartire dalla famiglia.
Luigi Bobba
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