All’Incontro di Studi delle Acli sulla felicità, una ricerca del Ceis-Tor Vergata. Il gap di reddito pro capite tra Nord e Sud del Mondo non si traduce in un eguale gap di felicità. Il presidente delle Acli, Olivero: «Ciò che ci rende più felici non è la quantità dei beni di consumo ma la ricchezza delle relazioni che viviamo»
Sul fatto che i soldi non facciano la felicità si è detto molto e molto si è ironizzato. Eppure gli studi più recenti ed autorevoli sembrano confermare questa tesi. L’ultima ricerca in ordine di tempo è quella realizzata nel 2006 all’interno del Ceis di Tor Vergata, il Centro per gli studi internazionali della crescita economica, dal professor Leonardo Becchetti in collaborazione con Giovanni Trovato e David Andres Londono-Bedoya. Utilizzando i dati dell’indagine internazionale “World Value Survey” , viene stilata una classifica dei Paesi del mondo secondo la felicità media dichiarata. Ai primi tre posti risultano in ordine la Nigeria, la Tanzania e il Messico, seguiti da Porto Rico, Salvador, Islanda, Venezuela e Vietnam. Il primo Paese “ricco” in questa classifica è il Canada, al 9 posto, con Olanda, Danimarca e Regno Unito subito dietro. L’Italia risulta in cinquantesima posizione, tra l’India e la Repubblica Ceca. All’ultimo posto la Romania.«Ci vuole ovviamente cautela nell’interpretare questi dati – spiega il professor Becchetti, curatore della ricerca e relatore sabato al Convegno delle Acli sulla felicità – perché possono essere influenzati senz’altro da distorsioni culturali. Eppure appare evidente e incontrovertibile che alla differenza in termini di reddito pro capite tra Nord e Sud del mondo non corrisponde un’uguale differenza di felicità». Secondo il presidente nazionale delle Acli, Andrea Olivero, che al tema della felicità “possibile” ha dedicato la relazione introduttiva del convegno di studi: «Ciò che ci rende più felici non è la quantità di beni di consumo, ma la ricchezza delle relazioni che viviamo».In generale, su oltre 117.000 individui intervistati in più di 65 Paesi del mondo, la quota di coloro che dichiarano il massimo livello di felicità nei Paesi Ocse ad alto reddito (15,84%) è solo leggermente superiore a quella degli intervistati nei Paesi meno ricchi (13,47%). Per spiegare questo paradosso gli autori del lavoro evidenziano due risultati principali della loro analisi. Il primo è l’importanza decisiva del reddito relativo rispetto al reddito assoluto. La felicità non dipende tanto dal livello assoluto di reddito, quanto soprattutto dalla propria posizione economica rispetto a quella media del gruppo di riferimento con il quale l’individuo si confronta. Il secondo è l’effetto del reddito sul tempo speso in relazioni.La ricerca identifica da questo punto di vista un effetto diretto molto significativo e positivo del tempo speso in relazioni (in famiglia, con amici di lavoro, in attività sportive, ecc.) sulla felicità. L’indicatore di tempo relazionale vede in testa alla classifica tra i 65 Paesi considerati nella ricerca alcuni Paesi africani a basso reddito (Nigeria, Tanzania e Uganda tra i primi sei) ed in fondo i Paesi europei (Italia 56esima su 65) e, in particolare, i Paesi dell’Est Europa. La quota di persone molto felici tra coloro che spendono un tempo medio più elevato nelle relazioni (tra ogni settimana e alcune volte al mese come media tra il tempo speso per famiglia, amici, associazioni religiose, associazioni sportive e tempo con colleghi fuori dal lavoro) è del 28,84%. I molto felici scendono al 18,65% tra coloro che dedicano in media alle stesse attività relazionali un tempo inferiore ad alcune volte all’anno (valore tra zero e uno dell’indicatore). Il fatto è che però, al crescere del reddito relativo, il tempo speso in relazioni cala significativamente, con effetti negativi sulla felicità individuale. Commenta l’economista Becchetti: «Una società povera di relazioni come quella occidentale, oltre che essere una società più infelice, è anche paradossalmente una società meno produttiva, perché la disgregazione del tessuto sociale finisce per agire come un boomerang sulla capacità di tessere relazioni economiche e, infine, sulla produttività e capacità di investire in capitale umano di ogni singolo cittadino». Aggiunge il presidente delle Acli Olivero: «È questa la ragione per cui puntare sulle politiche per la tutela della famiglia e di tutti gli altri “beni relazionali” e non monetari (come la sanità, la sicurezza, l’istruzione, l’ambiente) rappresenta un contributo diretto alla promozione della felicità degli individui, oltre che un formidabile supporto allo sviluppo economico. Si tratta infatti di capire che le relazioni non sono soltanto un bene privato ma anche un fondamentale fattore in grado di promuovere la produttività individuale, ossia di trasformarsi in ricchezza per il Paese».
Sul fatto che i soldi non facciano la felicità si è detto molto e molto si è ironizzato. Eppure gli studi più recenti ed autorevoli sembrano confermare questa tesi. L’ultima ricerca in ordine di tempo è quella realizzata nel 2006 all’interno del Ceis di Tor Vergata, il Centro per gli studi internazionali della crescita economica, dal professor Leonardo Becchetti in collaborazione con Giovanni Trovato e David Andres Londono-Bedoya. Utilizzando i dati dell’indagine internazionale “World Value Survey” , viene stilata una classifica dei Paesi del mondo secondo la felicità media dichiarata. Ai primi tre posti risultano in ordine la Nigeria, la Tanzania e il Messico, seguiti da Porto Rico, Salvador, Islanda, Venezuela e Vietnam. Il primo Paese “ricco” in questa classifica è il Canada, al 9 posto, con Olanda, Danimarca e Regno Unito subito dietro. L’Italia risulta in cinquantesima posizione, tra l’India e la Repubblica Ceca. All’ultimo posto la Romania.«Ci vuole ovviamente cautela nell’interpretare questi dati – spiega il professor Becchetti, curatore della ricerca e relatore sabato al Convegno delle Acli sulla felicità – perché possono essere influenzati senz’altro da distorsioni culturali. Eppure appare evidente e incontrovertibile che alla differenza in termini di reddito pro capite tra Nord e Sud del mondo non corrisponde un’uguale differenza di felicità». Secondo il presidente nazionale delle Acli, Andrea Olivero, che al tema della felicità “possibile” ha dedicato la relazione introduttiva del convegno di studi: «Ciò che ci rende più felici non è la quantità di beni di consumo, ma la ricchezza delle relazioni che viviamo».In generale, su oltre 117.000 individui intervistati in più di 65 Paesi del mondo, la quota di coloro che dichiarano il massimo livello di felicità nei Paesi Ocse ad alto reddito (15,84%) è solo leggermente superiore a quella degli intervistati nei Paesi meno ricchi (13,47%). Per spiegare questo paradosso gli autori del lavoro evidenziano due risultati principali della loro analisi. Il primo è l’importanza decisiva del reddito relativo rispetto al reddito assoluto. La felicità non dipende tanto dal livello assoluto di reddito, quanto soprattutto dalla propria posizione economica rispetto a quella media del gruppo di riferimento con il quale l’individuo si confronta. Il secondo è l’effetto del reddito sul tempo speso in relazioni.La ricerca identifica da questo punto di vista un effetto diretto molto significativo e positivo del tempo speso in relazioni (in famiglia, con amici di lavoro, in attività sportive, ecc.) sulla felicità. L’indicatore di tempo relazionale vede in testa alla classifica tra i 65 Paesi considerati nella ricerca alcuni Paesi africani a basso reddito (Nigeria, Tanzania e Uganda tra i primi sei) ed in fondo i Paesi europei (Italia 56esima su 65) e, in particolare, i Paesi dell’Est Europa. La quota di persone molto felici tra coloro che spendono un tempo medio più elevato nelle relazioni (tra ogni settimana e alcune volte al mese come media tra il tempo speso per famiglia, amici, associazioni religiose, associazioni sportive e tempo con colleghi fuori dal lavoro) è del 28,84%. I molto felici scendono al 18,65% tra coloro che dedicano in media alle stesse attività relazionali un tempo inferiore ad alcune volte all’anno (valore tra zero e uno dell’indicatore). Il fatto è che però, al crescere del reddito relativo, il tempo speso in relazioni cala significativamente, con effetti negativi sulla felicità individuale. Commenta l’economista Becchetti: «Una società povera di relazioni come quella occidentale, oltre che essere una società più infelice, è anche paradossalmente una società meno produttiva, perché la disgregazione del tessuto sociale finisce per agire come un boomerang sulla capacità di tessere relazioni economiche e, infine, sulla produttività e capacità di investire in capitale umano di ogni singolo cittadino». Aggiunge il presidente delle Acli Olivero: «È questa la ragione per cui puntare sulle politiche per la tutela della famiglia e di tutti gli altri “beni relazionali” e non monetari (come la sanità, la sicurezza, l’istruzione, l’ambiente) rappresenta un contributo diretto alla promozione della felicità degli individui, oltre che un formidabile supporto allo sviluppo economico. Si tratta infatti di capire che le relazioni non sono soltanto un bene privato ma anche un fondamentale fattore in grado di promuovere la produttività individuale, ossia di trasformarsi in ricchezza per il Paese».
1 commento:
Si, probabilmente lo e
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